Tributo alla terra, il nuovo reportage a fumetti di Joe Sacco

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9 Dicembre 2020

La battaglia del popolo Dene contro l’industria estrattiva in Canada

Joe Sacco è il maestro indiscusso del graphic journalism mondiale. Il 2020 segna il suo ritorno al longform dopo alcuni anni in cui si era dedicato alla realizzazione di reportage più brevi: il risultato è l’imponente volume Tributo alla terra, pubblicato da Rizzoli-Lizard la scorsa estate.

In 260 pagine di grande formato, Sacco racconta con la consueta precisione, ricchezza di immagini e informazioni le vicissitudini dei Dene, la popolazione nativa dell’attuale regione canadese dei Territori del Nord-Ovest, a partire dai primi contatti con i colonizzatori occidentali.

Quella di Sacco è un storia di colonialismo, nelle sue forme primordiali di sottrazione della terra così come nelle conseguenze psicologiche e sociali, spesso impercettibili, ancora all’opera al giorno d’oggi.

La sceneggiatura del fumetto però è strutturata per evitare l’effetto didascalico di una narrazione banalmente cronologica: in fase di “montaggio” Sacco sceglie di mescolare le carte, trasportando un po’ alla volta il lettore nel cuore del suo reportage.

Pur coprendo un arco di tempo che va dal XIX secolo al presente, infatti, l’autore si concentra in particolare sul tema dello sfruttamento delle risorse da parte dell’industria “occidentale”, in contrapposizione alle rivendicazioni territoriali del popolo Dene.

L’ultima frontiera del colonialismo industriale, come recita il sottotitolo, nasce non tanto e non solo da trattati fatti firmare secoli fa ai nativi con l’inganno, ma da visioni culturali contrapposte di concetti come proprietà e rapporto dell’essere umano con la terra.

L’idea stessa di condurre negoziati basati su regole scritte, per un popolo che non utilizza la scrittura, è tuttora inconcepibile per i più anziani tra i Dene, legati a un’idea di solidarietà collettivistica e relazione simbiotica con la natura.

Questa visione del mondo è pienamente comprensibile guardando alle condizioni ambientali a cui i Dene hanno saputo adattarsi, portando avanti per secoli interi una dura vita di sussistenza.

Nei Territori del Nord-Ovest, regione attraversata dal circolo polare artico, la temperatura può scendere anche a 40 gradi sotto zero, il che spiega come mai un territorio grande come Spagna e Francia messe insieme sia popolato da meno di 45.000 persone.

Diversamente dai Dene, oggi come in passato, gli occidentali hanno guardato a questi territori, prima di tutto, per l’approvvigionamento di risorse: all’inizio le pelli, poi i diamanti, il petrolio e il gas naturale, estratti con la discussa tecnica del fracking.

La bravura di Joe Sacco sta nel raccontare questa contrapposizione evitando la semplificazione dei “bravi nativi contro i cattivi occidentali”.

Sacco raccoglie anche le voci fuori dal coro, facendo capire che «lo scontro tra una filosofia basata sul territorio e un’economia legata alle attività estrattive» non può essere risolta adottando passivamente il punto di vista dell’industria o quello degli ambientalisti, bensì elaborando una posizione all’interno della comunità Dene.

La capacità di raccontare la complessità, tipica del grande giornalismo e marchio di fabbrica di Joe Sacco, in Tributo alla terra è abbinata a una crescente maturità espressiva, distante dalla raffigurazione caricaturale delle prime opere dell’autore dal segno marcatamente undergound.

Equilibrio e adesione alla realtà dei fatti, in ogni caso, non sono sinonimi di equilibrismo o forzata neutralità: continuando a scavare, infatti, Sacco arriva ad approfondire un punto determinante nella definizione dell’attuale scenario sociale, ancor prima che economico, dei Territori del Nord-Ovest.

Si tratta delle residential schools, istituzioni governative che per tutto il Novecento si sono occupate della scolarizzazione dei giovani nativi, sottraendoli alle rispettive famiglie per sottoporli a un vero e proprio processo di sradicamento culturale.

Oltre che degli affetti e dei luoghi più cari, infatti, bambini e bambine erano privati dei tratti distintivi della propria cultura: divieto di parlare la lingua Dene, capelli rasati a zero, rigida scolarizzazione a opera delle varie organizzazioni cristiane alle quali si affidava di volta in volta il Governo canadese.

Dopo anni vissuti in questa maniera, i bambini ormai cresciuti tornavano alle proprie comunità, nelle quali non si riconoscevano e dalle quali non erano più riconosciuti, dando il via a innumerevoli storie di disagio sociale sotto forma di alcolismo, violenze domestiche e incapacità di creare relazioni.

Questo capitolo controverso nella storia del Canada ha dato origine a una Commissione d’inchiesta, che ha concluso i suoi lavori nel 2015 dopo aver documentato innumerevoli abusi anche sessuali e testimoniato la sistematica volontà di eliminare la cultura dei nativi da parte del Governo centrale.

«Non puoi adattarti all’idealismo occidentale di matrice cristiana» spiega a Joe Sacco un giovane leader Dene. «Se sei un nativo ti senti sempre inadeguato, cominci a interiorizzare questo sentimento che ti fa sentire insicuro. Questo porta all’autolesionismo con cui ci torturiamo quotidianamente, che è esattamente ciò da cui dovremmo liberarci».

Nella parabola che dai leader dei movimenti di protesta degli anni ‘70 porta ai giovani di oggi, torna insanabile la contrapposizione tra due modi opposti di vedere il mondo, sintetizzata nel titolo originale: Paying the land, nel doppio significato di pagare per la terra e offrire un tributo alla stessa.

Perché se da un lato tanti anziani Dene raccontano tuttora la felicità di poter abbandonare la vita di sussitenza nei boschi, dall’altro – come spiega il leader della comunità di Sambaa K’e – «Avevamo vite semplici, adesso abbiamo i telefonini, l’elettricità e tutto il resto. Ma il progresso ha un prezzo».

Un prezzo che per tanti versi è stato troppo alto, è che forse è arrivato il momento di ridiscutere.