Still recording

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27 Dicembre 2018

L’auto racconto della guerra in Siria

Raccontare la guerra, da tempo, è diventato un mestiere complesso. Non che sia mai stato facile, ma il 2011 – con le rivolte arabe – ha segnato un punto di svolta, un concretizzarsi di una serie di dinamiche che si sono evolute nel tempo.

L’indebolimento sempre più forte del rapporto tra l’oggetto del racconto e chi se ne faceva mediatore è un processo rapido e doloroso. Tanti gli errori commessi, troppa la propaganda in campo, a partire dall’arruolamento politico – culturale seguito alla dichiarazione della global war on terror.

Ecco che l’oggetto del racconto, con tutti i diritti, sempre più si è fatto soggetto del racconto. L’irruzione dei social media è stata determinante, ma anche la perdita di fiducia verso i cronisti e i media, per non parlare del fatto che causa crisi delle redazioni andare sul campo diventa per molti un lusso; una zona che viene coperta sempre più, a spese sue, dai freelance, con molte complicazioni dal punto di vista della professionalità e della competenza.

L’auto racconto di guerra è ormai un orizzonte che si è fatto – giorno dopo giorno – più concreto. Il livello dei prodotti è complesso: dalle peggiori fake news, dalla propaganda più becera, fino a veri e propri capolavori. E Still recording, documentario dei registi siriani Saeed al-Batal e Ghiath Ayoub, è un capolavoro.

Girato senza sosta, senza fiato, nella Ghouta orientale, sobborgo di Damasco massacrato da un assedio che è un crimine contro l’umanità al di là di ogni geopolitica accattona, restituisce uno spaccato unico della rivolta siriana.

L’insurrezione di ragazzi e ragazze contro il regime di Assad, una rivolta pacifica e creativa, che giorno dopo giorno muore sotto la pressione dei governi che in Siria combattono le loro guerre per procura, del regime pronto a distruggere il suo stesso popolo, alla radicalizzazione dei militanti è raccontata in modo magistrale.

Una telecamera che non si spegne mai, volti di ragazzini che diventano uomini induriti frame dopo frame, una violenza cieca e allo stesso tempo un’umanità strampalata, che resiste tra le macerie, affidando alla telecamera videomessaggi per i parenti e facendo jogging tra i bombardamenti.

Raramente un documentario è riuscito a rendere la polarizzazione della guerra come Still Recording. Tra Full Metal Jacket e Zeno Cosini, con il funerale all’ultima sigaretta e un cecchino poeta.

“E’ la prima volta che ascolto Fairouz mentre cerco di uccidere qualcuno”.

Un ribelle che parla alla radio con un lealista, un’esecuzione collettiva di bottiglie di alcool e bombardamenti senza sosta. Un soldato linciato, tra la rabbia di chi non è d’accordo, lo scontro confessionale come elemento di dibattito, non come la granitica certezza dei geopolitici di turno, feste e arte, spinelli e paura.

Ragazzi, morte, vita, macerie, ricordi, speranze. Still recording è il manifesto di un’umanità intera che è stanca di essere raccontata per stereotipi, secondo una mappa di interessi di paesi che – al sicuro – dibattono su i morti degli altri. Still recording è un potente manifesto geopoetico, dove l’oggetto del racconto si riprende il suo diritto a raccontare la propria storia.