Post-Berlusconi? Parola chiave: cultura

Gli editoriali di oggi dicono, in grande misura, che siamo entrati da meno di 24 ore nel post-berlusconismo. Condivisibile, per prudenza aspetterei almeno la fine del week-end, giusto il tempo di ragionarci.

di Angelo Miotto

 

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Qui sopra la word cloud del videomessaggio dell’ultrasettantenne Berlusconi che Pier Luca Santoro ha elaborato sul suo Giornalaio.
Santoro ci avverte: “Vale la pena di prestare attenzione, credo, più alle parole in piccolo, dunque a quelle meno utilizzate, che il contrario”.

Giuliano Ferrara su Il Foglio dice una cosa molto più pericolosa di quanto possano sostenere i Sallusti e Belpietro stamattina. Dice che uno che ha pigliato i voti che ha pigliato Berlusconi è diverso da tutti gli altri, per plebiscito direi. Quindi che la sua condanna è nulla politicamente e civilmente. Da qui parte una tirata sul rimboccarsi di maniche per ricostruire – qui si capisce meno bene – la prossima formazione o lo stesso profilo psicologico di Silvio Berlusconi. O tutte e due le cose, visto che i movimenti del capo continuano a essere di plastica, nonostante gli innesti a destra, fra finti cattolici fornicatori fedifraghi, affaristi della compagnia delle opere e vecchi ruderi già Dc.

Le maniche ce le rimbocchiamo noi. Perché le parole che si sono accese su Q Code Mag come per incanto (invece di stelle si accendono parole, citando la Milano di Saba) sono cultura, bello, consapevolezza. Qualche sinonimo e molti contrari. E’ il pezzo di Nicola Sessa da Berlino, che con un’onestà e trasparenza encomiabili mette a nudo una notte insonne a volersi tirare pugni in testa dopo una cena con commensali stranieri, perché.. leggetevi il pezzo, vale.

[blockquote align=”none”]Cultura non sarà la parola chiave del post-berlusconismo, se vogliamo essere pragmatici. Cultura sarà la parola chiave per chi crede di dover curare le ferite del ventennio recente e strutturare il futuro. Ne siamo profondamente convinti. La cultura non è esibizione, non è chic, non è separazione, distanza, vessillo. Ma oggi troppo spesso gran parte del famoso ‘popolo’ che viene invocato a sproposito guarda alla parola cultura come se fosse la nuova peste, come se fosse disdicevole, da evitare e deridere, disprezzare e anzi affrontare facendosi belli di ignoranza e tronismo.[/blockquote]

Riprendiamoci la cultura. Se lo spiega bene Nicola Sessa, se tutto questo impeto innerva le scelte del nostro giornale, troviamo in un libro molto interessante una gran mole di ragionamenti e di dati sensibili che ci spiegano come la cultura sia un sicuro investimento su cui tanti Paesi hanno già scommesso.
Il titolo: La cultura si mangia. Gli autori: Bruno Arpaia e Pietro Greco. I tipi sono quelli di Guanda, 174 pagine e 12€.

 

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La recensione la faremo a parte, anche perché sono arrivato a pagina 83, per essere sinceri. Eppure la quantità di notizie che ho letto sulla società e l’economia della conoscenza sono impressionanti. Usiamo la citazione del libro per dire che grazie a questo pamphlet, scritto con leggerezza e precisione, abbiamo le prove: con la cultura non solo saremmo migliori come persone, ma ci si mangia anche, anzi ci si guadagna per il futuro.

Sembra una missione impossibile, per chi accende la Tv, che è frontale, un po’ meno per chi usa la rete, che prevede uno scambio maggiore, sempre che non si finisca solo sulle noccioline per scimmie curiose e anche un po’ morbose quali siamo.

Allora noi ci rimbocchiamo le maniche, anche se in realtà guardando fra le strade del quartiere forse ciascuno di noi troverà che la società che crede nella cultura, nel bello e nella consapevolezza, esiste ed è spesso laboriosa, ed è spesso frustrata dalla mancanza di aiuto da parte delle istituzioni.

In questo discorso il Partito, la forma partito, in questo momento non parla, è sostanzialmente muta. Perché troppe volte vediamo partiti che stilano programmi ‘culturali’ molto belli, per poi non applicarli. Oppure partiti che non capiscono che la cultura non è solo quello che chiudono alla voce ‘cultura’ dei loro programmi (elettorali peraltro, quindi sempre viziati da un intento utilitaristico, senza una vera prospettiva).

Il post-berlusconismo inizierà così, con una rivoluzione culturale, che dovrà fare nei tempi più rapidi tabula rasa della mediocrità e ipnosi dei messaggi video, testimonial del gossip, finte trasmissioni spettacolo che trascinano i giovani verso stili coatti in cui le parole del vocabolario diventano troppo troppo poche per gustare appieno la vita da cittadini responsabili della loro individualità dentro la comunità.
In caso contrario sarà fuga per molti e scollamento sociale.
Il problema che rimane aperto è come fare. Perché per ora ci sono solo vecchi partiti o nuovi movimenti che al momento della verità si trovano diretti ancora da un pugno di persone, volenti o nolenti.
Ma su questo quesito vale riaggiornarsi.
Almeno a dopo il week-end.

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