Chernobyl, 27 anni dopo

Fare il freelance non è mai un lavoro semplice. Ti capita quello che viene e spesso si è costretti ad accettare ciò che passa il convento, però a volte può succedere che ti propongano un lavoro che non ti aspetti, qualcosa di veramente atipico: documentare un tour guidato alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il giorno di Ferragosto.

di Iacopo Luzi

Sicuramente la prima volta che mi offrivano qualcosa del genere.

Non so perché, ma ho deciso di accettare. Anziché trascorrerlo al mare, il 15 Agosto lo avrei passato in Ucraina, facendomi un bel bagno, sì, ma di radiazioni.

Inoltre, scoprire che ancora oggi l’area attorno alla centrale sia pesantemente contaminata, seppure in misura tale da permettere delle brevi e soprattutto rapide visite al suo interno, non mi aveva rassicurato.

Cinque ore nella zona di alienazione intorno alla centrale, del raggio di 30 km, infatti equivalgono alla stessa quantità di radiazioni che si potrebbero assorbire durante un volo transoceanico.

A dirla tutta, la storia delle radiazioni durante i voli, non la conoscevo…ma poco importa: rotta per l’Ucraina.

Tutti noi ricordiamo i tragici fatti che avvennero la notte del 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl e gli effetti che quel disastro causò a centinaia di migliaia di persone. Le stime non sono ben chiare, ufficialmente i morti in quell’incidente risultano essere solamente 30 (ma a chi la danno a bere?), mentre in realtà il numero sembra essere molto più alto, addirittura sei milioni di morti secondo organizzazioni come Greenpeace.

Dopo ventisette anni, Chernobyl è solo un brutto ricordo del quale nessuno vuole parlare, soprattutto coloro che vissero quel disastro sulla loro pelle, eppure, oggi, le cose sono molto cambiate da allora.

Ironia della sorte: ciò che un tempo era solo fonte di dolore e sofferenza, si è tramutato in una fonte di guadagno, un’attrazione turistica da far visitare a delle persone, non molte finora, appassionate di turismo estremo.

Fortunatamente i souvenir ancora non li vendono…

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Per visitare la centrale nucleare, arrivando a quasi 100 metri dal reattore n°4, quello della fatidica esplosione, basta solo trovare un’agenzia specializzata in queste “gite”, scrivere una lettera al governo ucraino, richiedendo un accesso all’area, un passaporto, un abbigliamento che permetta di avere tutte le parti del corpo coperte (per evitare contatti diretti) e il gioco è fatto. Un controllo all’ingresso dell’area ed eccoci: siamo dentro la zona di limitazione attorno alla centrale nucleare.

Nessuno vive più in quest’area, tranne pochi scienziati e amministratori della zona che periodicamente trascorrono alcuni giorni nella cittadina di Chernobyl, l’area meno contaminata, per il resto tutto è abbandonato e caduto in rovina, con interi paesi inghiottiti dalla polvere e dalla vegetazione.

Sì, avete capito bene: mai visto così tante piante, insetti e fiori in vita mia. Uno si immagina la desolazione, il deserto, l’assenza di vita e invece, dove gli uomini sono scappati via a gambe levate, causa del loro stesso male, la natura ha trovato una terra fertile dove crescere rigogliosa, un mondo nuovo tutto per sé.

Un habitat sicuramente radioattivo, eppure chi può dire che, liberandosi della presenza umana, queste piante e animali non ci abbiano guadagnato?

[blockquote align=”none”]Attorno alla centrale è tutto un susseguirsi di cantieri e camion che vanno e vengono, mentre la zona rimane costantemente monitorata per prevenire nuove fuoriuscite radioattive dal reattore, in quanto, nonostante siano passati molti anni dall’accaduto, il nocciolo continua a bruciare all’interno del Sarcofago (la famosa impalcatura di cemento e metallo che costruirono per sigillare il reattore).[/blockquote]

Oggi il Sarcofago sta cadendo a pezzi, con delle crepe talmente grandi che ci potrebbe passare dentro un’auto, e in molti suppongono che possa venir giù tutto da un momento all’altro, sebbene una volta giunti di fronte al reattore, nessuno sembra fare caso a questo ipotetico rischio.

O, per lo meno, la vista del reattore mi ha impressionato così tanto, da impedirmi di ricordare questo piccolo, ma fondamentale, dettaglio.

Era così strano ritrovarsi a faccia a faccia con quel mostro, quello scheletro invecchiato, simbolo emblematico dell’arroganza umana e delle conseguenze che l’uomo paga quando gioca a fare Dio, convinto di poter tirare la corda all’infinito.

La corda ogni tanto può spezzarsi: una barra di grafite (materiale usato per limitare la reazione nucleare) tolta in più dal nocciolo ed ecco il reattore collassare. Un’esplosione immensa, fortissima.

Basta così poco, basta osare più del dovuto, per scoperchiare il vaso di Pandora. Un vaso che ancora oggi, nel 2013, influenza la vita d’innumerevoli persone.

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Il tour di Chernobyl non dura molto, giusto un paio di ore, ma colpisce molto un posto chiamato Pripyat: una ghost town grande quanto Mantova, vicinissima alla centrale, che venne evacuata due giorni dopo l’incidente, all’improvviso, e che da allora è rimasta come fossilizzata nel tempo, come un’istantanea monumentale di quel giorno: bicchieri abbandonati in un distributore, un carrello della spesa, un’insegna caduta a terra fino ad arrivare a una ruota panoramica, maestosa e gialla, che non venne nemmeno mai inaugurata. Tutto rimasto come allora senza che nessuno toccasse più niente. Tra le strade di quella cittadina, bastava chiudere gli occhi per un secondo, per poter quasi sentire le voci di tutte quelle persone che vivevano lì. Pensate a quanta vita scorreva per quelle vie, interrotta all’improvviso, senza che nessuno se ne rendesse nemmeno conto, senza che nessuno sapesse che per due giorni aveva vissuto tranquillamente mentre, in realtà, la centrale esplosa aveva riversato su tutta Pripyat una quantità di radiazioni incalcolabile.

Fa impressione, credetemi.

Alla fine della giornata, il tour si conclude con un controllo della radioattività, passando attraverso un fatiscente macchinario adibito alla rilevazione delle radiazioni.

Non servirebbe, in quanto una vera contaminazione è molto rara, ma non si sa mai. Giusto qualche secondo. La lucina del rilevatore si colora di verde: siamo puliti.

Ufficialmente fuori da Chernobyl.

Dimenticavo, una buona notizia c’è: l’Unione Europea insieme alle principali superpotenze del pianeta, stanziando circa 9 miliardi di euro, hanno finalmente dato il via ai lavori di costruzione di un nuovo Sarcofago, grande più della Statua della Libertà, che coprirà, una volta terminato nel 2016, il vecchio sarcofago, mettendo finalmente in sicurezza il reattore e l’intera centrale nucleare.

Il futuro di Chernobyl si prospetta migliore, eppure quel reattore, quell’incidente, quella notte resteranno sempre un monito per l’intera umanità.

Impossibile, per quanto uno ci provi, da dimenticare.

 

 



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