Croazia, memorie di guerra

L’operazione Tempesta del 1995 è diventata un simbolo opposto per le due parti in conflitto, creando due narrazioni contrastanti

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

Il 5 agosto, a Knin, si è svolta l’annuale commemorazione dell’operazione Tempesta, con la quale l’esercito croato riportò sotto il suo controllo le aree che nel 1991 si erano distaccate dall’allora appena nata Repubblica croata sotto la guida degli insorti serbi. Era il 4 agosto del 1995 e nel giro di 84 ore 10.500 chilometri quadrati di territorio furono riconquistati, permettendo il ritorno a casa a circa 160mila profughi che erano fuggiti da quei territori.

Allo stesso tempo, davanti all’avanzata dell’esercito di Zagabria, un  flusso pressoché equivalente di cittadini croati di nazionalità serba lasciarono le loro case a bordo di auto, furgoni e trattori. La Tempesta si lasciò alle spalle numerose vittime. Secondo le stime dell’organizzazione Suza, che riunisce i congiunti delle vittime e degli scomparsi, i morti sarebbero stati più di 1600, in gran parte anziani, ai quali sarebbe da sommare circa 2mila scomparsi, oltre a 20mila edifici distrutti.

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Come spesso accade durante le guerre, l’operazione Tempesta è diventata un simbolo opposto per le due parti in conflitto, creando due narrazioni contrastanti: “Giorno della vittoria e del ringraziamento patriotico” per il nascente stato croato, che recuperò interamente il suo territorio, catastrofe nazionale per il popolo serbo, da aggiungersi a quelle di Kosovo Polje, della prima e della seconda guerra mondiale. A distanza di due decenni, la memoria della guerra come un fantasma raggiunge la sua maggiore età e costituisce tuttora uno dei maggiori ostacoli sul cammino di riconciliazione tra Serbia e Croazia.

A Knin, capoluogo della Krajna, noto per essere una roccaforte del partito di centro-destra HDZ, ancora nel 2013 l’atmosfera si è dimostrata essere molto calda, non soltanto per le temperature che hanno toccato i 40 gradi. La cerimonia è stata accolta da fischi verso i discorsi del premier Zoran Milanovic e del presidente Ivo Josipovic e da applausi in direzione dei generali Ante Gotovina e Mladen Markac, all’epoca responsabili dell’Operazione Tempesta.

Milanovic e Josipovic si sono riferiti come di consueto con toni di patriottismo all’Operazione Tempesta, ma hanno tenuto discorsi inclusivi verso le minoranze, rivolgendosi anche coloro che si trovavano dall’altra parte. Il premier socialdemocratico ha inoltre citato il fatto che nella ex Jugoslavia la Croazia sarebbe l’unico stato nel quale i profughi della guerra starebbero tornando in zone dove rappresentano più la maggioranza. Se è incontrovertibile che la posizione della minoranza serba in Croazia sia migliore rispetto a casi analoghi nei paesi confinanti, i dati dell’ong croata Documenta parlano chiaro di come il governo croato debba ancora fare molta strada prima di farsi vanto dei propri progressii: ad ora una sola sentenza di primo grado per crimini commessi sulla popolazione non croata durante la guerra è stata emessa con una pena particolarmente bassa, dei circa 950 corpi esumati solo una metà sarebbero stati identificati, innumerevoli le questioni pendenti riguardanti proprietà, cittadinanza, pensioni.

L’assoluzione dei generali Gotovina e Markac presso il tribunale dell’Aia dall’accusa di aver provocato volutamente l’esodo della popolazione serba dalla Krajna nel 2012 ha ribaltato una sentenza precedente di primo grado che li condannava a 24 e 18 anni per la partecipazione a “un piano criminale” che secondo i giudici avrebbe avuto come fine la pulizia etnica delle zone da riconquistare. Una correzione in extremis che in Croazia non ha aiutato il processo di rielaborazione del passato e che in Serbia ha aumentato il senso di frustrazione e l’idea che il Tribunale internazionale sia mosso da interessi di parte. L’operazione Oluja era stata utilizzata anche da parte serba nel 2010 come capo per l’accusa di genocidio presso la Corte internazionale di giustizia, in risposta ad un’accusa analoga lanciata anni addietro da parte croata.

Negli ultimi anni i rapporti tra Croazia e Serbia hanno fatto notevoli passi avanti, in particolare durante la presidenza Tadic. L’elezione di Tomislav Nikolic a presidente della Serbia, che ha esordito con dichiarazioni controverse su Vukovar, ha segnato una stasi in questo processo, ma in questo momento la politica serba non serba voler forzare i toni con i vicini balcanici. Prova ne sia che alla commemorazione religiosa tenutasi a Belgrado il 5 agosto in ricordo delle vittime dell’Operazion Tempesta, il vicepresidente Aleksandar Vucic, pur parlando di un giorno di tristezza nazionale e sottolineando la necessità che i responsabili vengano puniti, abbia mantenuto toni moderati. Da entrambe le parti la memoria dell’estate del 1995 rimane congelata e viene toccata solo quando rientra negli interessi politici del momento. Ma finché le due narrazioni dominanti non verranno messe in discussione, la Tempesta che investì le Krajne croate porterà sempre scompiglio.



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