Origini

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11 Novembre 2021

L’ultimo libro di Saša Stanišić, ambientato tra la (ex) Jugoslavia, dove l’autore ha le sue origini, e la Germania in cui l’autore è emigrato con la famiglia a seguito della guerra in Bosnia

Esistono libri che ti fanno ridere, che ti fanno riflettere sullo scibile, che ti fanno rimanere sveglio a pensare fino a notte fonda e quelli che vorresti avere scritto tu, soprattutto per alcune frasi che sembrano scritte apposta per te, perché ti aiutano ad aggiungere quel mattoncino in più alla comprensione della vita che da solo non saresti mai riuscito. Origini di Saša Stanišić (tradotto da Federica Garlaschelli) è tutto questo.

Se nelle prime pagine il romanzo è caotico e carico di elementi autobiografici pieni di nomi, luoghi e città quasi buttati lì sulle pagine, mano a mano che la lettura procede la narrazione si districa ed emerge nella sua totalità una grande capacità organizzativa della storia, che inizia così a macinare solida e compatta come la pietra di un frantoio, andando in questo modo avanti lenta, inesorabile e potente. 

Ambientato tra la (ex) Jugoslavia, dove l’autore ha le sue origini, e la Germania in cui l’autore è emigrato con la famiglia a seguito della guerra in Bosnia, il libro ripercorre le tappe personali e famigliari: “Il Paese in cui sono nato, oggi non esiste più. Finché è esistito, mi sono considerato jugoslavo. Proprio come i miei genitori, che provenivano da una famiglia serba (papà) e bosniaco-musulmana (mamma). Ero figlio dello Stato multietnico, frutto e affermazione di due persone unite da un legame affettivo, che nel melting pot jugoslavo erano libere da qualunque vincolo derivante dall’avere origini e fedi religiose diverse. Bisogna sapere che anche chi aveva padre polacco e madre macedone poteva dichiararsi jugoslavo, purché considerasse autoderminazione e gruppo sanguigno più importanti di eterodeterminazione e sangue.”

Nonostante la composizione a mosaico della narrazione, la parte centrale si concentra sull’immigrazione in Germania, ad Heidelberg: ogni casa è pura formalità: nasci in un posto, ti trovi “costretto ad andartene […]. Fortunato chi riesce a influenzare il caso. Chi lascia la propria casa non perché deve, ma perché può. Fortunato chi realizza desideri geografici.”

Questa è la parte nel romanzo a più largo respiro perché si ride spesso seguendo le avventure del giovane Saša alle prese con problemi adolescenziali, con la scuola e con la vita a Emmertsgrund, quartiere periferico di Heidelberg. E si ride non perché succedono cose buffe, ma perché l’autore ha la grande capacità di riuscire a farci ridere davanti alla tragedia, a strapparci un sorriso grazie al suo umorismo nero. E questa è una qualità che hanno solo i grandi scrittori.

Ma il nucleo a mio avviso più potente di tutta la narrazione è il racconto del profondo legame con la nonna paterna affetta da demenza senile e rimasta a Višegrad durante e dopo la guerra.

La lontananza, il senso di colpa, l’impossibilità del contatto costante, lei che inizia a dimenticare tutto, a vedere cose che non esistono, a degenerare verso l’inevitabile vuoto che solo le malattie neurodegenerative sanno portare dentro e attorno al paziente: “Mamma riempie la vasca per il bagno. A nonna l’acqua piace bollente. Forse perché così riesce a percepire il proprio corpo, e questo – il corpo nella sua concretezza –  è un piacevole diversivo rispetto all’inafferrabilità dei suoi ricordi.”

Passaggi davvero toccanti, profondi, che danno un significato alla sofferenza e alla malattia, che ci permettono di confrontarci con tutto quello che siamo, con le nostre origini (Lei si è presa cura di me all’inizio, io di lei alla fine. Così dev’essere). Questi passaggi definiscono la presa di coscienza e manifestano l’ammissione che l’inevitabile sta arrivando come lo step successivo, il più difficile, l’accettazione, perché “probabilmente non c’è nemmeno nessun luogo in cui adesso potrebbe essere sicura, perennemente felice e senza questo sguardo stanco.”

Chi più chi meno ognuno di noi sente di avere delle origini e su queste origini spesso ci costruisce un’identità. Giusto o sbagliato che sia, è così che noi esseri umani funzioniamo. Il libro di Stanišić parla di come questo processo sia a tratti fondamentale e a tratti un grande e annoso limite alla comprensione della vita altrui. Origini ci insegna ad evitare le categorizzazioni aprioristiche e a riflettere sulla sovraesposizione che sempre più spesso si dà alle proprie radici: “io mi opponevo alla feticizzazione delle origini e all’immagine illusoria dell’identità nazionale. Ero a favore dell’appartenenza. Ovunque gli altri mi volessero e ovunque io volessi essere. Trovare il minimo comune denominatore: bastava questo.”

La potenza di questo libro sta proprio nel connettere tutti questi aspetti e metterli in relazione, farne una costellazione per restituirci tutta la complessità dei rapporti conflittuali tra le nostre origini, i legami famigliari, l’invecchiamento, il decadimento delle persone che ci hanno preceduto e di come siamo costretti, prima o poi, a farci i conti. Il fondale del romanzo è la guerra nella ex Jugoslavia, un’origine quantomeno ingombrante, e l’immigrazione in Germania, tutto estremamente e sempre interconnesso tra un passato certo, un presente precario e un futuro che pagina dopo pagina si colora con le tinte autunnali dell’inevitabile.

Difficilmente mi è capitato di leggere un libro così omnicomprensivo degli spettri emozionali dell’essere umano e che allo stesso tempo riuscisse a cogliere in modo così limpido, netto e includente la dimensione politica dell’esistenza.

Per me Origini è stato il libro letto nel posto giusto al momento giusto, a differenza dell’autore dopo quasi vent’anni sono tornato alle mie origini, in una provincia cambiata certo non da una guerra ma più banalmente dal passare degli anni, ma come Stanišić ho a che fare con una persona affetta da una malattia neurodegenerativa. Forse è per questo che ho amato così tanto Origini, perché per alcuni aspetti me lo sento incollato addosso. Questi libri, quando si incontrano, sono come fulmini che arrivano all’improvviso e ti lasciano nelle vene un’impetuosa carica elettrica.

Un ringraziamento particolare va fatto anche a Keller Edizioni che si sta confermando sempre di più uno dei migliori editori di questo paese, portando in Italia autori di spessore come Stanišić.

“Non conta dove stanno le cose. E nemmeno da dove si viene. Conta solo dove si va. E alla fine nemmeno quello.”

In copertina dipinto di Claudio Marini