Viaggio nei territori contaminati d’Italia

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15 Settembre 2021

Non solo la Terra dei Fuochi, in tutta Italia il fenomeno della contaminazione dei territori per mano criminale o dovuta alle attività industriali è diffuso a macchia di leopardo

Non solo la Terra dei Fuochi, in tutta Italia il fenomeno della contaminazione dei territori per mano criminale o dovuta alle attività industriali è diffuso a macchia di leopardo. Da molti anni i cittadini denunciano un quadro sanitario spaventoso, ricevendo dalla politica l’accusa di essere allarmisti. Nonostante i piani economici e l’impegno a parole delle istituzioni nazionali ed europee, siamo sicuri che la riconversione non rischi di ridursi soltanto ad un’occasione sprecata?

di Rita Cantalino, tratto da Café Babel

Terre di veleni

Secondo uno studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’ASL di Taranto in collaborazione con l’Università di Brescia, i bambini del quartiere Tamburi, a Taranto, hanno un QI più basso di quelli che abitano in altri quartieri. Sono i più vicini all’ex Ilva, la grande fabbrica di acciaio in città.

Spostandosi nella penisola, i bambini della Grazia Deledda di Brescia non possono giocare sul prato del giardino interno della loro scuola, sono costretti su una piattaforma di cemento: in città un’ordinanza vieta di toccare il terreno, come di coltivare orti, nutrirsi o nutrire animali dei frutti della terra.

Per oltre quarant’anni la Caffaro ha prodotto PCB, composti simili alle diossine, che hanno contaminato i suoli. In Terra dei Fuochi, tra Napoli e Caserta, c’è un eccesso di ricoveri di bambini nel primo anno di vita. Sono 7000 in più rispetto alla media di altri territori. 22.000 per quelli fino a 14 anni. Le cause sono problemi respiratori e asma, ma anche elevata incidenza di tumori e mortalità.

I dati sono forniti da Sentieri, Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio di Inquinamento, un’indagine condotta su 45 SIN (Siti di Interesse Nazionale) o ex SIN, aree che, secondo una legge del 2006, sono classificate come contaminate e in cui è necessario fare bonifiche.

Sentieri mostra le elevate percentuali di mortalità e di incidenza tumorale o di altre malattie per le persone residenti presso i SIN, e approda a un altro dato: il 60% della popolazione di queste aree appartiene alle fasce sociali svantaggiate.

Più sei povero, più vivi in territori degradati, più ti ammali.

Da dove provengono i veleni?

Gran parte dei veleni sono conseguenze della storia dello sviluppo industriale. “Guardando alla mappa dei SIN – spiega Maura Peca, ricercatrice del Centro Documentazione Conflitti Ambientali – possiamo vedere la mappa del ‘900 in Italia: alcune contaminazioni derivano dall’industria bellica, chimica e del carbone dell’inizio del secolo; altri territori pagano le conseguenze dell’industria legata al petrolio, esplosa a cavallo tra le due guerre; altre aree, infine, sono contaminate dalle industrie dei consumi di massa, automobili, elettrodomestici o di oggetti in plastica, diffuse dal Secondo Dopoguerra”.

Presenti in tutte le regioni d’Italia a eccezione del Molise, i SIN sono 42. Inizialmente erano 58, ma una serie di aree sono state declassate a SIR (Siti di Interesse Regionale): egualmente contaminati, ma la competenza per le bonifiche spetta alle amministrazioni regionali. In tutto contiamo quasi 35000 SIR.

Anche queste aree sono figlie dello sviluppo industriale dello scorso secolo, delle fabbriche che hanno lasciato vuoto sociale e conseguenze sanitarie.

Ma sono legate anche a contaminazioni di altro genere, dovute a meccanismi più o meno leciti di smaltimento di rifiuti: alle politiche miopi che hanno scelto l’incenerimento come meccanismo privilegiato di smaltimento, alle discariche che si sono riempite negli anni di materiale non differenziato, ma anche a sversamenti illeciti, interramenti di rifiuti pericolosi e roghi tossici.

“Queste attività – ha commentato Vincenzo Forino, attivista in Terra dei Fuochi (tra le province di Napoli e Caserta, in Campania) e presidente dell’Associazione Terra Phoenix – sono il prodotto di una commistione tra imprenditoria criminale, criminalità organizzata e spesso esponenti politici corrotti, conniventi o comunque poco attenti: è da diversi decenni che importanti gruppi di società civile denunciano queste pratiche, ideate sia per risparmiare sui costi di smaltimento sia, soprattutto in determinate aree nell’hinterland di grandi città, per eliminare i rifiuti prodotti da attività produttive legate all’economia sommersa”.

“Queste attività sono il prodotto di imprenditoria criminale e politica”

Il caso della Terra dei Fuochi

La Terra dei Fuochi e il suo Triangolo della Morte (le città di Acerra-Nola-Marigliano) sono stati più volte al centro delle attenzioni mediatiche. Da molti anni i cittadini denunciano un quadro sanitario spaventoso, ricevendo dalla politica l’accusa di essere allarmisti.

Nel 2007uno studiodell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dell’Istituto Superiore di Sanità, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Regione Campania ha confermato quello che che da tempo chi abita in quei territori sapeva bene: «la mortalità per tutte le cause è risultata in eccesso significativo per gli uomini del 19% nei comuni della provincia di Caserta e del 43% nei comuni del Napoletano; per le donne del 23% nel casertano e del 47% nel napoletano».

I numeri sono impressionanti, di più i loro effetti materiali: si tratta di situazioni in cui non bastano le dita di due mani per contare il numero di conoscenti malati di tumore; in cui ogni famiglia conta almeno un morto, in cui nello stesso condominio ci sono due, tre, anche quattro persone gravemente malate. Il 2013 fu l’anno della svolta.

Il pentito di camorra Carmine Schiavone dichiarò ai microfoni de Il Fatto Quotidiano che per decenni aveva coordinato lo sversamento di rifiuti tossici nei terreni e di aver già raccontato tali attività in un interrogatorio secretato dall’allora Ministro degli Interni, Giorgio Napolitano (divenuto nel frattempo Presidente della Repubblica al tempo delle interviste). Ne seguì una diffusione amplificata dei dati che soltanto i centinaia di comitati territoriali conoscevano da cui derivarono mesi di proteste culminate con un corteo di 150.000 persone per le strade del capoluogo campano, Napoli.

Discariche nella Terra dei Fuochi

Il ruolo delle istituzioni

Se la consapevolezza è aumentata esponenzialmente grazie all’impegno di gruppi formali e informali, delle instancabili mamme di bambini sacrificati, del lavoro indispensabile dei parroci locali, delle reti di medici di base, contadini, tecnici, pochi sono stati gli effetti materiali.

La legge speciale sulla Terra dei Fuochi ha compiuto sette anni senza che il fumo acre che riempie i polmoni dei cittadini campani si sia diradato: non sono diminuiti gli effetti nocivi (l’edizione 2019 di Sentieri lo conferma) e non è cambiato l’atteggiamento della politica, con l’attuale Presidente della Regione che per mesi ha accusato gli attivisti dei movimenti di essere dei terroristi e fare il gioco della criminalità organizzata.

Quella della Terra dei Fuochi è solo la vicenda più nota di un meccanismo diffuso a macchia di leopardo in tutto il Paese, che vede la contaminazione per mano criminale sommarsi a quella dovuta alle attività industriali: la percentuale di territorio complessivamente interessata è del 3%.

Nonostante l’urgenza, le bonifiche procedono a rilento: appena il 15% per i SIN, mentre sono più di 16.000 i SIR in cui non si è ancora avviato alcun procedimento, nemmeno di analisi.

La situazione non sembra migliorare anche adesso che la transizione ecologica è divenuta monito e obiettivo condiviso. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza elaborato del governo italiano per il programma Next Generation EU non si si dedica quasi alcuno spazio alla necessità di bonificare i territori, e anzi, la sola innovazione contemplata è quella tecnologica: nessun intervento, nessuna trasformazione delle condizioni che hanno portato alla situazione attuale.

Nel PNRR nessun intervento sulle condizioni che hanno portato alla situazione attuale.

La fabbrica della morte rimane aperta

Anche la fabbrica della morte, l’ex Ilva di Taranto, è interessata dalla vicenda: se qualcuno si aspettava la chiusura degli stabilimenti si è scontrato invece con mirabolanti progetti di trasformazione tecnologica degli impianti.

Gli impianti vetusti, le emissioni velenose, la lunga sfilza di morti bianche, il calo della domanda globale di acciaio, i 4000 dipendenti in cassa integrazione non hanno potuto evitare il salvataggio della fabbrica. L’ennesimo, da quando nel 2012 per la prima volta una magistrata ne decretò il sequestro per i gravi impatti sanitari.

Da allora sono stati 12 i decreti “Salva Ilva”, migliaia le morti non evitate. “Quando vieni da un territorio come il mio – raccontaVirginia Rondinelli, del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti di Taranto – e senti parlare di Transizione ecologica, sai bene che non devi farti troppe illusioni. La fabbrica nella nostra città inquina e ammazza da sessant’anni, ma nemmeno adesso che stanno riscrivendo il PNRR, nemmeno ora che tutti sembrano orientati a ricostruire un’Italia e un’Europa ecologiche e sostenibili, il Governo valuta la possibilità di chiuderla.”.

“L’ex Ilva inquina e uccide, ma neanche ora il Governo valuta la possibilità di chiuderla.”

Quale riconversione ecologica?

Quella della riconversione rischia di essere un’importante occasione sprecata per il rovesciamento radicale delle politiche economiche, industriali e ambientali che lo stato di contaminazione del territorio italiano richiede: ancora una volta gli interessi dominanti paiono essere quelli economici.

La Next Generation erediterà un territorio martoriato e senza prospettive di crescita, la Resilienza appare un’utopia, sostituita da un’innovazione meramente tecnologica, miope rispetto alla necessità radicale di cambiamento che il mondo post pandemico, le istituzioni europee e centinaia di migliaia di cittadini stanno invocando.