Egitto, la voce dei Fratelli Musulmani

Venerdì 30 Agosto 2013, per i Fratelli Musulmani, è stato il giorno Kasr al Inqilab, il giorno della distruzione del golpe militare. Tra le loro fila, per comprendere un ideale per il quale sono pronti a morire

di Omar Abdel Aziz, dal Cairo 

Nelle manifestazioni serali che sfidano il coprifuoco ci sono tutti i movimenti che animavano le piazze di Rabiaa al Adaweia e Nahda: Fratelli Musulmani, Salafiti, alcuni giovani del Movimento 6 Aprile e i giovani di Tahrir. Ma il vero il nocciolo duro della protesta, la massa, sono manifestanti anonimi: c’è chi sostiene Morsi, chi non lo sopporta, ma è contrario al governo militare, e chi scende in piazza per manifestare la propria vicinanza alle famiglie delle vittime di Rabiaa, Nahda, Ramsis  e Abu Zabaal.

Ci sono donne, bambini, anziani  e giovani. Tutti contattati tramite passaparola o sms o facebook.  A coordinare i cortei locali per la strada sono i Fratelli Musulmani del quartiere, giovani che precedono i manifestanti per assicurarsi che non ci siano baltagheya (criminali) pronti a tendere imboscate. Accade spesso infatti che i cortei vengono accerchiati e attaccati da uomini in abiti civili, armati. Come una settimana fa Shobra, quartiere del Cairo, dove una manifestazione, è stata attaccata da un centiniaio di baltagheya sostenuti da polizia ed esercito, con bottiglie incendiarie, armi bianche e fucili.

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Alla mia domanda rivolta ad un poliziotto: “Perchè non intervenite per difendere i manifestanti”,  ho ricevuto un sorriso compiaciuto.                                                  Il rischio di attacco durante le manifestazioni locali è alto ma mai quanto manifestare nelle zone importanti del Cairo come a Ramsis, a Muzallat, a Dokki o Helwan, per non parlare di Tahrir dove sparano a vista. In queste aree del Cairo i baltagheya sono relegati in ruoli ausiliari: a sparare direttamente infatti sono poliziotti e militari.  I criminali fanno un lavoro più di “pulizia”: finiscono i manifestanti colpiti o catturano chi cerca di scappare all’accerchiamento, ho visto diversi pestaggi di manifestanti stanati mentre cercavano di fuggire all’arresto durante cortei al Cairo. Un piano chiaro e semplice, un sistema che ho visto ripetersi decine di volte: vengono indette proteste in strada contro il golpe, la polizia o l’esercito spara e i baltagheya ripuliscono la piazza.

La strategia pacifica dei cortei. Fino a quando?

“La nostra non violenza è più forte delle armi”. Lo aveva ripetuto più volte Mohammad Badie, Guida generale dei Fratelli Musulmani, ora agli arresti. Se tra i dirigenti dei Fratelli e dei Salafiti la voce non cambia, insomma tutti d’accordo sulla via pacifica, non è cosi tra i giovani. La rabbia mista a sconforto e speranza anima le leve più giovani del fronte islamico. C’è chi crede che dopo le vittime di Rabiaa e Nahda la via pacifica non sia più la strategia migliore.

Come dice Mahammad, dei giovani dei Fratelli: “Scendere ancora in piazza pacificamente dopo i massacri che ci sono stati a me sembra un suicidio di massa, o ci armiamo e ci difendiamo oppure stiamo a casa, questa strategia pacifica fino a quando la vogliamo portare avanti? ci stanno ammazzando tutti”. Non è d’accordo AbdelHamid: ” La strategia pacifica è l’unica via, entrare armati in un conflitto con l’esercito e polizia significa far scoppiare una guerra civile come in Siria”. “E’ già una guerra civile, noi siamo chiamati a difendere quelle persone che vengono uccise per strada urlando Silmyya,Silmyya. “Come le difendi quelle persone con le parole?” rincara la dose Mahammad.

Altri giovani invece come Mahmud sono per una via mediana: “Io scendo pacifico, ma con una pistoletta o un coltellino in tasca, così nel caso in cui ci sia un attacco almeno cerco di difendermi”.  Un dibattito che va avanti da settimane tra i giovani del movimento islamico mentre ogni notte si moltiplicano gli arresti dei dirigenti dell’alleanza anti golpe.”L’arresto dei dirigenti del nostro movimento non fermerà le manifestazioni e le proteste contro la dittatura militare”, mi conferma AbdelHamid, “Con noi c’è tanta gente, che dei militari non ne può più”.



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