Peperoni: 1984

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Sono passati almeno 10 anni dallʼuscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile[/note]

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Schermata-2013-07-12-alle-14.20.02.png[/author_image] [author_info]Alice Bellini. Dovendo rinunciare alla sua aspirazione Jedi per cause di Forza maggiore, si laurea in cinematografia tra Londra e New York, con la speranza di potersi definire quanto prima una scrittrice. Già redattrice di cinema per altre testate online indipendenti, non è una critica di nulla, ma le piace dire la sua, sapendo che, comunque, la risposta a tutto è inevitabilmente 42.[/author_info] [/author]

Allo scoppiare dello scandalo NSA – anche se, nellʼera dei social network, dei reality show e della condivisione/spettacolarizzazione, non è stato accolto con poi così tanto scandalo – penso e spero che la mente di tutti sia corsa, anche solo per un istante, a 1984, prima (e soprattutto) romanzo del celeberrimo Orwell, poi diventato, proprio nel 1984, un adattamento cinematografico firmato Michael Redford.
Allʼeffettivo, stando al romanzo, sono ormai passati un totale di 64 anni da quando siparlò per la prima volta di Big Brother, ma, siccome qui si parla di cinema, diciamo, come se potesse valere come attenuante, che ne sono passati “solo” ventinove da quando il Grande Fratello ha assunto un volto sul grande schermo, portando in vita anche tutti gli altri protagonisti del romanzo distopico per eccellenza – se non la previsione più paurosa di tutte, perché, in un certo senso e senza voler fare gli esagerati, si è avverata.

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Il film rappresenta sicuramente una realtà decisamente più deteriorata della nostra.
Annientata e sotto dittatura, schiava e torturata, censurata, sorvegliata e moribonda. La quintessenza di un regime totalitario. Priva di effetti speciali di particolare rilevanza, la pellicola riesce a incanalare e comunicare con notevole effetto la crudeltà e lʼalienazione che assediano il mondo Orwelliano. I sensi sono tormentati dal tripudio di voci che non si azzittiscono mai, dagli occhi che fissano incessantemente ogni movimento, dalla fame che morde senza sosta, dalla solitudine dilagante, dalla prigionia, dalla tortura. Lʼangoscia risucchia lo spettatore, stimolandolo sia mentalmente che sensorialmente, fino a giungere allʼinsopportabile e desolate finale, sottolineato dal monologo di OʼBrien.

Insomma, un film decisamente forte, decisamente scioccante, ma, soprattutto, decisamente attuale, nonostante i suoi trentʼanni (sempre per essere buoni). Di primo acchitto, mi verrebbe da dire che mi pare ovvio che non siamo nella stessa identica condizione di 1984. Non abbiamo schermi che ci osservano, altoparlanti propagandistici sparsi per le città, cibo razionato e un linguaggio censurato. Eppure, di certo non è il controllo a mancare, né le torture, né le repressioni, né le dittature, né la censura, tantomeno la povertà, per non parlare, dulcis in fundo, dello spionaggio spacciato per sorveglianza contro un fantomatico, quanto ambiguo terrorismo. E, considerando che quello di Orwell voleva essere un romanzo distopico (che, per definizione, significa “completamente indesiderabile”, ma anche “impossibile per quanto è negativo”), non so quanto ci sia da rallegrarsi. Senza contare il fatto che tante belle macchine, i vestiti firmati, lo smartphone e le vacanze in Mar Rosso (o qualsiasi altro ipotetico indice di benessere) non fanno della società una società ricca, ma una società dellʼapparenza, cosa che denota una povertà di altro tipo, forse più pericolosa e grave di quella economica (è un poʼ lʼeffetto Paese dei Balocchi, se vogliamo), perché, come direbbe Palahniuk, distrae. E mi pare ormai abbastanza chiaro che non serve di certo uno schermo con sopra il faccione di un leader di Stato per essere tenuti sotto stretta sorveglianza. Insomma, riflettendoci un momento, non so quanto la situazione sia davvero così diversa rispetto a quella del film, se non qualche modifica nella forma, ma non cadiamo nella trappola dellʼapparenza, che già ci tiene tutti abbastanza in pugno.
Il mondo in cui viviamo è praticamente lo stesso mondo in cui vivono i protagonisti di 1984. Identico, a parte due cose: la consapevolezza e internet.

Entrambe, purtroppo, abbastanza relative, ma non facciamo i pessimisti. I cittadini dellʼEurasia sanno di essere sotto costante osservazione. I mezzi che li tengono sotto controllo sono palesi e ben identificabili. Dunque, volendo, sanno anche come evaderli. Nessuno dice che sia una cosa semplice, ma una via cʼè. La cosa che a me ha fatto più impressione di tutte dello scandalo NSA, è che lo spionaggio si serve di tecnologie talmente avanzate e latenti, che è difficile individuarlo. È un “nemico invisibile”, che poggia però su basi gigantesche e difficili da minare. È come un labirinto
senza mura, da cui, paradossalmente, diventa ancora più difficile uscire.

Dʼaltra parte, cʼè la grande rete mondiale, internet, arma a doppio taglio, ma pur sempre unʼarma. Internet è un poʼ come la radio durante la guerra mondiale, cioè il canale ad oggi più utilizzato che permette di fare libera informazione, proprio perché libero. Dʼaltra parte, non solo, proprio per questo, è anche il canale che più permette di fare libera disinformazione, ma è comunque un canale che si basa su tecnologie e reti rintracciabili. Al tempo stesso, queste stesse tecnologie e reti sono altrettanto invisibili che “il nemico” (passatemi il termine scherzoso) di cui parlavamo prima e rappresentano, perciò e forse, lʼunica valida arma che abbiamo, invisibile tanto quanto ciò che ci ritroviamo a fronteggiare.
Ad oggi, dunque, si tratta solo di scegliere come utilizzare determinati strumenti, che tipo di consapevolezza sviluppare e basata su quali principi, capendo che le cose invisibili sono sempre le più pericolose. E che il limite tra superficialità e invisibilità è labile, spesso inesistente, essendo i due concetti uno il nutrimento dellʼaltro.



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