Fever

Cinque anni di lavoro, tra Italia, Ungheria, Finlandia e Germania, sulle tracce della rabbia e della violenza politica: un progetto fotografico di Paolo Marchetti

tratto dal sito di Paolo Marchetti

27 maggio 2014 – Fever è il primo grande capitolo di una ricerca più ampia che sto affrontando negli ultimi anni.
 Sto tentando di approfondire un sentimento primordiale che sta caratterizzando sempre più i nostri tempi: la rabbia.

Ho cominciato ad interrogarmi sui fattori scatenanti e sui molteplici strati emotivi attraverso cui la rabbia può esprimersi, e ho da subito intuito che il primo passo necessario, per realizzare la mia indagine, sarebbe stato quello di farmi investire emotivamente, mediante l’esperienza diretta.

Il canale politico e’ stato il primo passo da affrontare ed ho compreso da subito che inseguire la rabbia sarebbe stato un cammino denso, come correre nel miele, e il tentativo di impregnarsi completamente in certe dinamiche, attraverso la condivisione del quotidiano, si è spesso rivelato contaminante. Questa sensazione sulla pelle, come per induzione, mi ha concesso una ulteriore opportunità, respirare nel nido dove la rabbia germoglia e sa essere contagiosa come un germe aerobico.

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Ho conosciuto il branco.
Ho imparato che appartenere al branco può insegnare l’unità ma al contempo, può far perdere la propria autonomia intellettuale, ideologica e indentitaria a favore di uno scopo presumibilmente più alto, uno scopo che accomuna ogni componente del gruppo, assoggettandoli a tale scelta. Ciascuno può identificarsi nella scelta come parte integrante ed attiva allo scopo del branco, altri possono comodamente cedere alla fascinazione dell’appartenenza, quella identitaria, politica, religiosa e quindi rinunciare all’opportunità di divenire leader delle proprie scelte.
 Mi chiedo se invece, più semplicemente esista una condotta comportamentale per mediare tutto questo?
Ancora una volta al centro della questione c’è l’ego di ciascuno di noi e la nostra capacità di gestirne l’integrità etica.

La recente rivoluzione Mediterranea, la cosiddetta “Primavera Araba”, ha amplificato il germe della paura e dell’intolleranza razziale tra i più giovani in gran parte d’Europa, innescando così, una reazione di chiusura tra le generazioni più vulnerabili, che vedono nel fenomeno immigratorio una minaccia concreta per la loro società e il proprio lavoro. Di fatto, queste sensazioni, come la necessità di proteggere il proprio paese e la propria cultura, scaturite dalle “invasioni” dei flussi immigratori, non sono confermate dai recenti censimenti che, numeri alla mano, non riscontrano una crescita esponenziale di immigrati sulle coste del Mediterraneo. A buon bisogno, sembra che invece questi eventi storici siano stati utilizzati dalle diverse parti politiche, come strumenti manipolatori nei confronti degli elettori, da una parte, infondendo loro il sentimento della paura, dall’altra strumentalizzando valori come il soccorso ai più bisognosi e l’apertura a differenti culture. Ancora una volta la paura, come strumento politico.

Un altro fattore che soffia ossigeno sulla fiamma della rabbia nelle nostre società, è senza dubbio rappresentato dalla crescente crisi, soprattutto in Europa, costringendo l’individuo in un angolo.
Negli ultimi anni, questi fattori hanno creato le condizioni per una chiusura tra le persone e l’apertura di filosofie basate su “ognuno per sé”.

I tempi a cui andiamo incontro, sono il terreno ideale per queste dinamiche, fondamentalmente basate sulla paura e le nuove politiche dittatoriali imposte dai sistemi bancari alimentano il fuoco della collera.
 Nell’era della globalizzazione, decine di migliaia di persone in tutta Europa, urlano al mondo “io esisto”.
“Io esisto e non sono un prodotto della vostra società. Io esisto perché vivo la mia identità unica ed imprescindibile ed appartengo ad un popolo, una religione, una razza “.

Ho sviluppato il mio progetto in Italia, Ungheria, Finlandia e Germania, dando così a “Fever” un significato esteso a livello internazionale. Inoltre, grazie al riconoscimento del “Getty Images Editorial Grant” ottenuto nel 2012, ho avuto l’opportunità di portare a compimento le mie ricerche sulla rabbia, un lavoro durato 5 anni.

“Fever” non è soltanto un approfondimento politico, ma è la mia opportunità di indagare i nostri tempi e trovare la traducibilita’ visiva dei miei studi personali in storie autentiche, attuali e tangibili.

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