Il muro è un simbolo potente: fa pensare a Berlino e alla Guerra Fredda, a Gerusalemme, ai confini fortificati ormai in tutta Europa e alla frontiera tra Messico e Stati Uniti. Ma non serve andare così lontano per incontrare storie di muri che dividono: basta raggiungere Padova.
È qui che, dalla fine degli anni ’90, prende vita una storia di lotta per la casa e contro la ghettizzazione razzista di un intero quartiere che forse in molti hanno dimenticato, ma che all’epoca richiamò l’attenzione di tutta Italia e oltre.
Nel volume Il muro di via Anelli. Frammenti di vita e di lotta per la casa – lanciato dall’editore Becco Giallo nei giorni di Lucca Comics 2024 – gli autori Giuseppe Zambon e Paolo De Marchi raccontano la vicenda dando voce ai suoi tanti protagonisti, in primo luogo attivisti e residenti.
Il risultato è un resoconto chiaro e lineare di una storia che ha ancora tanto da dire in un’epoca come quella attuale, in cui il problema della casa è esploso con il boom degli affitti brevi e le discriminazioni razziste sono all’ordine del giorno, non solo per chi cerca un alloggio.
La vicenda di via Anelli comincia da lontano: negli anni ’70 e ‘80 i sei condomini del complesso residenziale “Serenissima” di Padova sono abitati prevalentemente da studenti universitari e poi – dall’inizio degli anni ’90 – da migranti provenienti da quindici Paesi diversi.
Le difficili condizioni abitative – nel quartiere ci sono quasi 300 famiglie, oltre 1.200 persone spesso stipate in appartamenti anche di 30 metri quadrati – e la differente provenienza geografica e culturale dei residenti creano i presupposti perché la zona di via Anelli diventi un quartiere difficile, un “ghetto” evitato sistematicamente dal resto della popolazione dove dilagano violenza e spaccio.
Nell’assenza di interventi adeguati da parte delle istituzioni, se non con modalità e finalità repressive, alla fine degli anni ’90 la situazione è sul punto di esplodere: è in quel momento che associazioni locali come Razzismo Stop se ne fanno carico, diventando un punto di riferimento per i residenti attraverso il Comitato per il superamento del ghetto di via Anelli.
Il Comitato mette in piedi servizi sociali e di prossimità di ogni genere per rispondere ai bisogni della popolazione del quartiere, mentre porta avanti la battaglia per la ricollocazione delle famiglie in altre zone della città, conducendo un braccio di ferro dagli esiti alterni con il Comune.
Il volume di Zambon e De Marchi, tuttavia, non si limita a ripercorrere la vicenda in modo asettico: al contrario, come suggerisce il sottotitolo, dà spazio ai “frammenti di vita” di chi ha combattuto quella battaglia, come attivista o residente, restituendo le condizioni precarie di chi abitava in via Anelli, l’abbandono delle istituzioni e i soprusi delle forze dell’ordine, la lotta insieme alle associazioni.
Una lotta dal percorso tortuoso, dall’esito imprevedibile e agrodolce: dopo aver avviato il progetto di ricollocazione dei residenti in collaborazione con il Comitato, infatti, nel 2006 il Comune fa costruire un muro che divide il quartiere dal resto della città, rincorrendo le pulsioni razziste di una parte della cittadinanza e portando il sindaco-sceriffo Zanonato sotto i riflettori delle cronache internazionali.
Il progetto di ricollocazione proposto e avviato dal Comitato si realizzerà positivamente, oscurato però dalla costruzione del muro e concluso nel modo più beffardo dall’Amministrazione comunale: con l’abbattimento dei palazzi di via Anelli, completato nel 2022, per costruire la nuova Questura.
La narrazione securitaria che ha accompagnato gran parte della vicenda e caratterizzato la sua conclusione, in ogni caso, non riesce a offuscare il valore dell’impegno portato avanti dal Comitato, che ha saputo dar vita a una lotta collettiva nel nome della solidarietà e del diritto all’abitare, da cui sono scaturiti anche significativi percorsi di uscita dalla marginalità sociale.