Lo sfregio

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6 Giugno 2018

Immaginate una massa di parole. Milioni e milioni, miliardi di parole tutte insieme, confuse le une nelle altre, sostantivi e verbi, avverbi e aggettivi, plurali, singolari. Miliardi di suoni che hanno un significato dentro un’enorme vasca di cristallo, annegati dentro un liquido. Sulla superficie solo cinque, sei parole, a galla. Quelle sbagliate.

La campagna elettorale è questo: migliaia di candidati che si affannano per le strade, a incontrar gente, nei mercati, a stampar santini e volantini spesso raccapriccianti e seriali. E poi i leader inseguiti dalla grande stampa, a dirsi addosso, a litigare, in un gioco di enfasi del botta e risposta che non conosce più limiti nelle parole d’odio che vengono non solo pronunciate, ma diffuse dentro ogni canale di comunicazione.

Poi c’è la vita. Il dentista che ti è saltata una otturazione. L’appuntamento con quella bella ragazza, il bollo scaduto e la spesa al super aperto 24 su 24, i figli, il lavoro che non c’è, il lavaggio strade, l’esame del sangue, il raffreddore che non passa quest’anno e quel golfino che ho visto e ho lasciato in vetrina, ma quasi quasi torno a prenderlo.

Lo iato è massimo. Il crepaccio che si è aperto ormai da anni fra la politica del rappresentanti e i rappresentati è più largo e più profondo e soprattutto non si vedono ingegneri pronti a studiare o costruire ponti per attraversarlo.

Ho incontrato due candidate, brave, a casa di un amico. Eh, mi han detto rispondendo a una mia domanda sul perché siano spariti i veri temi dalla campagna elettorale, ci stiamo provando, non è facile.

E lo dicevano anche contro quella che è la comunicazione mainstream dei loro capi politici. Perché il leader gigioneggia o attacca schiumante di livore e poi i candidati vanno a prendersi gli schiaffi al mercato, dove la gente, quella come noi, non li vede proprio di buon occhio questi politici.
Tutti, generalizzando – che è sbagliato -, ma è così, avviene così, è la realtà.

Siamo ostaggio, noi e anche i politici che fanno seriamente il proprio mestiere, delle parole d’ordine di dieci dementi. Pensateci, è così.

Siamo ostaggio della mancanza di aderenza alla realtà, ostaggio dei sondaggi che dovrebbero dire ai politici, ai loro capi, cosa davvero ci interessa e quindi che sogni scegliere dallo scaffale per propinarli da bravi imbonitori.

Niente visione e concezione del mondo. E nemmeno una mediocre rappresentazione dello spirito dei tempi.
La società è brutta e ignorante, nel suo complesso, e su questo c’è poco da dire. Ci sarebbe da fare, però. Il politico, il capo politico che fa? Le dà in pasto la polpetta che la sazia, non certo un discorso di emancipazione culturale, ma un compiacimento e accende la benzina pronta a scoppiare nella speranza di poter trarre voti da quell’incendio. Che è doloso. E che va punito.

La campagna elettorale è stata nauseabonda. Il razzismo, la xenofobia, il fascismo. L’indifferenza verso temi importanti, se non generici slogan sul lavoro, troppo generici.

L’affanno del mostrarsi degni del voto, capaci di risposte, uniti anche nella divisione, capaci anche quando l’alfabeto è ormai troppo obsoleto, coerenti quando non c’è coerenza, tutto questo correre per arrivare al 4 marzo ci consegna al giorno dopo con poche certezze.

Non importa cosa accadrà il 5 – certo che importa, ma seguitemi lo stesso – importa che saranno tutti pronti a proseguire sullo stesso codice sintattico e dialettico. Non ci sono le eccezioni? Niente di positivo in giro? Ma certo che ci sono! Ma sono minoritarie, non riescono a esprimere ancora una forza d’urto interna, soprattutto nel comunicare, tale da poter finalmente avere una discussione su temi veri e seri di campagna elettorale e confronti anche aspri, ma senza odio, senza insulto, senza scherno. C’è chi ha fatto la sua campagna elettorale, sincera, trasparente, chi ci ha provato, ma trascinato sempre là, dove vogliono i dieci dementi. Se non sei capace di dettare l’agenda, o di comunicarla, hai comunque perso.

Perché non siamo in uno show, nonostante 25 e passa anni di dittatura catodica del vecchietto cui oggi traballa la dentiera. Perché la politica se ne deve andare dalle televisioni, se ha solo da dire slogan e numeri a vanvera.

Perché è un mestiere e allora lo si deve fare in ufficio, con gli orari, come abbiamo o ci diamo tutti. Con responsabilità, come ci viene richiesto o ci imponiamo di fare. Il resto è una classe dominate di maiali, orwellianamente parlando, che si diverte a dimenarsi nel fango, i cui schizzi sporcano solo i nostri ottusi musi.

Che ruolo, per la nostra politica estera?
Ha ancora senso investire sempre di più in armi e difesa, quando il welfare va a pezzi?
Il cambiamento climatico: cosa facciamo noi, cosa possiamo contribuire a fare a livello internazionale?
Lavorare meno, lavorare tutti (e meglio?) come diceva il titolo di un nostro bel pezzo?

Come vogliamo modificare il percorso dell’istruzione, come vogliamo affrontare la robotizzazione e automazione, come vogliamo e che cosa vogliamo scrivere nelle nostre leggi sul fine vita, sulle battaglie che ci attendono ancora per la parità di genere, sui diritti calpestati di chi è in viaggio in questo mondo, su come trasformare la nostra società, come educarci a consumi sostenibili, come diffondere nuove pratiche virtuose. E alla via così.

Non è vero che non ci sono le idee. C’è una classe dominante da prendere a calci nel sedere, mezzi di informazione che non fanno informazione, gruppi di clientelismo catodico che perpetuano falsi opinion leader, sempre le stesse persone ospitate per recitare i siparietti che poi viralizzano in rete.

Questo è il grande sfregio. Ci colpisce. Ci deturpa, deturpa il corpo sociale. E a noi, a quanti capiscono cosa sta accadendo, spetta reagire.