Un percorso di ricerca fotografica sullo sciismo politico in Iraq
Per la prima volta, da dieci anni a questa parte, l’Asse della Resistenza appare fortemente indebolito. La rapida ascesa dei ribelli Hayat Tahrir al-Sham in Siria, le operazioni militari di Israele ai danni di Hezbollah in Libano e i recentissimi attacchi statunitensi contro gli Houthi in Yemen, hanno esposto le fragilità intrinseche delle politiche di influenza iraniana nella regione. A quasi cinque anni dalla morte di Qasim Soleimani (ucciso in un attacco drone all’aeroporto di Baghdad, nel gennaio 2020), architetto della rete armata transnazionale legata all’Iran, la Repubblica Islamica appare sempre più isolata, potendo contare solamente sull’appoggio delle milizie d’Iraq. Quell’Iraq protagonista di uno dei conflitti più lunghi e cruenti del storia d’Iran, oggi rimane l’unica stampella a cui il regime degli Ayatollah può poggiarsi per ricostruire un programma che le consenta di rimanere l’attore alternativo all’azione degli stati del Golfo.
L’Iraq rappresenta il laboratorio nel quale l’Iran ha costruito il modello d’azione nel Vicino Oriente, basato su una politica settaria, con ingenti finanziamenti a gruppi che sono assieme attori politici e militari. Il tracollo del regime di Saddam, l’ingenuo processo di “libanizzazione” delle istituzioni hanno consentito l’ascesa politica della fazione sciita che ha guadagnato la guida del paese, attraversando indenne anche la sanguinaria stagione della guerra civile. Grazie soprattutto alle risorse fornite dall’Iran, che ha foraggiato da un lato quelle realtà politiche propense a superare il tradizionale quietismo dello sciismo iracheno, come il Daʿwa di Nouri Al-Maliki, dall’altro i santuari delle città sante di Kerbela e Najaf, mete di milioni di pellegrini ogni anno, l’Iraq è difatti divenuto lo stato-vassallo dell’ex Persia.
La nascita del nuovo stato iracheno ha coinciso con l’istituzionalizzazione di pratiche sciite vissute per decenni nell’ombra, per via dei numerosi governi sunniti succedutisi dopo la caduta dell’Impero Ottomano. Il paese ospita la più nutrita comunità sciita dopo l’Iran – concentrata tra Basra e la capitale, Baghdad – e i luoghi dove si è consumata la fitna in seno all’Islam. In questo contesto il pietismo verso le figure di Ali Ibn Abi Talib e Hussein, nonché la matrice messianica legata all’agiografia dell’ultimo imam, il Mahdi, sono caricati di un significato fortemente simbolico che fa dell’oppresso – appunto, lo sciita – l’oggetto di liberazione di qualsiasi praxis teo-fondata. Il culto degli imam padri dello sciismo, i grandi eventi di commemorazione della battaglia di Kerbela (l’Ashura e il tradizionale pellegrinaggio dell’Arbaeen, che richiamano milioni di fedeli dalla regione), una radicata tradizione teologica che ruota attorno all’hawza di Najaf – in cui si sono formati alcuni dei più importanti chierici del recente passato, come gli al-Sadr Muhammad Baqir, Musa e Muhammad Muhammad Sadiq, nonché Fadlallah e la più importante voce sciita d’Iraq, l’ayatollah Ali al-Sistani – hanno rappresentato la koinè in cui l’Iran si è inserita dopo l’invasione americana e che le ha permesso di creare una rete di ingerenza sempre più pervasiva.
La lotta contro l’ISIL nel nord del paese ha permesso a Teheran di consolidare un controllo, che si è fatto anche armato dopo la creazione delle milizie del Fronte di Mobilitazione Popolare, a seguito della chiamata fatta da al-Sistani nel 2014. Gruppi militari, organizzati dal generale Soleimani, che non sono stati sciolti dopo la vittoria contro il Daesh, ma che sono stati integrati nel corpo statale e inglobati in una rete di cellule militari distribuite anche in Yemen e Siria, in stretta connessione con gli altri partner dell’Iran nel Levante, Hezbollah e Hamas. E che hanno tenuto botta alla stagione di rivendicazioni tishreeni e si sono rilegittimate nel corso dell’ultimo anno di conflitto a Gaza, con la stessa propaganda anti-imperialista e israeliana di Teheran.
Preservare un siffatto ascendente è dunque fondamentale per l’Iran al fine di continuare a garantirsi un ruolo di primo piano nella regione. Ma le incognite sono tante e gli ultimi mesi hanno dimostrato che le relazioni di carattere etno-settario possono rivelarsi fragili davanti alle specificità del contesto in cui nascono. E non è escluso che la debolezza della Repubblica Islamica non catalizzi l’azione di movimenti che non sono estranei ad una, seppur sinora strumentale, retorica anti-iraniana.
Pellegrini sciiti in visita al santuario dedicato all’imam Musa Al-Kazim, nel cuore di Baghdad. La capitale irachena ospita uno dei luoghi di culto più importanti dello sciismo duodecimano e accoglie ogni anno centinaia di migliaia di visitatori, provenienti soprattutto dall’Iran e dal Pakistan.
Un miliziano di Asa’ib Ahl-Haq, posa con la sua arma e un ritratto del generale iraniano Qasim Soulemani e del capomilizia Abu Mahdi Al Muhandis, uccisi da un attacco drone statunitense all’aeroporto di Baghdad nel gennaio 2020.
Una vista della città vecchia di Mossul, città a maggioranza sunnita, controllata da un cordone di miliziani sciiti dopo la caduta dell’ISIL.
Donne in visita al santuario di Ali Ibn Abi-Talib, a Najaf. La città ospita le spoglie del padre dello sciismo e uno dei più importanti seminari (hawza) religiosi dello sciismo, assieme a quello di Qom in Iran.
Abu al-Kasheeb, una delle periferie popolare di Basra, roccaforte del chierico sciita Muqtada Al-Sadr, già leader della milizia Al-Mahdi, nata nel 2003 per combattere l’occupazione statunitense e ricostituita nel 2014 per contrastare l’avanzata dell’ISIL.
La stazione di Mossul, distrutta durante i combattimenti tra le forze sciite, la coalizione internazionale e l’ISIL.
Una mandria di bufali attraversa l’Arab Al-Ahwār, il territorio paludoso a sud di Nassirya. L’area, abitata perlopiù da sciiti, è stata più volte sottoposta a bonifiche forzate dal regime di Saddam, con l’obiettivo di piegarne la fragile economia a prevalenza agricola.
Pellegrine in marcia verso Kerbela nell’area desertica a nord di Basra.
Manifesti funebri in memoria dei miliziani sciiti caduti nella lotta contro l’ISIL, tra il 2014 e il 2018, all’ingresso della città santa sciita di Kerbela.
Un gruppo di giovani in pellegrinaggio porta il vessillo dedicato all’imam Husayn, caduto in battaglia a Kerbela contro le truppe sunnite di Yazid nel 680 d.C.
Pellegrini iraniani e iracheni si preparano a compiere l’Arbaeen, il pellegrinaggio a Kerbela in memoria del martirio dell’imam Husayin, partendo da Al-Faw, il confine con l’Iran che si affaccia sul Golfo Persico.
Il reportage è parte di una produzione Coop. Camera a Sud Impresa sociale realizzata con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”.