Hong Kong dockers

Alla fine hanno accettato il 9,8 per cento di ritocco salariale e hanno tolto il sit-in, dichiarato chiuso lo sciopero dopo 40 giorni di lotta. Una vittoria a metà, perché volevano almeno il 17 per cento di aumento, ma il fatto che ora sia tutto nero su bianco ha fatto sì che la maggioranza votasse a favore dell’accordo.

Pechino – Gabriele Battaglia

Sono i portuali di Hong Kong, i lavoratori dei terminal dove arrivano e partono container da e per tutto il mondo.

Sono circa quattrocento, tutti locali, tutti uomini e tutti lavoratori in affitto, tra i venticinque e i sessant’anni.Per più di un mese si sono accampati con tende e materassi di fronte all’ingresso del terminal di Kwai Tsing a Kowloon – la zona peninsulare dell’ex colonia britannica. Lì restavano, muovendosi compatti solo per azioni di protesta in giro per la città.

Negli ultimi giorni di lotta hanno incassato anche la solidarietà di compagni giunti apposta da Rotterdam, in quella che potrebbe una nuova internazionale operaia. Sanno di essere al centro della creazione contemporanea di valore, fatta più di movimentazione di merci che di produzione vera e propria. Possono interrompere i flussi che alimentano la globalizzazione, essere il cuneo di legno nell’ingranaggio, sempre che altri come loro facciano lo stesso in giro per il mondo.

Il loro nemico è Li Ka-shing, “sir” per la Corona britannica in virtù del suo filantropismo, uomo più ricco dell’Asia e ottavo nella classifica globale di Forbes, presidente del gruppo Hutchison Whampoa e operatore della maggior parte dei terminal per container al mondo.

La sua Hongkong International Terminals (HIT) si rifiutava di incontrarli e minacciava di trasferire le rimanenti attività nel vicino porto di Shenzhen, Cina continentale, dove il capitalismo autoritario secondo caratteristiche cinesi impedisce proteste del genere.

Questo significherebbe l’ennesima sconfitta per Hong Kong, metropoli da sette milioni di abitanti schiacciata tra il Dragone gigante e il mare, per cui il caso dei “dockers” è diventato affare di tutti. E una miriade di gruppi, soprattutto giovanili, hanno cominciato a compiere azioni dimostrative contro “sir” Li, nella modalità tipica della cultura confuciana: fargli perdere la faccia.

Così anche un supermercato della catena ParknShop, l’ennesima proprietà del tychoon multimiliardario, è diventato il palcoscenico dove inscenare la sua perdita di faccia. L’occupazione è pacifica e rumorosa, guidata da una graziosa e agguerrita pasionaria. La gente osserva e ascolta i militanti che portano fascette rosse attorno alla testa. C’è scritto “lotta fino alla fine” e questo hanno fatto i dockers, con le loro tende che arrivavano fino ai cancelli del terminal di Kwai Tsing.

Adesso, oltre a quel 9,8 per cento in più in busta paga, hanno anche diritto alla pausa pranzo e a tempi decenti per andare al gabinetto. Prima non potevano.

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Foto di Gabriele Battaglia



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