Trump. L’arroganza dell’imperatore ci chiede di insorgere

Il mondo che c’era prima non c’è più. E l’arroganza dei ricchi che prendono il potere svela le bugie di decine d’anni, motivate da frasi idealistiche vendute dalla propaganda.

L’umiliazione dello studio ovale del 28 febbraio dice e tanto sul nuovo corso, che mette insieme il peggio dell’imperialismo non più ideologico, ma plutocratico dei nuovi Usa. E parla a un’Europa che non dovrebbe più rifugiarsi nello scudo dell’amico americano che si costruì dalla Seconda guerra mondiale.

Bruxelles avrebbe avuto tutto il tempo di prepararsi, ma la politica è schiava del sistema economico e finanziario, quel sistema che gli stessi Usa sperimentarono in alcune dittature sudamericane (ricordate i Chicago Boys e il Cile?) e con un intervento diretto militare e di finanziamento e creazione di protagonisti da mettere poi nelle liste dei terroristi nel Medio Oriente. Oltre al bastione israeliano, finanziato e lasciato libero di agire un genocidio. C’è il petrolio, l’industria delle armi, l’influenza geopolitca, il peggior sistema di sciacallaggio bancario, le grandi invenzioni delle strutture sovranazionali che nessuno ha votato o regolamentato, che si basano semplicemente sul fatto che se sei un Paese ricco, comandi il futuro degli altri. 


C’è anche la fine dello smalto diplomatico e del discorso fine che ha tenuto a bada le reazioni delle viscere, perché un incontro come quello del 28 febbraio sarebbe stato impensabile e degno della fantascienza fino al 28 febbraio stesso proprio nella forma, più che nella sostanza.

Mio padre ha novantadue anni; quando parla degli Usa e del conflitto del Novecento gli viene naturale dire che ‘dobbiamo essere riconoscenti’. E anche ieri il gatto e la volpe alla presidenza statunitense hanno calcato il maglio dicendo che il presidente di una nazione sovrana, l’Ucraina, deve dire grazie e fare quello che gli viene detto. Non è una dottrina nuova, in italia siamo sommersi di basi americane e di silos che contengono armamenti nucleari, perché più che fare un favore al mondo Washington ha agito in maniera tattica e strategica, conquistandosi una portaerei nel Mediterraneo, piazzando le sue difese od offese balistiche in luoghi strategici, compresa la Turchia e aprendo l’ombrello Atlantico come doppia misura di sicurezza. L’Europa deve essere debole, nonostante abbia le carte in regola per essere una superpotenza. Ma l’orgoglio nazionale ha declassato leggi e voce: la politica estera rimane ai singoli Paesi che approfittano delle situazioni per triangolare tatticamente, il parlamento è un luogo di dibattito senza efficacia, La Commissione ragiona su dinamiche che non riescono a riprodurre un unico sentire europeo, se ci pensate – è una cosa piccola ma eloquente -non abbiamo nemmeno uno straccio di informazione europea, anzi nelle occasioni europee il giornalismo interroga i protagonisti sui temi di casa propria.

Eppure l’identità europea, quella culturale soprattutto finché regge, è una delle più forti e con radici ben ancorate, che viene svilita dal fatto di non saperla utilizzare in un discorso fra pari.

Le minacce di Trump che seguono il suo primo mandato e si inaspriscono dicono che gli Usa giocano da soli e l’Europa non è più un asset strategico se non si genuflette. L’Europa ha timidamente accettato di essere difesa in una dinamica da Secondo conflitto bellico più che inaugurare una nuova linea dopo gli anni del boom economico e della Guerra Fredda. 

Il momento sarebbe stato propizio per lo strappo: la guerra in Ucraina è un grimaldello dove Putin ha invaso e distrutto il diritto internazionale, e dove gli Stati Uniti hanno fatto affari d’oro nel campo energetico e dell’industria bellica, costringendo l’Europa a spendere somme forti sull’invio di armi, quindi svuotamento arsenali e nuovi ordini, e dall’altra parte coinvolgendo le cancellerie europee in una guerra senza dichiarazioni ufficiali con istruttori e commando sul campo in una retorica e propaganda che costruisce il nemico del futuro. La Russia che manda al macello ormai i ragazzini o che deve appellarsi alla Nord Corea, perché questa guerra l’ha indebolita e tanto. 

Oggi ascoltavo Radio Popolare e non c’è niente da fare: non si riesce a separare i piani- almeno nel campione di chi ha chiamato alla trasmissione della direttrice -. La parola invasione faceva fatica a saltar fuori: ho sentito l’entrata, l’attacco, in barba al diritto internazionale. Mentre chi difendeva i colori giallo azzurri non ce la faceva a riconoscere – lo disse Romano Prodi che ha un giudizio di lunga esperienza – che andare a piazzare la Nato ai confini della Russia non solo non è stata un’idea brillante, ma voluta.

Allora viene da chiedersi e non da oggi: ma che ci facciamo nella Nato? Cioè, perché l’Europa si è fatta tenere in scacco da un patto atlantico guidato dagli Usa, se avesse voluto giocare un ruolo indipendente, e parlo non del primo dopoguerra, ma almeno degli ultimi trent’anni, con una presenza non ingombrante, ma di più. In tanti anni di notizie e studio di tanti temi legati alla stagione della tensione, in italia, vale ricordare il ruolo centrale della progettazione a matrice statunitense rispetto a un Paese in cui il PCI, partito comunista italiano, era riuscito a contendere la maggioranza alla Dc, quella democrazia cristiana i cui esponenti favorevoli al compromesso storico finirono molto male. Lo stesso Grillo, che gridava il vaffanculo dalle piazze di tutta Italia prima di entrare in parlamento, andò a riverire e spiegare all’ambasciata statunitense i suoi propositi. La ragion di stato, che non siamo ingenui è dappertutto, portò gli Usa a riciclare una gran parte dei pezzi grossi del nazismo nell’intelligence. 
Le operazioni segrete erano finanziate negli anni Settanta e oltre dal narcotraffico in Asia. Non lo dico io, è tutto scritto e potremmo andare a vedere quali altre nefandezze, da al Qaeda e sigle dello jihadismo, hanno avuto appoggi in funzione di alleanza strategica contro il nemico del momento. 

Di fronte a decenni di storia grondante intrighi, sangue e soprusi, perché a Bruxelles non è venuto in mente di strutturarsi? O cosa lo ha impedito?
Sempre ieri sera guardavo uno spezzone della trasmissione televisiva di Corrado Augias con ospite Federico Fubini, firma pesante del Corriere ed economista. 
La bilancia commerciale dell’Italia verso gli Stati Uniti è talmente forte, in attivo, che se dovessero entrare i dazi promessi da Trump e nonostante le contromisure, perderemmo un punto di PIL entrando in recessione. 
Al di là dei teatrini mediatici questo i leader che governano lo sanno perfettamente. 
È nostro dovere chiedere di avere una voce riconoscibile, portatrice di valori che abbiamo combattuto per scrivere nelle nostre carte costituzionali e nelle pagine costitutive del pensiero europeista. 

È tardi? Forse, ma non per questo meno urgente. Stoppare l’allargamento dell’Unione europea e riformare la governance, cedere sovranità nazionale a favore di un maggiore protagonismo a livello internazionale dovrebbero essere le parole d’ordine di chi vuole giocare al tavolo senza subire l’anomalia che grazie ai soldi, i social e le fake news vuole governare il mondo. 
Non si parte dll’armiamoci di più, o perlomeno non può essere l’unica risposta che viene scritta a carattere digitali, entriamo nella competizione sbagliata.

E quindi come si fa?
Una proposta politica progressista – lasciamo perdere la parola sinistra per un attimo – non forse, ma sicuramente dovrebbe contemplare il nuovo scenario globale che si è affermato non ieri, ma da anni.
Il continuare a mediare e ripetere il mantra della grande democrazia americana, il pensiero è una cosa ma la pratica dimostra ben altro, è anche andare a scontrarsi con un sistema intollerante, quello della caccia ai comunisti, quello della sanità a pagamento che uccide i più deboli, quello delle armi in negozio per chi vuole, la pena di morte, l’ingerenza costante nelle politiche degli altri paesi in tutto il mondo per un solo obiettivo e cioè esaltare il proprio modello autoriferitoe garantire solo la propria esistenza.  Diamoci una proposta capace di capire che il diritto internazionale o lo rispettano tutti o è carta straccia, che non sono tollerabili leggi di chi dice io non sono processabile e nemmeno i miei soldati, diamoci una voce comune in una Europa che a pensiero e struttura democratica non ha nulla da invidiare. Diamoci una forma di informazione che non insegua le mode che arrivano da oltreoceano, valorizziamo la nostra cultura, che è permeabile e permeata, ma che ha anche radici profonde.

Ma soprattutto diamoci un’opzione di parola e rappresentatività che dica con nettezza come si schiera, cosa persegue, che non si fa a patti con il profitto, che ci si batte per i beni comuni e per il benessere delle persone, soprattutto quelle che hanno meno mezzi, solidarietà, ridistribuzione, egualitarismo. Il resto lo abbiamo già sperimentato ed è fallito, ci sta uccidendo. E soprattutto non abbiamo paura, né siamo spettatori, perché ora più che mai c’è bisogno di volere e costruire una alternativa che riguarda la nostra sopravvivenza.

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