Speciale Genova G8. Tutti i processi

Da Seattle ’99 a Genova 2001 il movimento dei movimenti non ha fatto che crescere. Era diventato un movimento mondiale.

di Alessandra Fava

Con la connotazione anti-liberista aveva saldato le componenti più diverse, quelle ambientaliste con quelle cattoliche, l’impegno sociale e quello politico, la difesa del territorio contadino e il commercio equosolidale, il femminismo e il pacifismo. Stava diventando un soggetto pericoloso per il capitalismo e per gli Stati Uniti. La repressione a Genova avvenne con tecniche di guerra. In primo luogo l’infiltrazione e il depistaggio in modo da allontanare dalla piazza le componenti più organizzate, come l’allora Ds e la Cgil. In secondo luogo, una violenza di piazza sistematica e mai vista prima. Genova si chiuse con un morto, 560 feriti, 301 arrestati, 6 mila cinquecento lacrimogeni sparati, 25 milioni di euro di danni, ma sopratutto una marea di giovani e non, che non sarebbero mai più tornati in piazza. Sui fatti non c’è mai stata una commissione parlamentare d’inchiesta. Molti episodi di violenza non sono mai stati oggetto di indagini. La Procura genovese si è accontentata di indagare sugli eventi macro (Diaz, Bolzaneto e processo contro i manifestanti italiani), archiviando velocemente l’omicidio di Carlo Giuliani.
Alla fine abbiamo avuto molta verità e qualche giustizia.

PROCESSO DIAZ-PERTINI

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Riguarda l’assalto alla scuola genovese Diaz-Pertini la notte tra sabato 21 e domenica 22 luglio 2001, quando il G8 ormai era finito. La polizia fece un’irruzione nelle scuole Diaz dove dormivano i manifestanti e Pertini sede del Genoa Social Forum dove sequestrarono gli hard disk con le denunce dei manifestanti. In totale arrestarono un centinaio di persone con l’accusa di associazione a delinquere e resistenza. 71 degli arrestati riportarono ferite gravi e 2 finirono in coma. Sin dalla notte la versione della polizia fu che avevano arrestato i pericolosi black bloc e il sangue era relativo a ferite pregresse. Fu invece un pestaggio organizzato, una ‘macelleria messicana’, un’ operazione indegna di uno stato di diritto, ma allora nessuno si dimise e il governo Berlusconi non volle indagare.
La Cassazione il 5 luglio 2012 ha condannato definitivamente 25 poliziotti per falso aggravato con pene tra 5 e 3 anni circa di carcere, ridotte di 3 anni dall’indulto. La pena prevede anche la sospensione da incarichi pubblici per 5 anni e il risarcimento delle vittime. Tra i condannati figurano l’allora capo della Direzione centrale anticrimine Franco Gratteri (4 anni), l’ex capo dello Sco poi capo dell’antiterrorismo Gilberto Caldarozzi e l’ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola (entrambi 3 anni e 4 mesi), il capo dell’Aisi prima Sisde Giovanni Luperi (4 anni) e il capo del VII nucleo (un corpo speciale creato per il G8 con la collaborazione degli americani) Vincenzo Canterini (5 anni). Il reato di lesioni aggravate è invece ormai prescritto. Nelle motivazioni depositate il 2 ottobre 2012 la Corte definisce ”violenta la condotta” della polizia e scrive che ha ”gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero”. Il Viminale dovrebbe sospende i condannati dalla polizia con dei disciplinari, visto che le condanne sono definitive. Per ora non è successo. Luperi si è dimesso andando in pensione in anticipo di un anno e Caldarozzi ha lasciato il corpo.
La Cassazione di fatto ha confermato la sentenza d’appello che già nel maggio 2010 aveva condannato a 85 anni di carcere 25 dei 28 poliziotti indagati, con l’accusa di calunnia, falso, arresto illegale e lesioni. Dopo la sentenza d’appello i manifestanti (oltre 100 costituitisi parti civili, tra cui 71 feriti su 93 arrestati) furono risarciti dai ministeri con qualche migliaio di euro, cosa che non avvenne invece per le vittime di Bolzaneto.
In primo grado, sempre per la scuola Diaz, il 13 novembre 2008, erano stati condannati solo gli esecutori materiali del bliz, cioè 13 poliziotti, fra cui il capo del VII nucleo Vincenzo Canterini e i suoi uomini, mentre venivano assolti Luperi, Caldarozzi, Mortola, Gratteri. Eppure erano tutti presenti alla scuola. I nomi degli indagati uscirono infatti da un video, ribattezzato Blue Sky, trovato dalla procura tra le riprese dell’emittente genovese Primocanale, dove si vedono Luperi, Mortola, Pietro Troiani, Gilberto Caldarozzi e Francesco Gratteri allora vice e capo dello Sco e Lorenzo Murgolo intorno al sacchetto delle famose bottiglie Molotov ritrovate in corso Italia e portate ad arte nella scuola per accusare i fermati di essere black bloc. Il prefetto Arnaldo La Barbera, deceduto poco dopo il G8, è poco lontano. Negli anni molti sono stati promossi.
Oggi nessuno è in carcere per effetto dell’indulto che riduce di 3 anni le pene. Alcuni poliziotti saranno affidati ai servizi sociali dal Tribunale di sorveglianza di Genova, ad esempio gli agenti Massimo Nucera e Maurizio Panzieri condannati per aver accusato i manifestanti di aver tentato un accoltellamento al primo piano della Diaz, episodio che secondo la giustizia italiana è un palese falso. Canterini e Caldarozzi sono ai domiciliari. Ma per ”i papaveroni’, vale a dire, i più alti in grado (Luperi, Gratteri, Mortola e Troiani) è prevista una nuova udienza il 5 dicembre 2013 per decidere sulla ripartizione dei risarcimenti.

PROCESSO DIAZ-DE GENNARO

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La Procura di Genova ha cercato di intentare un processo per istigazione al falso contro l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro e l’ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola (tra gli architetti dell’operazione Diaz) con la convinzione che i due abbiano pilotato la testimonianza dell’allora questore genovese Colucci durante il processo Diaz nel maggio 2007.
Il processo si è concluso con l’assoluzione dei due imputati: a novembre 2011 l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro viene prosciolto in Cassazione da ogni accusa confermando così la sentenza di primo grado che lo voleva innocente e annullando quella d’appello che lo ha invece condannato a un anno e 4 mesi di reclusione. Tutte le udienze si sono svolte a porte chiuse perchè gli imputati hanno scelto il rito abbreviato.
Le motivazioni della sentenza di Cassazione depositate alla fine di maggio 2012 spiegano che De Gennaro non ha niente a che fare con le violenze del luglio 2001. Pochi giorni prima, l’11 maggio 2012, De Gennaro era stato promosso a sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri del governo Monti, dopo esser stato direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, prima commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, prima capo di gabinetto del ministero dell’interno. Con De Gennaro fu prosciolto anche l’allora capo della Digos genovese Spartaco Mortola condannato in secondo grado a un anno e due mesi per concorso in falsa testimonianza. ”Non si e’ acquisita alcuna prova o indizio di un ‘coinvolgimento’ decisionale di qualsiasi sorta nell’operazione Diaz”, ha scritto la Cassazione. Nella sentenza però veniva invece ricostruita la storia delle bottiglie ritrovate in corso Italia dalla polizia, poi portate dalla polizia stessa alla Diaz. Una volta diventate corpo di reato, furono distrutte per sbaglio nel settembre 2006 insieme a del materiale sequestrato allo stadio Carlini. La sparizione delle bottiglie suscitò perplessità in Procura e iniziarono le intercettazioni su alcuni poliziotti. Da lì vennero fuori i presunti accordi per pilotare la testimonianza di Colucci sentito come test nel processo. Colucci nelle telefonate dice di voler rivedere la sua versione dei fatti (ad esempio chi mandò l’addetto stampa del Viminale alla Diaz) secondo le indicazioni ”del capo”. In nessuna telefonata si sente direttamente la voce di De Gennaro.

INCHIESTA SU CARLO GIULIANI

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L’omicidio di Carlo Giuliani avvenuto a piazza Alimonda venerdì 20 luglio 2001 alle 17,27, fu archiviato già nel maggio del 2003 grazie a una perizia della procura che sostenne che il proiettile fu deviato verso il basso da un sasso e quindi Placanica avrebbe sparato in alto e non contro il manifestante. Solo così il carabiniere Mario Placanica poteva essere prosciolto dall’omicidio per legittima difesa. Non furono fatte altre inchieste nonostante il carabiniere abbia detto più volte di non esser stato lui a sparare e un’inchiesta indipendente ha individuato la presenza in zona di due alti gradi dei carabinieri prima coinvolti nella guerra in Somalia ed altre missioni all’estero (tenente colonnello Giovanni Truglio e il capitano Claudio Cappello).
I familiari di Carlo si sono poi rivolti alla Corte di Strasburgo. Nell’agosto del 2009 la Corte sentenziò che Placanica aveva agito per legittima difesa ma rilevò l’eccesso di forza da parte della polizia e il caos nella gestione dell’ordine pubblico. La Corte notò anche le molte incongruenze dei primi esami autoptici (ad esempio il fatto che un frammento di metallo rilevato dalla prima Tac non fosse stato estratto) e criticò il via libera della procura genovese alla cremazione del corpo.
Nel 2009 durante le udienze del processo contro i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio si tornò a parlare di piazza Alimonda. In aula emerse che Giuliani fu colpito violentemente da una sasso che gli sfondò il cranio e intorno a lui c’erano gli uomini del battaglione Sicilia. Ma in aula non è stato possibile individuare i responsabili. Nelle stesse udienze è anche stato dimostrato che la carica contro i manifestanti in via Tolemaide non fu avvallata dalla polizia, ma fu un’iniziativa del Terzo battaglione Lombardia dei carabinieri che avrebbero dovuto andare al carcere di Marassi.
In seguito a un ricorso dei familiari e dello stato italiano, una seconda sentenza, questa volta della Grand Chambre, nel marzo 2011, scrisse che le autorità italiane indagarono a fondo sui fatti e gestirono bene l’ordine pubblico. ”Dieci anni per ottenere niente – commentò allora Haidi Giuliani, la madre della vittima – Come disse Licia Pinelli: ho fatto tutto quello che potevo, è lo Stato ad essere sconfitto perché non ha saputo indagare su se stesso’’.
I familiari hanno ora intentato un processo civile contro Mario Placanica, i ministeri dell’Interno e della difesa e chi coordinava l’ordine pubblico nell’area, il vice questore Adriano Lauro. La prima udienza il 9 luglio 2013, rinviata per decidere quali materiali acquisire.

PROCESSO SU PIAZZA MANIN

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Il pestaggio dei manifestanti avvenne nel pomeriggio di venerdì 20 luglio 2001, durante delle cariche sferrate in seguito al passaggio dei cosiddetti black bloc che risalivano dalla Val Bisagno dopo l’omicidio di Carlo Giuliani. Due spagnoli furono arrestati e accusati di aver aggredito i poliziotti. Gli spagnoli poterono dimostrare che non avevano aggredito nessuno grazie a un video e furono prosciolti. I quattro responsabili degli arresti, (Antonio Cecere, Luciano Berretti, Marco Neri e Simone Volpini), appartenenti alla Mobile di Bologna, vennero così indagati e rinviati a giudizio per falso e calunnia, assolti in primo grado nel luglio 2009, condannati in appello nel luglio 2010 per il reato di falso ideologico in atti pubblici, furono poi condannati definitivamente in Cassazione a quattro anni di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Sono stati sospesi dal servizio ma non deferiti dalla polizia. Il processo ebbe degli strascichi: a marzo 2013 fu condannato in primo grado a due anni con la sospensione condizionale della pena anche il comandante del reparto, Luca Cinti, vicequestore.

PROCESSO BOLZANETO

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Il 14 giugno 2013 la Cassazione pronuncia la sentenza definitiva sulle violenze avvenute a Bolzaneto, luogo deputato per il controllo dei fermati, diventato luogo di tortura per molti, compresi gli arrestati dopo il pestaggio alla Diaz. In Cassazione vengono lette 4 assoluzioni (tra cui spicca quella del generale della penitenziaria Oronzo Doria), 7 condanne e 33 prescrizione. Per i condannati e i prescritti c’è l’obbligo di risarcimento civile. Tra i condannati figurano l’assistente capo della polizia Luigi Pigozzi (condannato a 3 anni e 2 mesi per aver divaricato la mano di un manifestante), Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia della penitenziaria (1 anno ciascuno), il medico Sonia Sandra e gli ispettori della polizia Arecco, Turco, Ubaldi. Fra i 33 accusati di reati prescritti c’è anche il medico Toccafondi che secondo diverse testimonianze strappava i piercing ai manifestanti e costringeva le donne a stare nude durante le visite mediche alla presenza di altri.
Il 5 marzo 2010 in secondo grado risultavano colpevoli 44 persone tra poliziotti, penitenziaria, infermieri e personale medico. Tra i condannati risultava il generale Doria e il coordinatore della polizia per Bolzaneto Alessandro Perugini e i rispettivi ministeri furono già allora condannati al risarcimento di oltre 10 milioni di euro. Ma i risarcimenti alle vittime, a differenza del processo Diaz, ad oggi non sono mai stati versati. La sentenza di Cassazione costringe condannati e prescritti a risarcire finalmente le vittime.
Il processo intero ha avuto un vulnus fondamentale: il fatto che il nostro codice penale non preveda il reato di tortura.

PROCESSO AI MANIFESTANTI

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Il processo ai manifestanti passerà alla memoria con lo slogan 100 per 10 e la campagna per la loro assoluzione. I numeri derivano dalla sentenza di primo grado che il 14 dicembre 2007 condannò 25 manifestanti a 110 anni di carcere, di cui 10 con l’accusa di devastazione e saccheggio (anziché il reato più blando di danneggiamento). Secondo la Procura questi erano i black bloc, anche se sono tutti italiani e parte della documentazione relativa alla loro condanna è legata ad attività politica fatta in centri sociali, spazi occupati e partecipazione a processi di antagonisti.
Durante il processo di appello diverse udienze furono dedicate alla carica di via Tolemaide e all’omicidio Giuliani e nell’ottobre 2009, gran parte dei manifestanti vennero assolti per legittima difesa in quanto coinvolti nel corteo delle Tute bianche di via Tolemaide. Ma 10 continuavano ad essere accusati di devastazione e saccheggio nei disordini davanti al carcere di Marassi e altri episodi avvenuti sin dalla mattinata in corso Torino, e perciò condannati a 98 anni e 9 mesi di carcere e al pagamento di 23 mila euro ciascuno.
Il 13 luglio 2012 in Cassazione 5 manifestanti vengono rinviati alla corte d’appello di Genova per il ricalcolo della pena, in quanto viene accolta l’ipotesi formulata dai loro legali che abbiano agito nella suggestione della folla in tumulto. 5 invece vengono condannati al carcere per un totale di 54 anni e 3 mesi, con pene da 14 a 6 anni e mezzo. Due stanno scontando il carcere, un terzo è stato arrestato in Spagna recentemente ed è in attesa di estradizione. Un altro è latitante. Uno dei difensori, l’avvocato Francesco Romeo, commentò ”ingiustizia è fatta: è evidente a tutti l’abissale sproporzione tra le condanne a cittadini per reati commessi su cose, merci ed edifici rispetto al prezzo non pagato da chi, pochi giorni fa, non è stato condannato per aver torturato delle persone”. Laura Tartarini  disse che ”i manifestanti si prendono di più che per un omicidio preterintenzionale”. L’avvocato Mirko Mazzali definì la sentenza ”deludente, ha confermato l’impianto accusatorio dal punto di vista del concorso morale, attribuendo tutto quello che è avvenuto a Genova in quei giorni a poche persone”.

VIOLENZE PER STRADA

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Sono ormai prescritti centinaia di reati commessi dalle forze di polizia per strada nelle giornate di venerdì e sabato. Ad esempio venerdì 20 luglio 2001, dopo piazza Alimonda, decine di manifestanti furono picchiati in un cortile senza via d’uscita su corso De Stefanis. Ma la procura, nonostante foto e testimonianze degli abitanti della zona e denunce circostanziate, non ha mai aperto un fascicolo. Così molti episodi di violenza in corso Italia e nelle strade adiacenti il forte di San Giuliano nella giornata di sabato non sono mai stati argomento d’indagine.
Per avere un’idea della coltre stesa su tanti pestaggi, basta pensare che all’inizio di giugno 2013 sono state notificate agli avvocati le archiviazione di 222 denunce. Erano comunque la punta dell’iceberg rispetto a migliaia di reati mai denunciati.

RISARCIMENTI IN SEDE CIVILE AI MANIFESTANTI

In questi anni solo quattro manifestanti picchiati a piazza Manin e in corso Italia sono stati risarciti in sede civile per le ferite nei cortei.

IL PESTAGGIO AL MINORENNE DI OSTIA

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Alcuni poliziotti, tra cui un dirigente della Digos genovese, Alessandro Perugini poi vicequestore ad Alessandria, accusati del pestaggio di un ragazzo minorenne di Ostia, a un passo dalla questura, sono stati condannati in appello nel maggio 2010.
Hanno preferito risarcire la vittima ed evitare il ricorso in Cassazione.



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