Il riposo del pugile

Un blog che parla di sport, ma di quello che diventa letteratura. Negli occhi di chi guarda, ascolta, scrive, legge l’evento sportivo con gli occhiali della passione e della fantasia, nutrendosi di ogni attimo che regala un sogno

di Christian Elia

L’idea è poco ortodossa, ma mi è parso doveroso inaugurare questa rubrica con un omaggio a un’opera d’arte. Attribuita a Lisippo, ma più probabilmente realizzata da uno dei suoi allievi, la statua bronzea del ‘pugile a riposo’ (nota anche con i nomi ‘pugile delle terme’ e ‘pugile del Quirinale’), risale alla seconda metà del IV secolo a.c. Alta 128 centimetri, venne rinvenuta alle pendici del Quirinale a Roma nel 1885. Da allora è conservata nel Museo Nazionale della capitale. Il Metropolitan Museum di New York lo tratta da star, esponendolo dal 1 giugno al 15 luglio prossimo.

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Guarda di lato, come verso qualcuno che lo chiami, magari perché inizia un nuovo incontro. Il talento dell’artista riesce a rendere una fatica, le orbite vuote degli occhi sono espressive lo stesso, come a immaginare un attimo di riposo in più. Perché solo chi ha praticato la boxe conosce quel peso, quando le braccia sono due tronchi ostili ed estranei.
Le mani sono serrate dai cesti, dal latino caestus, forma di protezione introdotta dai pugilatori attorno proprio al IV secolo a.c.: un pesante anello costituito da tre fasce parallele di cuoio, nel quale si infilavano tutte le dita tranne il pollice, tenute assieme da borchie metalliche. Immaginate, per un istante, il dolore inferto da un colpo al volto o al corpo. Il pugilatore è là, seduto con le braccia pesanti, tra le gambe. Qualcuno lo chiama, si inizia di nuovo. Fatica, dolore, sangue. L’opera diventa una sorta di milite ignoto dell’atleta.

L’eterna sfida dell’uomo a sè stesso e agli altri, nella mente dell’artista, diventa narrazione. Ancora oggi è così, senza scomodare Pasolini e il calcio come romanzo popolare. Questa rubrica parlerà di questo, di quell’ansia collettiva che lo sport sa regalare, diventando suo malgrado uno specchio delle nostre vite, metafora della condizione umana, chiamata sempre a superare le sue paure e i suoi limiti. E sarà dedicata a tutti coloro che hanno fatto sognare comunità intere, anche se a volte di loro non resta neppure il nome.



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