Laura Mintegi: la società basca è più avanti dei politici

Negli ultimi mesi molto lavoro è stato fatto dalla società civile basca, che sta cercando di riattivare un processo di pace bloccato dai silenzi di Madrid e Parigi. Il sindaco di San Sebastian ha annunciato che in autunno sarà celebrata una nuova conferenza internazionale su questi temi, mentre Eta sarebbe disposta ad affrontare il tema del disarmo questa volta direttamente con i partiti e le forze sociali basche, per procedere sul cammino segnato dopo la tregua di carattere permanente e a tempo idefinito. Madrid e Parigi non danno segnali. Anzi, l’unica costante che rimane è la repressione delle forze di sicurezza e la legislazione eccezionale, con decine di giovani che stanno per andare a processo in autunno.

Laura Mintegi è la portavoce nazionale di EH Bildu e ha corso alle ultime elezioni per divenire lehendakari, presidente della Comunità autonoma basca

di Angelo Miotto

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Laura Mintegi, a che punto siamo del percorso di pace?
È un momento contraddittorio. Da una parte è gratificante vedere che in meno di due anni è stata socializzata l’idea che sia necessario costruire un processo di pace che si basi sull’accordo. D’altra parte, il negarsi da parte degli stati francese e spagnolo ad affrontare le conseguenze del conflitto, cioè concretamente i temi del disarmo di Eta e la politica penitenziaria, fa crescere lo scoraggiamento nella popolazione.
Gli Stati, specie quello spagnolo, dicono che la pace è l’assenza dell’attività violenta di Eta, ma nello stesso tempo mantengono l’attività di polizia e quella giudiziaria, proseguendo negli arresti e nei processi che si basano su legislazioni speciali create ad hoc durante gli anni più duri del conflitto armato. E, attraverso questi provvedimenti, sta incarcerando con pene esorbitanti delle persone che come unico crimine hanno commesso il fatto di svolgere una attività politica. Si continua a punire duramente la dissidenza, anche se la lotta armata ormai è terminata.

La maggioranza della popolazione basca vuole un cambiamento di questa attitudine, cerca la pace senza vincitori né vinti ed esige che si possano difendere i diritti della popolazione attraverso la via politica. Ma l’impressione che ne ricaviamo è che il governo spagnolo senta un senso di vertigine di fronte al fatto che si possa arrivare alla pace con questi strumenti politici e stia tirando la corda per provocare un ambiente violento che possa giustificare la sua politica di intransigenza.

Le forze politiche basche e gli agenti sociali che difendono i diritti della nazione basca, da parte loro, hanno deciso di non cadere in questa provocazione e difendono le loro posizioni in maniera pacifica e attraverso il metodo della disobbedienza civile.

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A livello basco, si sta riuscendo a trovare una base di consenso minimo con il presidente del governo vasco per affrontare questa situazione? Voi che cosa proponete?
Il governo basco, nonostante si trovi in una situazione di inferiorità numerica, nei primi sei mesi di azione ha mostrato un atteggiamento superbo e prepotente, ottenendo in cambio di non riuscire a portare avanti il documento sul bilancio del 2013 e con le stesse difficoltà per quanto riguarda il 2014. Per questo ha iniziato delle consultazioni con i partiti, ma ancora prima di aver finito i colloqui aveva già scelto il Pse (partito socialista di Euskadi, ndr) come socio politico perché non cerca un patto per il Paese, così come gli aveva chiesto Bildu, ma una semplice maggioranza numerica.

In EH Bildu crediamo che la situazione economica è sufficientemente grave per arrivare a cercare un consenso molto più ampio, dare risposte politiche proprie alle direttive che vengono imposte da Bruxelles, passando per Madrid, e cambiare il modo di affrontare questa crisi, facendola finita con le politiche di austerità, rendere prioritaria l’economia reale al posto di quella speculativa e rinforzare il settore pubblico per sopperire alle necessità basiche della popolazione sui temi dell’istruzione, sanità, servizi sociali e investire non nelle banche ma nelle persone, nell’occupazione in attività economiche di base.

Per arrivare a questo obiettivo c’è bisogno di un grande accordo, un patto fra partiti, sindacati, imprenditori e agenti sociali e non l’inciucio fra due partiti che riescano ad arrivare semplicemente alla ‘metà più uno’. L’obiettivo è dare stabilità al paese, non al Pnv (Partido nacionalista vasco, che esprime il lehendakari, il presidene della comunità autonoma basca, ndr)

Vittime. Si sta avanzando nel mutuo riconoscimento? Come reagisce la società civile?
Purtroppo, o per fortuna, la società civile basca è molto più avanti rispetto ai politici, che non riescono ad accordarsi e quindi ad avanzare. La fotografia delle vittime del conflitto che cerchiamo di scattare è ampia e plurale, tutte devono essere riconosciute e avere una riparazione, con la garanzia che il loro dolore non tornerà mai più a ripetersi. Senza dubbio, il quid della questione risiede nella difficoltà dei vari partiti ad assumere la propria responsabilità nello scatto di questa fotografia, un fatto necessario per affrontare un secondo passo. Per quanto ci riguarda, vogliamo costruire un futuro che si basi su una revisione di un passato tragico, senza dimenticare nemmeno uno dei casi di dolore e sofferenza.

Prigionieri politici. L’ultimo dossier Amnesty, come ogni anno, è tornato sul discorso della tortura. Muovere questa pedina, quella dei prigionieri politici, per Madrid e Parigi è una questione di tattica. A che punto siamo?
Il governo del PP (Partido popular) è passato dall’immobilismo all’involuzione attuale. Non solo non si registra un solo movimento, ma ogni mese dobbiamo assistere a sempre più numerosi casi di incidenti automobilistici di familiari che devono percorrere centinaia di chilometri per una visita. Aumenta anche il numero dei prigionieri politici che soffrono di malattie incurabili in prigione, o di quanti hanno già scontato la propria condanna e che non vengono messi in libertà per qualsiasi sotterfugio. Fatti che si potrebbero evitare con l’applicazione della legge vengono messi da parte, per motivi di puro interesse e dichiarando che si vogliono senitre parole come pentimento, delazione, collaborazione del prigioniero con la polizia. Una prigioniera politica, nelle settimane scorse, è stata minacciata con il levarle il figlio che sarebbe nato da lì a poco se non si fosse allontanta dal Collettivo dei prigionieri e delle prigioniere politiche basche. La prospettiva umanitaria, in Spagna, cede il passo all’interesse politico dell’immediato.

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Muro popolare: abbiamo visto nei mesi scorsi come a Ondarroa la popolazione ha costruito un muro popolare di resistenza passiva per rallentare l’arresto di una militante política. Tu eri con loro: i nuovi tempi resisteranno alle provocazioni e al dispositivo di repressione?
In un’epoca di cambiamento politico così intenso, come quella che stiamo vivendo, in cui assistiamo alla fine di un ciclo e al’inizio di un altro, convivono due forme in maniera simultanea: quella vecchia della repressione di polizia e quella nuova del muro popolare.

La società basca è stufa di violenza. Non è solo Eta che ha dichiarato finita la lotta armata. È la stessa società che ha detto che doveva finire l’aggressività, l’imposizione, la repressione, la tortura. Per questo, in maniera spontanea dal momento che lo stato continua ad arrestare e mettere in prigione, la popolazione è uscita per le strade cercando di costruire una muraglia umana per chi veniva arrestato.

Senza violenza, ma con rabbia per l’ingiustizia. Nonostante alla fine le persone ricercate vengano arrestate, la sensazione è quella i avere vinto, per l’enorme solidarietà che viene generata da migliaia di persone e per l’appoggio tacito della gran maggioranza della popolazione stessa. La popolazione, per rispondere, resisterà, è un fatto registrato nel nostro Dna, quelo di un popolo che è il più antico d’Europa che è riuscito a mantenere la sua lingua in 20mila anni di storia. Un popolo che sa che ha sempre abitato qui e, succeda quel che deve succedere, continuerà a viverci.



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