Lettere persiane

Un giovane donna iraniana scrive delle sue speranze mentre si vota per l’elezione del presidente della Repubblica Islamica dell’Iran: finisce la stagione di Ahmadinejad, ma i dubbi sul futuro sono tanti 

di Shirin Rahimi

Sono una giovane donna che si rispecchia nella generazione dell’Onda Verde del 2009, cresciuta nei quartieri benestanti di Teheran, ho avuto la fortuna di essere adolescente nella primavera riformista del Presidente Khatami e di non vivere nel mio paese gli otto anni di Ahmadinejad vivendo all’estero. Oggi si svolgeranno le elezioni presidenziali, che nonostante l’indifferenza occidentale, saranno decisive per un Paese che vive una crisi economico sociale senza precedenti.

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La dura repressione che abbiamo subito noi giovani del paese dal 2009 ad oggi, ci ha costretti ad un silenzio doloroso durato quattro lunghi anni, segnati da censure, incarcerazioni, diaspore e pressioni fisiche e psicologiche. Forse vinceremo solo quando finalmente ci sarà un cambio generazionale e riusciremo a costruire un futuro più tollerante e libero per le nuove generazioni.

Noi giovani iraniani c’eravamo ripromessi di non votare più dopo le elezioni presidenziali, come se quell’“ultimo” voto fosse davvero l’ultima chance per il cambiamento. Ma poi inesorabilmente abbiamo sbattuto la faccia contro la realtà politica dell’Iran, il nostro sogno verde di poter rinnovare e ribaltare la situazione a favore di una società più democratica, si è scontrato con le dure repressioni dall’interno, le sanzioni economiche dall’esterno.

Abbiamo sperimentato il confronto politico e siamo cresciuti, la dura situazione ci ha costretto ad essere più pragmatici e meno idealisti e soprattutto frettolosi nel volere un cambiamento. L’Onda Verde della speranza, colore scelto per la campagna elettorale di Mousavi nel 2009 e simbolo dell’opposizione, oggi si tinge di viola scelto da Hassan Rohani religioso e giurista, se eletto forse potrà dare respiro alla difficile situazione economico sociale dell’Iran ed attuare una politica estera più morbida verso l’Occidente.

Il dibattito elettorale nelle ultime settimane si è svolta principalmente su internet, sui social network e su vari siti del regime e dell’opposizione. Nelle ultime settimane tante persone comuni e intellettuali hanno cercato di convincere ed argomentare le proprie ragioni riguardo al voto. I principali dubbi che assillano gli iraniani nelle ore conclusive sono per prima cosa votare oppure astenersi?  Votando si dà legittimità al regime? È giusto votare per Rohani per non trovarsi un presidente come Jalili esponente dell’ala più conservatrice? Astenersi e lasciare maggior spazio gli avversari?

Comunque vada, partecipare ai dibattiti ci fa bene, è un esercizio di democrazia, di tolleranza ed è una breve opportunità per far sentire la nostra voce nel mare di censure e di oppressione che è diventato l’Iran.

Se nelle elezioni presidenziali del 2009 non fossimo andati a votare così numerosi non avremmo potuto protestare e gridare la nostra indignazione per i presunti brogli elettorali, questa esperienza è stata una delle più belle e più drammatiche della nostra generazione. Ci ha unito e diviso, abbiamo discusso e ci siamo insultati e poi rappacificati, tanti di noi sono stati incarcerati e ci siamo uniti nella loro sofferenza. Senza la nostra partecipazione attiva e reale all’interno del paese tutto ciò non sarebbe successo, quindi tanti di noi hanno di nuovo deciso di votare e affrontare le conseguenze, anche perché l’esperienza ci ha insegnato che può andare anche peggio. Voteremo per Rohani ma sostanzialmente voteremo per la speranza per un lento inesorabile cambiamento.



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