Rileggendo Persepolis di Marjane Satrapi nei giorni delle proteste in Iran

Da ormai due mesi l’Iran è scosso dalle proteste contro la teocrazia al potere dalla fine degli anni ‘70, cominciate dopo la morte della giovane Mahsa Amini il 23 settembre scorso.

Due illustri espatriate iraniane e attente osservatrici di quanto accade nel loro Paese – la premio Nobel Sherin Ebadi e la fumettista Marjane Satrapi – hanno definito i cambiamenti in atto irreversibili, e per certi versi inevitabili.

Nelle ultime settimate, l’Iran sembra essere attraversato da tumulti paragonabili a quelli che nel 1979 portarono al rovesciamento dello Shah e all’instaurazione dell’attuale Repubblica islamica.

Una storia che la stessa Marjane Satrapi ha raccontato circa vent’anni fa in quello che rimane il suo capolavoro, Persepolis: un’opera che riletta oggi offre più di uno spunto per comprendere la situazione attuale.

Nata nel 1969 da genitori progressisti, Satrapi racconta sotto forma di autobiografia la sua storia, che è anche quella del suo Paese, dai giorni della Rivoluzione fino al 1994, anno dell’addio definitivo all’Iran.

La prima sorpresa arriva dalla constatazione che anche la sua famiglia è in prima linea nelle proteste che portano alla caduta dello Shah, fino a quando l’ala più estremista e conservatrice del movimento non prevale sulle altre.

Nel breve volgere di qualche mese, per la piccola Marjane cambia tutto: costretta per la prima volta a indossare il velo, come altre bambine non capisce questa costrizione, e osserva la madre manifestare nelle piazze di Teheran.

Quella che oggi è la questione-simbolo della contestazione al regime – anche se ovviamente non l’unica e probabilmente nemmeno la più importante – emerge come forma di rigetto già nei primi anni ‘80.

Ma la dura repressione del governo appena insediato mette a tacere le ragioni dei manifestanti, grazie anche alla guerra contro l’Iraq che ha l’effetto di relegare in secondo piano le ultime voci di dissenso.

Agli anni di paura della guerra è dedicata la seconda delle quattro parti di cui si compone Persepolis, dopo la prima che testimonia gli anni della Rivoluzione e le contestazioni al nuovo regime.

Il terzo e il quarto capitolo raccontano invece, rispettivamente, la prima difficile esperienza di Marjane all’estero – in Austria – e l’altrettanto faticoso ritorno in Iran prima del trasferimento in Francia a metà anni ‘90.

L’opera, uscita per la prima volta nel 2000, presenta scelte di composizione della tavola, disegno e colore diventate poi il marchio di fabbrica di Satrapi: tratto in stile cartoon, bianco e nero senza sfumature, variazioni sul tema della griglia rigida a nove vignette.

Un approccio sicuramente debitore nei confronti del gruppo di autori che dieci anni prima aveva fondato L’Association – editore che pubblica Persepolis – e in particolare di David B. e del suo Il grande male.

Ma il tempo, per certi aspetti, non sembra essere passato, perché al suo ritorno in Iran dopo quattro anni trascorsi a Vienna, Marjane non riesce più a sopportare le imposizioni morali del regime.

Decide così di tornare in Europa, dove potrà esprimere liberamente il suo talento regalandoci un’opera come Persepolis, divenuta nel frattempo un vero caposaldo della nona arte.

Nell’eterno ritorno che sembra essere la storia dell’Iran negli ultimi decenni, non è dato sapere se le proteste di questi giorni saranno in grado di rovesciare un regime che per tanti versi pare arrivato a fine corsa.

Di sicuro, la contestazione generale seguita alla morte di Mahsa Amini fa tornare alle mente le parole pronunciate dalla madre di Marjane nelle ultime pagine del volume.

“La Rivoluzione ci ha fatto tornare indietro di cinquant’anni, ci vorranno generazioni prima che le cose cambino”. Di generazioni ne sono passate soltanto due: chissà che non siano sufficienti.