Il primo capitolo del reportage inedito di Jo Meg Kennedy, selezionato dalle giurie di Meglio di un romanzo per uscire a puntate sul sito del Festival e su “Q Code Magazine”
Questa è la storia di Radio Fresh Fm, nata a Kafranbel, Idlib, in Siria nel 2013. Ad accompagnare il lettore nella costruzione ed evoluzione della radio e nei processi di trasformazione dovuti alla rivoluzione e alla guerra saranno le voci dei fondatori della radio e il controcanto della giornalista Zaina Erhaim. I presupposti con cui Raed Faris, Hammoud Jounin e Khaled al Essa avevano fondato la radio e si sono battuti per difenderne l’esistenza, sono gli stessi per cui avevano aderito alla rivoluzione. Nelle parole di Raed Fares “le rivoluzioni sono idee e le idee non possono essere uccise con le armi”. La radio rappresentava queste idee e si poneva a disposizione e a rappresentanza della cittadinanza. Sono stati diversi i tentativi, del regime come di altri attori, di mettere a tacere la radio, ad oggi però continua ad emettere e a rappresentare la voce del popolo della rivoluzione siriana.
CAPITOLO PRIMO: LA RIVOLUZIONE
di Jo Meg Kennedy
grafica di copertina a cura di Emma Vezzaro
La storia che vorrei raccontarvi parte dal governatorato di Idlib, dove “ogni famiglia ha un piccolo appezzamento di terra piantato con ulivi, fichi, melograni e alberi di bacche, circondato da cipressi”, dove si recano “molte sere e ogni fine settimana” per prendersene cura e goderne in compagnia di amici e famiglia (Erhaim Z., 2020). Volevo che questa fosse la vostra prima cartolina di Idlib. Una fotografia scattata da Zaina Erhaim, giornalista siriana pluripremiata, che è nata e cresciuta in questi luoghi e li conosce meglio di chiunque altro – perché troppo spesso nell’immaginario collettivo la Siria oscilla tra il deserto rappresentato nel film Disney di Aladdin e un paese dove la guerra ne ha spento luci e colori.
- “Durante la maggior parte della mia vita, la mia città natale è stata così trascurata che l’unico festival nazionale che la celebrava si chiamava le città dimenticate. All’improvviso è diventata così famosa che il presidente degli Stati Uniti ne ha twittato, scrivendone anche il nome correttamente. Due membri della Nato si sono quasi scontrati discutendone. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per affrontare la sua crisi. Era di tendenza in tutto il mondo quando Abu Bakr al-Baghdadi, il precedente leader dell’Isis, è stato assassinato nella provincia e quando più di 30 soldati turchi sono stati uccisi sul suo territorio all’inizio di quest’anno. Stavo cercando, con alcuni amici di Idlib, di capire come la nostra casa si fosse trasformata da un luogo trascurato e nascosto, dove facevamo le foto con i pochi turisti che venivano a trovarci […] in un luogo che veniva attaccato e bombardato da persone di così tante nazionalità e provenienti da così tanti paesi diversi. Quanto siamo diventati famosi! Mia cara Idlib, quanto ti auguro di tornare ad essere dimenticata e di nuovo nostra. Fino ad allora, avremo sempre il tuo accento, il tuo olio d’oliva nelle nostre cellule, i tuoi alberi impressi nei nostri ricordi. E, soprattutto, walad al-balad su cui contare ovunque andiamo” (Zaina Erhaim, Carrying Home Within, “New Line Magazine”, 30/11/2020).
Oggi Idlib è conosciuta perché al suo nome viene associato quello del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, precedentemente noto come Abu Mohammad al-Julani, capo di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). HTS, guida principale della coalizione di Fatah al-Mubin, teneva nelle sue mani le redini di questo territorio e lo scorso 27 novembre ha lanciato l’offensiva che ha avviato la liberazione del Paese a partire da Aleppo. Dopo 606 mila persone uccise dal 2011 secondo il Syrian Observatory for Human Rights e tra i 100 e 200 mila desaparecidos secondo l’International Commission on Missing People, l’8 dicembre 2024 il regime più sanguinoso della regione, quello di Bashar al-Assad è caduto.
Nei primi giorni di dicembre scorso Yasmin mi aveva mandato un messaggio esprimendo il suo desiderio di poter tornare a Damasco, questi “sono tempi felici e importanti”. Lo stesso sentimento viene espresso da Zaina Erhaim nel suo articolo dell’11 dicembre:
- “Alle tre del mattino di quella domenica mia mamma mi ha svegliata con una voce spezzata. Tutti i nostri telefoni stavano squillando e la Tv aveva il volume alto ‘È caduto, Zaina. È caduto. Assad è caduto.’ Alle parole di mia madre, le mura spesse e protettive tra cui ero stata per anni crollarono sotto il peso di un’ondata di nuove idee, guidate da una sola: posso tornare.” (Zaina Erhaim, Al-Assad Is Gone, and One Idea Fills My Brain, “The New York Times”, 11/12/2024).
L’8 dicembre 2024 la gioia era incontenibile. I social erano in continuo aggiornamento: i siriani raccontavano in diretta quanto era successo e stava accadendo, la loro felicità, la loro speranza e anche le loro preoccupazioni. I notiziari erano puntati sulla Siria come non succedeva dal 2011. Chiamai Rania e Munira per esprimere loro tutta la mia partecipazione. Neanche ventiquattr’ore prima mi ero recata a Milano per incontrare Christian Elia, editor dei lavori svolti in questi anni per Meglio di un romanzo all’interno del Festivaletteratura di Mantova. Quando ci siamo seduti al Mercato Centrale della stazione per parlare di questo lavoro, Chicco mi ha raccontato che quello spazio era stato un tempo un punto si snodo che ospitava chi in seguito alla rivoluzione del 2011 si era incamminato alla ricerca di un futuro migliore in Europa. Era chiaro ormai che Damasco sarebbe capitolata nell’arco di poco tempo, ma non potevamo certo immaginare che la mattina seguente – i discorsi del giorno precedente freschi in testa – ci saremmo scritti per festeggiare la caduta di Assad.
Ma come si è arrivati a questo punto?
L’ondata rivoluzionaria del 2010-2011 emerse da circostanze comuni alla regione. “Molti vivevano con un accesso limitato ai servizi governativi, temendo la polizia abusiva, testimoniando la persistente corruzione dei governi al potere e dovendo fare i conti con l’alto tasso di disoccupazione e l’inflazione su beni di prima necessità” (Fawcett L. 2016). Questa situazione diede origine ad una risposta dal basso, che chiedeva la caduta dei singoli regimi a partire dalla Tunisia rivendicando una qualità della vita decente, giustizia e libertà individuale e collettiva. A livello sistemico il 2011 avviò un processo di cambiamento dell’ordine globale, caratterizzato dal lento declino degli Stati Uniti e dall’emergere di nuovi centri di potere. L’occidente fu colto di sorpresa. Gli Usa avevano creduto in un periodo di stabilità con l’entrata alla Casa Bianca del Presidente Barack Obama nel 2009 che cercò subito di ripulire l’immagine statunitense nella regione, inaugurando un “New Beginning”, dopo ciò che era scaturito dall’11 settembre 2001 con l’amministrazione Bush.
- “Sono venuto qui al Cairo per cercare un nuovo inizio. […] Lo faccio riconoscendo che il cambiamento non può avvenire dall’oggi al domani. […] Ma sono convinto che per andare avanti dobbiamo dirci apertamente le cose che abbiamo nel cuore e che troppo spesso si dicono solo a porte chiuse. Ci deve essere uno sforzo continuo per ascoltarsi a vicenda; imparare gli uni dagli altri; rispettarsi l’un l’altro; e per cercare un terreno comune.” (B. H. Obama, 2009, da 2:23 a 5:56)
L’episodio che vide Mohamed Bouazizi darsi fuoco in Tunisia richiamò l’attenzione mediatica occidentale, dimostrando che c’era stata una certa noncuranza rispetto alle trasformazioni degli anni precedenti. I rapporti di forza plasmati nel 1958 barcollavano. All’epoca la dottrina panarabista fu consacrata e consolidata da nuove élite politiche (tra cui il partito Ba’th) che si definivano come l’incarnazione di una constituency che abbracciava tutta la popolazione. Le masse diventarono il fulcro dell’attenzione politica ma furono private della capacità di auto-realizzarsi e determinarsi, anzi, l’agire popolare veniva strettamente controllato e disciplinato dal potere. Alla base di questo c’era anche la penetrazione occidentale che imbrigliava la regione in un sistema dominato dal centro, che portava a conflitti perpetui, eccezione fatta per l’appunto durante la fioritura del panarabismo (Hinnebusch R., 2003 e 2015). Non che le popolazioni locali non ci abbiano provato. Esiste infatti una storia di popular politics, nonché di politiche dal basso, di contestazioni e rivolte degli ultimi due secoli che testimoniano il continuo tentativo di costruire dal basso l’alternativa. Nel 2011 è emersa con determinazione il protagonismo delle masse, invertendo i rapporti di forza.
Nel gennaio del 2011 si diffusero in Siria le prime manifestazioni che chiedevano al presidente Bashar al-Assad di revocare il blocco dei social network. In questa occasione il presidente ascoltò le richieste dei suoi cittadini perché ignorarli sarebbe stato controproducente, in quanto non veniva chiesto un cambio di regime, diversamente da altri paesi della regione. Damasco era fiduciosa che il sentimento di rivoluzione e rivolta non avrebbe influenzato o toccato gli animi siriani, e Bashar al-Assad in quel momento continuò a recitare la sua parte del riformatore, come del resto aveva fatto a partire dalla sua presa di potere nel 2000 (Fawcett L., 2016). In una intervista rilasciata al Wall Street Journal nel 2011, Assad dice:
- “[…] perché la Siria è stabile anche se abbiamo condizioni più difficili? L’Egitto è stato sostenuto finanziariamente dagli Stati Uniti, mentre – noi – siamo sotto embargo dalla maggior parte dei paesi del mondo. Siamo cresciuti anche se ancora non riusciamo a soddisfare molti dei bisogni primari delle persone. Nonostante tutto ciò, la gente non si rivolta. Bisogna essere molto legati alle credenze della gente. Questo è il problema centrale. Quando ci sono divergenze… avrai questo vuoto che crea disturbo. Quindi non si tratta solo di bisogni e non si tratta solo di riforme. Riguarda l’ideologia, le convinzioni e la causa.” (Interview With Syrian President Bashar al-Assad, “The Wall Street Journal”, 31/01/2011)
La situazione cambiò radicalmente in seguito agli eventi accaduti nella capitale del governatorato di Dar’a, che causarono profonda indignazione e rabbia nel popolo. Dei ragazzini avevano copiato alcuni slogan che venivano trasmessi nei telegiornali e sui social media, che riportavano quanto stava accadendo negli altri Paesi della regione. Il fenomeno dello street art era esploso in particolare al Cairo dove i giovani, non avendo come esprimere il loro dissenso, ri-trovarono uno spazio fisico di espressione sui muri della città. Gli slogan venivano poi fotografati e postati su Facebook e Twitter circolando oltre i confini nazionali, venendo riprodotti da altri come dei mantra. Divenne un metodo di comunicazione efficace, in grado di raggiungere le persone di tutte le generazioni e appartenenze (Pierandrei E., 2012).
- “Tu hai letto la storia di Hamza e dei ragazzini di Dara’a? Dunque quei ragazzini hanno scritto sul muro «È il tuo turno dottore». Bambini hanno preso! Gli hanno strappato le unghie! Li hanno picchiati, torturati, incarcerati. […] Da allora il popolo si è svegliato, quando tutti si sono domandati: «Questi ragazzini hanno scritto una cosa sul muro, e voi rispondete così?! E allora se noi avessimo detto che non vogliamo il Rais?! Cosa sarebbe successo?!» E allora sono usciti a manifestare dicendo: «Vogliamo la caduta del regime!» Da lì (Assad) ha cominciato ad uccidere che tu c’entrassi o meno. Giuro che è iniziata così, e quindi è iniziata a Dara’a. Da allora in tutta la Siria la gente ha iniziato a manifestare.” (Intervista a Jordan Mafraq, 2016).
Il 6 marzo le forze dell’ordine si recarono alla scuola che ospitava sul muro esterno la scritta sopra citata (Macleod H., 2011). Cercavano i responsabili. Nessuno confessò la propria colpa. Vennero quindi arrestati arbitrariamente venticinque ragazzi dagli undici ai quindici anni ad eccezione di un diciannovenne (Darwish S., Dibo M., 2016)eportati in una delle cellule dell’Unità di Sicurezza Politica Locale (Local Political Security Branch) che faceva capo al generale Atef Najeeb, cugino del Presidente (Al-Haj Saleh Y. , 2017).
Furono le madri a incominciare inconsapevolmente la rivoluzione con la presenza del loro corpo fisico e politico in piazza. Marciarono fino alla casa del governatore Faisal Kalthoum pretendendo informazioni sui propri figli. Durante questa prima manifestazione dell’11 marzo, i militari dissero loro di non domandare più dei propri figli. Successivamente si rivolsero ai padri dicendo “Se volete i vostri figli, fatene di nuovi. Se non ne siete in grado portateci le vostre donne in caserma e provvederemo noi” (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017). In seguito a questo evento, la successiva manifestazione fu caratterizzata dallo slogan “Morte, non umiliazione” (Darwish S., Dibo M., 2016), l’esercito raggiunse i manifestanti, bloccando loro la strada, dando vita a due schieramenti impari (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017). Gridando le loro richieste, i civili si avvicinavano all’esercito. Quando lo scontro fisico sembrava esser diventato inevitabile, alcuni militari si schierarono in difesa dei cittadini, nonostante ciò ci furono i primi due morti, e il venerdì successivo ce ne furono altri ancora: “così ebbe inizio la guerra” (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017).
Le notizie di questi eventi si diffusero sul territorio nazionale il 15 marzo, dando forma alle prime manifestazioni generali indette dal gruppo Facebook “Intifada Siriana 15 marzo” (Parlamento Italiano). Il governatorato di Idlib fu tra i primi a dimostrarsi solidale e presente alla chiamata di Dar’a.
- “Una notte, camminando per le strade della mia città, con mia madre in una manifestazione, ad un certo punto sono andata avanti da sola e mi sono unita al raduno degli uomini. Molti hanno obiettato, ma io li ho ignorati finché all’improvviso un uomo con grandi baffi ha gridato «Lasciatela stare! Lei è una sorella!» Ho saputo il suo nome solo quando l’ho visto pubblicato insieme a una sua foto in un elenco di vittime uccise a Idlib un paio di anni dopo.” (Erhaim Z., 2020).
Nell’articolo Carrying Home Within, Zaina Erhaim descrive come le città del governatorato di Idlib erano cambiate nel 2011. C’era un insolito sentimento di cameratismo e amore: quel tipo di amore per cui una persona si farebbe arrestare o sparare, per conto di un’altra che non conosce (Erhaim Z., 2020). Inoltre c’era un’ampia partecipazione e spirito d’iniziativa sia della società civile che degli attivisti. Tra questi c’era Raed Fares che iniziò a dedicarsi alla documentazione di quanto accadeva nella cittadina di Kafr Nabel. Qui gli attivisti si mobilitavano come potevano: c’era chi organizzava le manifestazioni (tra cui Raed Fares) e che per fare questo in sicurezza si spostava nelle campagne di Jabla (“The Syrian Observer”, 2018), altri che invece cercavano di diffondere informazione e consapevolezza attraverso slogan pro-libertà lasciati fugacemente sui muri della città, altri ancora che informavano con disegni e fumetti, tra cui Ahmad Jalal (Syrian Network For Human Rights, 2022) che fondò insieme a Fares l’ufficio stampa del centro mediatico e continuò a lavorare a stretto contatto con lui anche dopo la nascita di Radio Fresh (Erhaim Z., 2022).
L’auto-organizzazione nel Paese si allargava in maniera strutturale a partire dai CCL – Comitati di Coordinamento Locale – in vista delle successive mobilitazioni.Le diserzioni dei militari si intensificavano, molti di loro sarebbero poi andati a formare il l’ESL – l’Esercito Libero Siriano – (Trombetta L., 2014), mentre iniziavano a verificarsi le prime imboscate ai posti di blocco da parte di civili nel tentativo di raccogliere armi per essere in grado di proteggere la popolazione (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017). A Dara’a il 18 marzo le persone ritornarono ad occupare le strade e, in questa occasione, la repressione fu particolarmente violenta. Due giorni dopo il governo decise di tornare sui propri passi, forse per timore che l’ultima repressione portasse maggiore destabilizzazione, e dunque rilasciò i ragazzini. Le morti però continuavano e il loro rilascio non fu accompagnato da alcuna dichiarazione dal governo, e così ancora una volta a distanza di una settimana, un nuovo venerdì di protesta era alle porte (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017) e le strade si riempirono anche il 23, 25 e 26 marzo. In tutta risposta, l’esercito siriano arrivò con i carri armati dello stato, entrando nella città, serrandone le vie di entrata e d’uscita, isolandola per quindici giorni. Le forniture di acqua, elettricità e Internet furono sospese.
- “Nessuno sapeva quello che stava succedendo. Le persone non potevano continuare così, iniziavano a mancare loro le forze per contrastare l’esercito. Intanto le persone che morivano venivano messe dentro ai frigo. Sai le celle frigorifere per il cibo? Del pollo o delle verdure? Venivano messi lì i morti perché non c’era più posto dove metterli o seppellirli. Coloro che invece erano stati arrestati venivano stipati nella scuola. Hanno trasformato la scuola in una prigione.”(Intervista, Zarqa, Giordania, 2017)
Su pressione del Parlamento, il 30 marzo arrivò il discorso del Presidente:
- “La regione di Dar’a è nel cuore di tutti i siriani, la gente non ha alcuna responsabilità per quello che è successo. Ho dato chiare disposizioni di non ferire alcun cittadino. Mi dispiace per le vittime, e mi sento triste per loro, indagheremo sugli eventi che hanno provocato la morte dei nostri concittadini. Chi ha sbagliato pagherà.” (Parole di al-Assad tratte da Al-Bab, 2011)
Bashar al-Asad proseguì, sostenendo che i video amatoriali degli scontri che passavano in Tv o venivano inoltrati per messaggio da settimane erano tutti falsi e non facevano altro che fomentare la sedizione. Infine, aggiunse anche un durissimo attacco, anche se non esplicito, ad Al Jazeera:
- “Parte della colpa è di chi su Internet e in Tv ha falsificato le notizie. Le divisioni sono iniziate settimane fa attraverso i canali satellitari” (Al-Assad B., 2011).
Il primo venerdì di manifestazione a Kafr Nabel fu il 1 Aprile 2011. Lo scopo era sensibilizzare sui massacri a Dar’a come detto da Raed Fares.
In questa occasione si verificò una cosa che dà forma e concretezza al concetto espresso dai ricercatori Enrico de Angelis (fondatore di SyriaUntold) e Yasran Badran (visiting professor presso la Libera Università di Bruxelles), ossia conflitto di informazioni tra fonti pro e anti-regime. Alla manifestazione, le persone marciarono senza bandiere o striscioni, nella forma più intima di solidarietà. I neo cittadini giornalisti e fotografi, tra cui anche Raed Fares documentarono questo evento e inviarono i propri materiali audiovisivi a diverse testate giornalistiche, tra cui anche Al-Jazeera (The Young Turks, 2017; Syrian Network For Human Rights, 2022). Uno di questi video per vie traverse arrivò anche ad essere trasmesso da Addounia TV (una delle televisioni pro-Assad). Vista la mancanza di striscioni, la redazione dichiarò che la manifestazione non era siriana e che si trattava di proteste esterne al paese (The Young Turks, 2017; Syrian Network For Human Rights, 2022). È stata questa distorsione di informazioni che ha fatto nascere l’idea degli striscioni di Kafr Nbel che hanno reso la cittadina il simbolo della Rivoluzione per la libertà e la dignità. (Katoub M., 2018 – 2019). Nelle parole di Raed Fares:
- “Abbiamo capito fin dalle prime settimane della rivoluzione che i media sono al centro della nostra battaglia contro il regime, quindi dovevamo trovare qualcosa di abbastanza forte perché il mondo notasse le nostre manifestazioni, e così abbiamo pensato a questi striscioni, che abbiamo scritto in arabo, inglese e persino russo e cinese” (Raed Fares citato da Erhaim Z., 2022).

A partire da questo momento, ogni manifestazione doveva avere bandiere e striscioni con data, luogo e motivo della manifestazione che doveva essere l’espressione delle aspirazioni del popolo siriano, onde evitare incomprensioni e per trasmettere al mondo la voce dei siriani. Il seguente video spiega questo concetto attraverso una canzone:
(da 1:00 a 1:50)
- Oh Bashar, ascolta bene!
- Partirai molto presto, questa rivoluzione non si tirerà indietro.
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- […]
- Addounia TV sei una manipolatrice, una bugiarda, e non ti vogliamo.
- Sei famosa per la stupidità!
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- Qui abbiamo Al Jazeera, una reputazione così dolce.
- Non c’è niente di simile nel paese.
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- Il tuo ultimo venerdì Bashar!
- (Syrian Freedom, 2012)
Raed Fares e Ahmad Jalal iniziarono anche a preparare di volta in volta delle caricature.

Queste sono diventate un marchio di fabbrica di Kafr Nabel, tanto è vero che il popolo siriano attendeva sempre il venerdì successivo con grandi aspettative. Ben presto in tutta la Siria i venerdì divennero dei giorni importanti. Tanto importanti che, con il passare del tempo le preparazioni per queste giornate diventarono stressanti per gli attivisti che le organizzavano: bisognava portare a termine le frasi, i dipinti, controllare la traduzione e l’ortografia prima che il calligrafo li riscrivesse (Erhaim Z., 2022).

Ulteriore motivo di stress era il fattore sicurezza: poter essere vittime di bombardamenti, non poter garantire l’incolumità ai partecipanti e poter essere tacciati di co-responsabilità in quanto giornalisti da alcuni manifestanti.
- “Raed non ha dormito né mangiato la sera prima, nutrendosi di sigarette e caffè. «Sai, Zaina, se l’arsa (Bashar al-Assad) bombarderà i manifestanti oggi, vorrei essere tra i cadaveri. Altrimenti, la gente mi mangerà vivo».” (Erhaim Z., 2022)
Per sostenersi il più possibile a vicenda in questi momenti di grande responsabilità e stress, nacquero diversi gruppi tra cui il Comitato di Coordinamento di Kafr Nabel – alla cui formazione ha partecipato Raed Fares – e Media Center, che poi nel 2012 sarebbe andato a confluire nella formazione dell’Union of Revolutionary Bureaus, che diede a sua volta vita alla sede di Radio Fresh l’anno successivo. A contribuire alla sua fondazione furono sia Raed Fares che Ahmad Jalal, Hammoud Jounaid e Khaled al Essa. L’URB (Organizzazione Nazionale della Società Civile)raggruppava diverse organizzazioni tra cui la radio. Queste avevano l’incarico di eseguire progetti per la società civile che spaziavano dalla responsabilizzazione dei membri della comunità all’emancipazione delle donne, dalla formazione dei media all’istruzione, ai servizi medici, alla formazione professionale, ai programmi culturali e alle narrazioni contro l’estremismo (Bassiki M., Al-Ibrahim A., Hamado H.A., 2020). L’URB riuscì in questo modo a dare lavoro a 670 persone. Zaina Erhaim ebbe la possibilità di visitare il centro e ne parlò in uno dei suoi articoli scrivendo:
- “Ho passato un paio di giorni con loro nel loro ufficio stampa. Era un affascinante alveare, uomini che entravano e uscivano continuamente, giornalisti locali e internazionali che lo usavano come hub, madafa (pensione), ostello e ristorante allo stesso tempo. Coprivano tutte le spese dei loro ospiti e si rifiutavano di ricevere anche un centesimo dai visitatori. Per potermi pagare una cena dovevo andare da sola al souk a comprare il cibo e mi accusarono di rovinare la loro reputazione.
- Lavoravano più di 20 ore al giorno, i loro occhi erano sempre gonfi e rossi, facevano i turni in modo che un membro del team fosse sempre pronto se chiamato per filmare un bombardamento o un attacco o per offrire qualsiasi altro tipo di aiuto” (Erhaim Z., 2022).
Intanto il Presidente dimostrava di rigettare ogni responsabilità rispetto all’accaduto e parlava di intavolare un dialogo nazionale come aveva fatto in precedenza ma le sue azioni suggerivano ben altro, prova ne sia che oscurò internet a Dar’a e Homs, e riaprì la prigione di Tadmur (Trombetta L., 2014). Inoltre, si contavano già 107 vittime solo nel mese di marzo secondo il Centro di Documentazione sulle Violazioni in Siria, Vdc. Pertanto le sue parole non furono in grado di tamponare l’emorragia, anzi, smascherarono le sue intenzioni. Le proteste divampavano a macchia d’olio in tutto il Paese con sit-in universitari, mentre a Dara’a la situazione restava la più grave, motivo per cui le piazze vennero ripetutamente occupate dal primo aprile. Il 29 aprile venne rapito Hamza al Katheeb, un bambino di 13 anni il cui corpo, senza vita e con evidenti segni di tortura, venne poi ritrovato il 25 maggio sulla porta della sua casa (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017).
Quelli che erano dottori o che avevano studiato medicina venivano presi di mira dai militari del regime. I militari andavano a prenderli in macchina per portarli via, oppure li ammazzavano davanti alla loro famiglia. […] Perché loro andavano a comprare i medicinali per aiutare gli altri, per curarli, salvarli. Allora i militari andavano a bussare alle loro porte dicendogli che o stavano dalla parte del regime oppure accettavano come conseguenza la morte. La città si trovava in uno stato di guerriglia, che richiese un cessate il fuoco umanitario di almeno due ore al giorno per il rifornimento di medicine, acqua, latte per i bambini e sangue per le trasfusioni (Intervista, Zarqa, Giordania, 2017).
Nel 2012 la Siria entrò in una nuova fase quella della rivoluzione. Fu evidente come prendesse pieghe diverse a seconda del paese nella regione perché, sebbene le manifestazioni dall’Atlantico al Golfo fossero nate con le stesse rivendicazioni le strutture organizzative, le pratiche, e i piani d’attacco delle masse erano strettamente statali. Anche in Libia, Libano e Yemen scoppiò la guerra. Il livello di coinvolgimento degli stati occidentali nella tutela dei diritti umani tuttavia fu ridimensionato. In particolare gli Usa non volevano essere direttamente coinvolti, dopo il loro fallimentare interventismo di stampo leading from behind in Libia nel 2011 (Kaplan,F., 2016). Durante la campagna elettorale statunitense del 2012 questo tema è stato ampiamente ripreso e discusso, in particolare nel terzo dibattito presidenziale per via del Benghazi Case, per capire come muoversi sulla questione siriana. L’interpretazione della realtà regionale da parte di entrambi i candidati era estremamente centrata sulla prospettiva statunitense. Anche l’intervista fatta dal Wall Street Journal ad Assad mostra sfumature di questo genere. Quando il giornalista gli domandò se gli Usa sarebbero stati ancora in grado di avere un’influenza sulla regione, e utilizzò l’espressione imporre, Assad non perse l’occasione per puntualizzare che gli Usa non avevano l’autorità di imporre la loro volontà ad altri stati. Si dichiarava inoltre stupito dall’uso di un doppio standard, visto che la domanda lasciava intendere una volontà da parte degli Stati Uniti di portare avanti queste pratiche come pure di definire Gheddafi, Al Sisi, Mubarak e lui stesso (Assad), dittatori.
C’era una crescente preoccupazione nei confronti di Assad più che giustificata dato che il regime siriano era indiscutibilmente più forte del regime di Gheddafi. E inoltre Bashar al Assad era riluttante ad assumersi le sue responsabilità per le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra, come risulta dalle sue parole.
- La scorsa settimana, una commissione indipendente delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto, diceva che il suo governo ha commesso crimini contro l’umanità (torture, stupri e altre forme di violenza sessuale contro manifestanti, compresi i bambini), cosa direbbe all’Onu? Riconosce queste accuse?
- Molto semplicemente direi di inviare i documenti e le prove concrete che hanno e vedremo se è vero o no. Finché non abbiamo i documenti e le prove non possiamo dire sì (è successo) questo è normale… Non possiamo dirlo solo perché: “Oh l’hanno detto le Nazioni Unite!” Chi ha detto che le Nazioni Unite sono un’istituzione credibile? (B. Walters, B. Assad, 2011)
A Kafr Nabel in questo periodo gli scontri tra il regime e le milizie dell’opposizione, avviate con maggiore intensità a giugno, proseguirono (Trombetta, 2014; Fares R., 2015). Avendo un ampio controllo sul governatorato, il regime interruppe le forniture essenziali facendo crescere una forte instabilità, che veniva ulteriormente esasperata dal crollo della lira siriana e dai continui scontri (De Angelis E., Badran Y., 2016). Ciononostante, gli attivisti di Kafr Nabel continuavano a portare avanti i loro progetti: organizzavano a Jabla le manifestazioni, facevano sfoggio dei loro striscioni per le strade e caricavano le loro grafiche sul Web. Tutto ciò veniva fatto con maggiore difficoltà rispetto all’anno precedente viste le nuove condizioni, complicate dal fatto che l’esercito del regime faceva le prime irruzioni negli uffici dei giornalisti al Urb.
Quello che oggi vediamo è il germogliare dei semi che erano stati piantati in quegli anni da chi aveva deciso che la paura non era più sufficiente a non immaginare che qualcosa potesse cambiare, dandoci una grande lezione di vita. Quello che era successo a Dar’a sembrava essere diventato un manifesto emotivo per il quale ciascuno decise di fare la propria parte. Tra questi ci fu chi fondò Radio Fresh nel 2013 Raed Fares,Hammoud Jounin e Khaled al Essa. Molti conoscevano il lavoro della radio tra cui quella che Raed Fares definiva “la giornalista più importante di Idlib”, Zaina Erhaim (Erhaim Z., 2022) che aveva scelto di diventare giornalista quando ancora era al liceo. Voleva sfidare le norme del patriarcato che governavano quella terra dove poche cose erano concesse e a lei come a molte altre mancava la libertà di camminare sola per strada con una sigaretta in mano o sedersi a un caffè (Erhaim Z., 2020). Invece alla porta di casa si ritrovava signore che le chiedevano se c’erano ragazze da dare in sposa o se lei stessa fosse sposata e quando rispondeva di no le toccava sentirsi dire che apparteneva alla “nuova generazione di ragazze e tradizioni perdute” (Erhaim Z., 2020). E quindi seduta sull’ulivo del giardino del nonno si ripromise di diventare la prima giornalista donna di Idlib. Si traferì a Damasco per studiare all’università trovando il tempo per tornare a casa nel weekend:
- “Il giovedì i miei amici mi dicevano che mi brillavano gli occhi, sicuramente perché […] stavo tornando a casa. Il mio programma per il primo giorno comprendeva una grande festa con la mia famiglia allargata, seguita da un tè alla cannella e poi lunghe e tortuose chiacchierate per recuperare due settimane di pettegolezzi. Il secondo giorno una gita alla fattoria per bere altro tè e sgranocchiare semi di girasole negli uliveti, indipendentemente dal meteo.” (Erhaim Z., 2020)
Successivamente ebbe la possibilità di continuare i suoi studi a Londra, da dove per i primi anni dopo la rivoluzione si spostava per coprire quanto succedeva ad Aleppo e Idlib.
In un post Facebook di Raed Fares del 6 aprile 2012 si vede un uomo seduto a gambe incrociate che sorride in direzione del fotografo. L’uomo in fotografia è Hammoud Jounin definito da Raed Fares come “il grande eroe rivoluzionario”. Come lui anche Khaled al Essa era amico e collega di Raed Fares ed erano entrambi fotografi. Hammoud Jounin aveva acquisito una fama internazionale come il fotografo di barili (Bassiki M., Al-Ibrahim A., Hamado H.A., 2020), Khaled al Essa invece si era dedicato a riportare gli eventi della regione di Idlib e anche della città di Aleppo, spesso collaborando con il giornalista Hadi Al Abdullah (100facesyrev, 2020) che lo aveva definito “un eroe” in un suo post su Instagram il 24 giugno 2022: “i suoi occhi pieni di fiducia nella rivoluzione avevano attraversato i luoghi più pericolosi per trasmettere al mondo il dolore e le conquiste dei siriani”.
Raed Fares invece si presentava come attivista dei media e della società civile (Fares R., 2015) e successivamente, manager di Radio Fresh (El-Baghdadi I., 2018). Kafr Nabl classe 1972, proveniva da una famiglia conservatrice, che sotto il regime aveva tratto alcuni vantaggi come ha spiegato il giornalista siriano Fouad Roueiha: “però nella sua vita ha preso una scelta a cui è stato fedele fino alla fine pagandone anche le conseguenze”. Studente di medicina, lasciò l’università per lavorare nel settore immobiliare (Erhaim Z., 2022). Per Zaina Erhaim, Raed Fares era un amico. In un suo articolo Zaina Erhaim ricorda la prima intervista che gli fece:
- “Ho fatto l’intervista via Skype, dato che ero a Londra e stavo finendo il mio master. «Dragon mouth fire” era il nome utente dell’account di Raed, il che mi ha confuso. Perché la mente matura e intelligente dietro quei messaggi avrebbe dovuto scegliere un nickname così infantile? Il suo stato, però, era “I have a dream».” (Erhaim Z., 2022)
Quando arrivò il momento di pubblicare il suo articolo Raed Fares fece una richiesta a Zaina Erhaim che scrive:
“Raed voleva usare il suo vero nome nel mio articolo, mentre la stragrande maggioranza degli attivisti siriani all’epoca usava nomi di guerra, temendo rappresaglie da parte del regime. Ero titubante a farlo, ma lui mi disse: «Da aprile di quest’anno, ho partecipato alla rivolta con il mio volto scoperto, il mio nome completo, i manifesti e persino la mia bara (i manifestanti li portavano per indicare che erano pronti a morire per la causa), e questo mi ha costretto ad abbandonare la mia casa e la mia famiglia per vivere in una tenda sulle montagne con al-ahrar (persone libere) che condividono gli stessi sogni». Ho inserito il suo nome nell’articolo e ho concluso il mio articolo con la sua citazione: «La nostra paura della morte e del regime è svanita, il nostro spirito è alto come il cielo e vinceremo presto».” (Erhaim Z., 2022)
- Interviste:
- Intervista, Mafraq, Jordan, 2016, Non Dalla Guerra. Traduzione a cura di Nur Brijawi.
- Intervista, Zarqa, Giordania, 2017, Non Dalla Guerra. Traduzione a cura di Nur Brijawi.
- Immagini:
- Immagine di Raed Fares, Kafr Nabl – Idlib, 5 ottobre 2012, consultabile sulla pagina Facebook dell’autore. Per eventuali richieste scrivere a info@festivaletteratura.it.
- Immagine di Raed Fares, Kafr Nabl – Idlib, 18 agosto 2012, consultabile sulla pagina Facebook dell’autore. Per eventuali richieste scrivere a info@festivaletteratura.it.
- Immagine di Raed Fares, Kafr Nabl – Idlib, 7 giusto 2012, consultabile sulla pagina Facebook dell’autore. Per eventuali richieste scrivere a info@festivaletteratura.it.
L’AUTRICE:
Jo Meg Kennedy si è laureata all’Università di Bologna in Scienze Internazionali e Diplomatiche nel marzo del 2023 dove ha approfondito studi di area per le regioni del Sud Ovest Asiatico e dell’America Latina. Attualmente sta completando uno stage giornalistico a Roma per Il Fatto Quotidiano.
IL PROGETTO:
Meglio di un romanzoè un progetto nato a Festivaletteratura nel 2013. È coordinato dal giornalista e condirettore di Q Code Magazine Christian Elia ed è rivolto a giovani autori di età compresa tra i 18 e i 30 anni che vogliano presentare al Festival un’opera inedita di giornalismo narrativo, tanto individuale che collettiva, in forma di reportage tradizionale, podcast o videoracconto. A partire dal 2017, dopo il lancio del bando annuale e la proposta dei temi, la selezione delle candidature e la discussione dei lavori al Festival in occasione delle pitching session, uno dei progetti partecipanti viene scelto per essere sviluppato a puntate sul sito e sui canali social di Festivaletteratura e della rivista Q Code Magazine. Negli anni sono nate produzioni originali capaci di raccontare realtà poco note del nostro Paese e non, talvolta completamente trascurate dalla stampa mainstream: città in rovina, universi lavorativi, eremi di silenzio, sanatori e sentieri dimenticati, quartieri difficili, paesaggi fluviali.