The Spirit of ’45

The spirit of ’45, di Ken Loach. In uscita il 12 settembre in contemporanea in Italia, Germania, Spagna e Francia, grazie al progetto Speed Bunch di Wild Binch.
Dal 13 in video on demand (In italia si vedrà a Roma, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Genova: info su.www.bimfilm.it)

di Irene Merli

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Di parte? No, chiaro, semplice, illuminante. E con star ottuagenarie.
Ken il Rosso questa volta sceglie la via del documentario per raccontare la nascita della “meglio” società del dopoguerra britannico. Quella che dopo aver vinto il nazifascismo rimise in piedi la Gran Bretagna piegata da 6 anni di sforzo bellico. E in altri 6 cerco’ di instaurare una società più giusta. Fino all’avvento della signora Thatcher. Con le note conseguenze.

Nel 1945, infatti, le elezioni non furono vinte da Winston Churchill, l’amatissimo leader che sconfisse Hitler. La working class inglese, spaventata dall’idea di tornare alla terribile povertà degli anni Trenta, decretò una maggioranza schiacciante al Partito Laburista di Clement Attlee, che in un tenpo relativamente breve riuscì in un’impresa titanica: la nazionalizzazione di settori chiave dell’economia (ferrovie, elettricità, acciaio, gas, acqua,
telecomunicazioni, miniere, porti), la costruzione massiccia di case popolari e soprattutto, nel 1948, la nascita del Sistema Nazionale sanitario nazionale (Nhs), quello che per primo si prese cura dei cittadini “dalla culla alla tomba”.

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Il processo non fu indolore, toccava interessi economici enormi.
Eppure L’Inghilterra di allora ce la fece. E Loach racconta come questa impresa sia stata possibile alternando materiali scovati negli archivi nazionali e regionali, filmati bellici, vecchie pubblicità e interviste realizzate oggi ad alcuni protagonisti, un gruppo di ultraottantenni che ripercorrono i punti più importanti del periodo, mischiando le loro storie alla storia nazionale. Loach riprende i suoi intervistati in bianco e nero per fondere queste riprese con il materiale di repertorio, e il risultato è perfetto. Anche perché a parlare sono soprattutto ex operai, minatori, portuali, infermiere, medici di base, operatrici sociali: gente comune che narra con abilità la miseria della vita degli anni Trenta negli slums di Londra o di
Liverpool e lo stupore di poter poter avere poco a poco una casa a un affitto ragionevole, contratti e diritti, medici a disposizione senza dover temere di finire i soldi per i farmaci e le cure.

Una testimone racconta che suo padre, quando lei aveva 6 anni,l’aveva portata a vedere le lunghissime code dei disoccupati per ricevere il sussidio e le aveva detto: fai in modo che non accada più. Un’infermiera spiega che prima dell’avvento dell’ NHS molti curavano la tonsillite mettendo i calzini sporchi intorno al collo, ma questo spesso procurava infezioni alle orecchie. La figlia di un operaio ci dice che alla morte del padre avevano trovato nel suo portafoglio, tra le cose più care, la lettera di assegnazione della casa popolare.

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L’operazione di fondo del documentario è insomma quella di dimostrare con solide prove che un governo può rendere accessibili a tutti beni
economici, politici, e sanitari. Ma anche e soprattutto di ridare voce alla working class, quella cara da sempre al regista e testimone degli
avvenimenti della società inglese, dal dopoguerra ai difficili tempi attuali. Oggi queste persone hanno il dovere di cominciare a parlare ai giovani dello “spirito del ’45”, come suggerisce una delle intervistate. La cui idea centrale, dice il regista, era la condivisione della proprietà senza che nessuna élite si arricchisse a scapito di altri.
Nel Regno Unito l’ultima fatica di Ken Loach, presentato al Festival di Berlino, è riuscita se non altro ad innescare un salutare dibattito.
Vedremo come andrà altrove.



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