Decolonizzazioni

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30 Gennaio 2020

Un documentario in tre episodi di Arte racconta l’oppressione coloniale e i movimenti di resistenza dall’Ottocento ai giorni nostri

“Quando comincia la lotta? Che giorno? E come? Da dove viene la scintilla che porta alla rivolta?” 

Dall’India all’Algeria, dal Kenya al Vietnam, l’oppressione coloniale ha profondamente mutato e deformato società, istituzioni, economie.

Spesso le immagini dell’orrore delle violenze si sono sfumate dietro la retorica del progresso civilizzatore, giunto in terre barbare e arretrate per portare le innovazioni della civiltà europea, come nel noto caso delle ferrovie britanniche in India.

E ancora, i movimenti di resistenza alla repressione coloniale e al modello di sfruttamento economico che sottende a ogni colonialismo sono troppe volte dimenticati o non adeguatamente compresi nel loro significato.

“Decolonizzazioni” è un documentario in tre episodi distribuito da Arte, il quale ricapitola la storia delle numerose e multiformi resistenze dei colonizzati da metà Ottocento fino ai nostri giorni. Con un approccio cronologico rigoroso, il documentario prende abbrivio dalla rivolta dei Sepoys in India nel 1957 e decide di concludersi con le rivendicazioni degli anziani Mau Mau per avere dal governo i risarcimenti che loro spettano.

 

 

A colpire è soprattutto la cura nell’intreccio del racconto, in cui le traiettorie di una molteplicità di Paesi si alternano alle storie di singoli combattenti e militanti più o meno noti: Hô Chi Minh, Franz Fanon, Indira Gandhi, ma anche la kikuyu Mary Nyanjiru – uccisa nel 1922 durante delle proteste – o la poetessa Sarojini Naidu e via elencando. Un’operazione non facile, perché come spiegato in una intervista a France Culture, gran parte del materiale disponibile, specialmente video e fotografico, proviene proprio dagli archivi coloniali.

 

 

Fra gli autori del documentario figura inoltre Karim Miské, scrittore franco-mauritano tradotto anche in Italia (Arab Jazz, Appartenersi), particolarmente sensibile alle questioni legate all’identità. Una sensibilità che impreziosisce il lavoro, con riferimenti alle scelte linguistiche della produzione letteraria (si pensi allo scrittore algerino Yacine Kateb, che molto ha scritto in francese nonostante la sua militanza anticoloniale) o all’auto-racconto del sistema cinematografico di Nollywood in Nigeria.

 

 

“Finisce così la storia? Con un happy ending?”

Il finale è volutamente aperto, rendendo conto di un elemento cruciale dei processi di decolonizzazione. La liberazione non si esaurisce con le dichiarazioni di indipendenza, non solo perché una serie di nuove e vecchie élite ha stretto varie alleanze con i gruppi di potere delle ex colonie. La liberazione dall’oppressione coloniale passa anche per un ripensamento del sé e per una affermazione del proprio ruolo e della propria presenza, soprattutto nelle società in cui i colonizzati e i loro discendenti sono immigrati.

Un ritorno sulle “scene del delitto” per rivendicare la propria storia.

 

Studi e misurazioni antropologici - ©Royal Anthropological Institute

 

Foto di copertina: Campo prigionieri per i Mau-Mau catturati dai britannici – © Terrence Spencer/The LIFE Images Collection/Getty Images