Venezia e le navi dell’idiozia

Venezia è una città di bellezza inaudita, unica al mondo. Per comprenderne la potenza basti pensare che i grandi malati, coloro appesi a un filo di vita che inesorabilmente s’assottiglia, notte e giorno quasi sempre a occhi aperti, apparentandosi il dormire al morire (Leopardi), a Venezia riescono spesso a ritrovare il sonno, e sogni sopportabili.


Da Venezia, Bruno Giorgini

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Una bellezza cangiante secondo per secondo sia perchè la luce delle acque in complicità col cielo la bagna in modi sempre nuovi e diversi, sia perchè nelle acque si riflette un’altra città anch’essa cangiante, sia perchè bellezza vivente cioè abitata, frequentata, percorsa da esseri viventi, talchè possiamo dire essere Venezia un insieme di sfumature della bellezza che congiunge il finito, la personale finitezza delle cose umane, con l’infinito la cui tentazione da qualche parte alberga in noi. Quindi si comprende perchè essa nutra l’immaginario di milioni e milioni di umani (ma secondo me anche i gatti e certamente le pantegane), che sognano di poterla visitare almeno una volta, per poche ore o giorni, senza distinzione di censo, religione, ideologia, colore della pelle, età, sesso, tutti/e accomunati/e da questo desiderio di toccare con mano anche solo per un momento l’infinità della bellezza costruita dall’essere umano.

[blockquote align=”none”] Si badi, tale è la potenza di Venezia che anche la merda riversata nei canali diventa bellezza, o a volte il devastante odore che in estate le acque lagunari e dei canali emanano, o la fatica di camminare sulla pietra delle sue fondamenta e/o calli, e quei ponti che alla decima volta in cui sali e scendi, magari carico di borse della spesa o di valigie, ti vien voglia di maledire. Per questo, perchè la sua bellezza è materia vivente e cangiante, non si può neppure pensare di chiuderla ai visitatori, di far pagare balzelli per entrarvi e altre coglionate del genere che ogni tanto si ascoltano, sub specie che il troppo turismo potrebbe deturparla; farne una città chiusa vorrebbe dire ammazzarla. Venezia non è un museo a cielo aperto, come qualcuno ha scritto proprio in questi giorni, nè tantomeno è fragile, Venezia è una città paradigma vivente della bellezza, col rischio che sempre la vita corre di inciampare, deteriorarsi, inquinarsi e quant’altro, ma se togliamo a Venezia il vivente, i viventi, anche i turisti a frotte spesso volgari in una certa accezione un po’ con la puzza sotto il naso, ne facciamo una morta gora.[/blockquote]

 

I viventi: sto sabato 21 all’ora di pranzo seduto lungo un canale non lontano dalle Zattere, ma discosto e appartato rispetto al flusso principale di turisti, e in rapida sequenza compaiono una coppia di cinesi palesemente nuovi ricchi, per il gusto italiano un po’ cafoni, col naso all’aria guardandosi intorno come Alice nel paese delle meraviglie, chissà perchè mi fanno venire in mente il gran khan descritto da Italo Calvino nelle città invisibili quando ascolta le narrazioni di Marco Polo; tre o quattro intellettuali anglosassoni, forse professori, anzi quasi certamente, di un qualche campus americano o inglese, che discutono accanitamente, suppongo di arte, magari invece di donne, ma comunque con un’aria assai culturale, impegnata; un gruppo chiassoso di giovani del continente indiano che mangiano pizza a quattro palmenti, ridono, giocano, corrono in qua e in là; una allegra brigata di ragazze arabiche rigorosamanete tutte in short e maglietta con una che legge a alta voce col tipico francese del Maghreb, o così sembra, da una guida e le altre che un po’ ascoltano un po’ hanno l’aria di prenderla in giro; una anziana signora veneziana che aiutandosi con un bastone cammina fino a una sedia dove s’accascia sacramentando contro i ponti che  a una certa età sono un tormento; già perchè a Venezia non assordati dal costante rombo in sottofondo del traffico, si possono sentire le intonazioni, se non ascoltare le parole di chi cammina intorno a noi, e in generale non essendo distratti dalle auomobili sempre incombenti, si è più attenti a colui colei coloro che ci camminano qualche passo al fianco o davanti o dietro. Possiamo dirla così: il sound di Venezia è lo sciabordio delle acque intessuto di parole e suoni umani, già questo è meraviglioso e fa una bella differenza di qualità della percezione rispetto, che ne so, a Milano.

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[blockquote align=”none”]Ma Oggi 21 settembre 2013 è anche il giorno delle grandi navi da crociera che dovrebbero traversare il canale della Giudecca per arrivare di fronte a S. Marco. Si tratta di oggetti galleggianti che offendono insieme la natura, l’intelligenza e la bellezza. Descriviamone uno: la Msc Divina pesa 135mila tonnellate, è lunga oltre trecento metri, ha undici piani di cabine, più alta del campanile di S.Marco e vien voglia di affondarla soltanto a vederla. Quando poi si muove riempiendo il cielo di fumo nero e agitando le acque con onde da tempesta si arriva a odiarla. In tutto se ne contano diciotto (18), ovvero tra arrivi e partenze significa trentasei (36) passaggi nel canale della Giudecca. Se questi oggeti galleggianti li mettiamo in fila uno dopo l’altro otteniamo un muro di lamiera in ferro lungo tre (3) chilometri, alto dai quaranta (40) ai sessanta (60) metri e passa, e largo oltre trenta (30), con 772mila tonnellate di stazza complessive. [/blockquote]

Stando qui sulla riva ci si rende conto a pelle trattarsi di una follia delirante, forse delirio di onnipotenza, forse rancore e invidia verso la bellezza della città della laguna della natura, forse avidità smodata di denaro, comunque un’offesa che va fermata. Infatti una cinquantina di giovani del comitato “no grandi navi” si butta in acqua a costruire una barriera umana, una diga di corpi contro questa brutale prepotenza, ci sono anche alcune barche con lo stesso ruolo di interdizione, mentre oltre un migliaio di cittadini li incoraggia dalla riva, innalza cartelli, grida slogan; sarebbe la solita manifestazione ma quei cinquanta in acqua che si distendono tra le Zattere e la Giudecca cambiano tutto, esercitano un diritto, chiamiamolo il diritto alla e della città, mettendo in gioco i loro corpi e impedendo per oggi fisicamente alle grandi navi di passare. Intanto un altro gruppo di militanti no grandi navi era andato all’aeroporto Marco Polo per smantellare letteralmente la cosidetta welcome area dei crocieristi, l’azione  battezzata stopo cruises, save the lagoon  è perfettamente riuscita, con sedie, poltrone, tavoli e altra mobilia accatastata fuori mentre il luogo veniva simbolicamente chiuso con un nastro bianco e rosso, col che ovviamente è arrivata senza tema del ridicolo l’associazione Clia Europe, che rappresenta gli armatori del settore crocieristico, a lanciare alti lai contro “i gravi episodi di violenza avvenuti ieri mattina all’area arrivi dell’aeroporto”.

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Già l’associazione armatori e altre lobby, le quali esercitano un potere improprio che potremmo definire ai confini della legalità. Mi riferisco in modo preciso alla violazione, non si sa in base a quale salvacondotto, del decreto governativo Passera-Clini che vieta il passaggio lungo il canale della Giudecca per le navi che abbiano una stazza superiore alle 40.000 tonnellate. Insomma le cosidette grandi navi, che sono tutte ben oltre le 40.000 tonnellate, quando si muovono nel canale sono fuorilegge, seppure nessuno la legge fa rispettare. Salvo per qualche ora quei cinquanta giovani coraggiosi nuotatori e i natanti che li accompagnavano, i quali, in ossequio alla usuale farsa italica, pare saranno multati per duemila euro ciascuno avendo violato il divieto di balneazione, mentre alcuni conduttori degli scafi che inalberavano cartelli e stendardi no grandi navi sono stati identificati in vista di una possibile denuncia per manifestazione non autorizzata, a ulteriore testimonianza, se ce ne fosse ancora bisogno, che la situazione è spesso nel nostro paese “disperata ma non seria”.

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Adesso tutti giurano che bisogna metter fine allo scempio, da Oliviero Toscani fotografo a Orlando ministro, staremo  a vedere se e quando alle parole seguiranno i fatti. Personalmente sono scettico forse per pregiudizio verso le promesse di ministri e altri politici, forse perchè la forza della lobby grandi navi sì, seppure in queste ore appaia interrata, continuerà certamente a scavare, e è capace di buchi belli grossi. Non bisogna pensare a grandi complotti e corruzioni morali e materiali, certamente ci sono pure queste ma funzionano anche lobby più casalinghe, ma non meno agguerrite, per esempio quella dei fioristi. Mi racconta un amico che quando le grandi navi arrivano alla Marittima di Venezia rinnovano il parco fiori per le cabine, e il fiorista, o il gruppo dei fioristi, incaricato guadagna più con un solo carico per una grande nave che in sei mesi, o giù di lì, di vendite in Venezia. Se l’attracco delle navi da crociera fosse spostato a Marghera come qualcuno propone, ecco che i fioristi veneziani perderebbero un consistente volume d’affari, così è per altri fornitori, insomma se adesso a chiunque tu chieda in Venezia troverai solo pubblici pareri no grandi navi, il vizio privato sì grandi navi è probabilmente più esteso di quanto sembri.

[blockquote align=”none”]Per comprendere appieno il rischio strutturale, oltre a inquinamento dell’aria e della laguna, conseguente ai passaggi delle grandi navi che spostano enormi masse d’acqua (e quindi di energia), si pensi che i palazzi veneziani lungo il canal grande per esempio, sono costruiti su piloni di legno. Queste sono in gran parte le fondamenta della città, che un moto ondoso eccessivo, scaricando il suo carico energetico sui piloni, può incrinare fino alla rottura. Venezia è a misura del passo umano e, per le vie d’acqua, di remo o vela, al massimo regge i vaporetti, non a caso “piccoli vapori”, tutto il resto è di troppo, anche le navi sotto le 40 mila tonnellate, pur permesse nell’attuale legislazione. [/blockquote]

Ma parlare delle grandi navi significa anche affrontare la questione del turismo. Già c’è chi, partendo dal necessario divieto d’attracco e passaggio delle navi da crociera, ritiene che la città non possa a lungo reggere gli attuali 25 milioni di visitatori l’anno, numero peraltro in prevedibile crescita. Discuteremo in maggior dettaglio del turismo di massa a Venezia in una seconda puntata. Qui basti dire che, come già accennato, pensare Venezia come un museo a cielo aperto, con tanto di biglietto d’ingresso e tariffario, ucciderebbe la città, cioè intiera la sua bellezza, che non è la somma delle opere d’arte pur eccelse che vi sono racchiuse, ma esattamente la sua dinamica/interazione tra popolazioni che la visitano vivendola sia pure per poco, e calli, campi, canali, palazzi, scorci meravigliosi, viste singolari, suoni solo qui udibili, colori solo qui visibili, geometrie solo qui percepibili. Per capirlo basta una passeggiata con Italo Calvino a Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e si intersecano. Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poichè la linea più breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s’aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi all’asciutto. Così la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di Smeraldina. (..) Le vite più abitudinarie e tranquille a Smeraldina trascorrono senza ripetersi.

Venezia ha una vocazione antica, essere luogo cosmopolita crocevia delle genti. Questa missione tanto più vale oggi in tempi di globalizzazione, cioè detto in altro linguaggio credo che la bussola debba essere il diritto universale d’accesso a Venezia, rinforzandolo nella concezione che ogni visitatore è, anche solo per due ore, cittadino di Venezia. Cittadino e non consumatore, con diritti come quello di non essere taglieggiato da albergatori, osti, rapaci commercianti e altri appartenenti alla fauna nutrita da una sconsiderata avidità, e doveri come quello di rispettare la bellezza che la città gli offre in dono, di preservarla e curarla come fosse cosa propria, perchè è cosa propria, un bene comune dell’umanità intera, di ognuno di noi. Certo questo vuol dire fare una vera e propria rivoluzione culturale e anche tecnologica in città, costruire sul serio una città intelligente i bisogni e desideri dell’intero mondo. Non sarà facile ma è l’unica strada. L’altra, il museo col tagliando, è semplicemente un necrologio.



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