Fragilità, l’asse di cristallo

Gli esperti di segrete cose dicono che non dovremmo scandalizzarci, poiché tutti gli stati si comportano allo stesso modo. Tutti spiano, tutti sono spiati, tutti si passano le intercettazioni per combattere il nemico comune, il terrorista. Anche se poi non si comprende quali informazioni preziose per la lotta contro il terrorismo si possano ricavare dagli uffici della Bce.

di Nicola Sessa, da Berlino

L’operazione Prism rischia di mandare in frantumi la granitica alleanza transatlantica ridotta, per le soffiate di Snowden, a una fragile lastra di cristallo. Questo è quello che ne deduciamo, stando alle reazioni più o meno rabbiose delle cancellerie europee: Berlino ha convocato a rapporto l’ambasciatore Usa, Parigi minaccia di far saltare i preparativi (ancora lunghi) per gli accordi commerciali bilaterali Ue-Usa, Roma è in attesa di spiegazioni (spontanee?) da Washington, Bruxelles vorrebbe capirci meglio. Kerry dice che è tutto regolare, che è normale raccogliere informazioni; Obama più preoccupato e aperto al dialogo come un marito colto in flagranza di tradimento ha detto che spiegherà tutto. Molto probabilmente dirà: “Cara (Ue), non è come credi”. Ed è sinceramente inutile aspettarsi che Washington si cosparga il capo di cenere.

avvoltoio

Gli esperti di segrete cose dicono che non dovremmo scandalizzarci, poiché tutti gli stati si comportano allo stesso modo. Tutti spiano, tutti sono spiati, tutti si passano le intercettazioni per combattere il nemico comune, il terrorista. Anche se poi non si comprende quali informazioni preziose per la lotta contro il terrorismo si possano ricavare dagli uffici della Bce o del Parlamento europeo. Del tutto impossibile poi che in un rapporto di “segreta reciprocità” i servizi italiani piazzino delle microspie al 119 di via Veneto a Roma. Fantascienza.

[blockquote align=”none”]In realtà, possiamo dirlo con assoluta certezza, i rapporti bilaterali non sono a rischio. Se non altro perché Usa e Ue interagiscono su un piano solo teoricamente paritetico, mentre su quello sostanziale l’Europa subisce l’egemonia a stelle e strisce. [/blockquote]

 

Ciò che traballa, almeno a parole, è la trattativa sul Ttip, il Transatlantic Trade and Investment Partnership, fortemente voluto da Washington per aprirsi le porte del mercato europeo che conta 250 milioni di consumatori. L’abbattimento delle barriere commerciali, dicono, porterebbe molti vantaggi tanto agli Usa, quanto agli Stati membri dell’Unione: un milione di posti di lavoro in più negli States, 400mila in Gran Bretagna, 141mila in Italia, 181mila in Germania, con la premessa che a fronte degli investimenti europei in Usa, corrisponda un impegno speculare da parte di Washington a scommettere sui singoli paesi dell’Unione (particolare, quello della distinzione tra stati, non trascurabile e sussiste inoltre il pericolo che da oltreoceano si scelgano solo i paesi più stabili). Alla luce dei fatti, ancora molto poco delineati, non è detto che sia un male se il Ttip – per motivi di vera o presunta lesa fedeltà – finisca nel cestino prima ancora di nascere. L’accordo per cui si brindava all’ultimo G8, se mai andrà in porto, avrà degli effetti devastanti per le economie limitrofe ai due sottoscrittori: Canada e Messico subirebbero un impoverimento che sfiora il 10 per cento; tutta l’area mediterranea del Nordafrica sarebbe penalizzata in maniera incisiva, creando un esercito di affamati e disperati. Sul piatto della bilancia ci sarebbero un maiale grasso e un cane arrabbiato. Da un lato Usa, Gran Bretagna e Germania che si spartiscono il grosso della torta e lasciando briciole agli altri partner. Dall’altro lato una lunga schiera di stati che vedrebbe la ricchezza pro capite andare a picco.

In un tale scenario, si mette in piedi una fabbrica di persone costrette a lasciare il proprio paese, a emigrare verso le nazioni più ricche che alzano sempre più alto il muro per arginare il flusso migratorio. Creare ricchezza a discapito di altri significa anche accendere la miccia della guerra. E chi di noi è pronto ad accettare sul proprio capo un simile rischio? Solo chi con la guerra ci guadagna: venditori di armi, contractors e altre figure assimilabili alla famiglia dei saprofagi.



Lascia un commento