Rapporto alla pari

xi-obama

 Di Gabriele Battaglia

Per chiarire a tutti quanto il meeting fosse informale, si sono astenuti dall’indossare una cravatta per ben due giorni.

Barack Obama e Xi Jinping hanno lanciato il “nuovo modello” di relazioni tra le due maggiori potenze mondiali inaugurando l’usanza di incontrarsi di tanto in tanto in luoghi ameni e di scambiarsi idee durante passeggiate nel verde: “Ehi Jinping, che si dice del ciccione nordcoreano? Uh, guarda quello scoiattolo!” – “Te lo raccomando Barack, il fatto è che se gli tagliamo i viveri, quello fa un botto della madonna. Ehi, ma voi come li cucinate gli scoiattoli?”

Obama, che mentre passeggiava ha inavvertitamente “pestato” lo scandalo Prism, ci aveva provato a lungo anche con il predecessore di Xi – Hu Jintao – a stabilire un canale informale. Ma il grigio burocrate dai capelli “asfaltati” e dalla voce atona non si era mai allontanato dalle mille, rassicuranti formalità del rapporto diplomatico. Xi, in questo senso, è un segno della Cina che cambia.

Al di là della rinuncia alla cravatta, in cosa consiste il “nuovo modello” che i media cinesi e Usa vanno sbandierando? Finora appare soprattutto chiaro che cosa non deve essere: guerra.
I due Paesi si sono infatti accordati su un punto: bisogna definitivamente seppellire sotto molteplici metri di terra la tradizione storica in base alla quale, sempre, le tensioni tra la potenza dominante e quella candidata a succederle sono sfociate in un conflitto armato. Onestamente, non è poco.

Ci sono poi altri aspetti che appaiono abbastanza chiari e che ci offrono alcune coordinate per seguire future evoluzioni.
Primo. Sul piano concreto, Pechino e Washington sono d’accordo sulla necessità di fare pressioni su Kim Jong-un (“il ciccione nordcoreano”) e sull’urgenza di combinare qualcosa a proposito del cambiamento climatico. Restano lontane su molti temi, che vanno dagli attacchi informatici (di cui si accusano a vicenda), alla nuova dottrina Usa del “pivot to Asia” (percepita dalla Cina come containement della propria “crescita pacifica”), passando per le tensioni nel mar Cinese Meridionale, la manipolazione (secondo gli americani) della valuta cinese e le dispute commerciali in genere.

Secondo. Sul piano formale – e nonostante l’intima convinzione Usa di essere Paese “eletto” chiamato a una missione universale – si riconosce una relazione alla pari.
Qui, a Pechino, cantano vittoria: finalmente la Cina torna dove le compete e conclude la sua lunga marcia durata quasi due secoli, cioè da quando nella guerra dell’Oppio (1839-42) le cannoniere di Sua Maestà le imposero il ruolo umiliante di Paese colonizzato.
Su questo punto bisogna fare molta attenzione: stiamo parlando di un sentimento che va oltre la retorica del “sogno cinese”, nuova parola d’ordine della presidenza di Xi Jinping. Vive nel profondo di ogni suddito del Celeste impero e ispira i comportamenti verso l’altro: verso il laowai, lo straniero.

Ma è davvero così? Il Dragone ha finalmente terminato il suo cammino ed è tornato Zhong Guo, il Paese “che sta al centro”?
No. Almeno secondo chi scrive.
Raccontare i volti di questa Cina sempre incompiuta; dove convivono primo, secondo e terzo mondo; costantemente a cavallo tra missioni su Marte e il medioevo prossimo venturo, sarà il compito di questo blog.



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