Peperoni: Il miglio appropriato

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Sono passati almeno 10 anni dallʼuscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile[/note]

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Schermata-2013-07-12-alle-14.20.02.png[/author_image] [author_info]Alice Bellini. Dovendo rinunciare alla sua aspirazione Jedi per cause di Forza maggiore, si laurea in cinematografia tra Londra e New York, con la speranza di potersi definire quanto prima una scrittrice. Già redattrice di cinema per altre testate online indipendenti, non è una critica di nulla, ma le piace dire la sua, sapendo che, comunque, la risposta a tutto è inevitabilmente 42.[/author_info] [/author]

2 ottobre 2013 – Educare. Forse l’unica cosa che ci è rimasta davvero. L’unica salvezza da un baratro di giochi di potere e false libertà. Educare, che ovviamente non è insegnare, ma tramandare con garbo e premura, affinché qualcosa di buono non vada perduto. Ed è la cosa più difficile. Perché a educare ci vuole disciplina, che non significa rigidità, ma coerenza. Ci vuole un grande sforzo mentale per mettere in pratica quello che si sta cercando di tramandare. Perché l’educazione è un gesto generoso e altruista, che richiede un’energia infinita a persone sempre più individualiste, egoiste ed egomaniache quali siamo.

A me viene sempre in mente un grande uomo di nome Ghandi, che una volta disse: “sii il cambiamento che vuoi vedere”. Educare.

Ora, la vendetta è un sentimento comune, quasi inevitabile. Si mescola con il senso d’ingiustizia e con la necessità di punizione. Ma purtroppo non ha nulla a che vedere con una reale punizione, perché esenta dal raziocinio. Dunque non segue schemi logici. Dunque sfocia in azioni che non hanno alcuna finalità, se non la propria. Spesso risulta difficile tenerla a bada. Gli omicidi, specialmente quelli brutali, gli stupri, la pedofilia, i massacri, le torture. È difficile placare la rabbia generale che sprigionano. È difficile mantenersi saldi sul pezzo e capaci di continuare a educare, ovvero punire, invece che farla pagare, ovvero vendicarsi. Ma si è detto più volte che l’occhio per occhio non porta a nulla, se non a un mondo cieco e spietato.

Prendiamo, ad esempio, la pena di morte.

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Credo che, a tale proposito, l’abbinamento cinematografico sia abbastanza immediato più o meno per tutti. Nessuno non venne profondamente toccato, nel 1999, da Il Miglio Verde, un poetico adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, con Tom Hanks e uno strepitoso Michael Clarke Duncan. Che piaccia o meno, è un film che è passato agli annali. Chi non ha provato almeno un po’ di rabbia o di profonda tristezza nel vederlo scagli la prima pietra.

Il messaggio è forte e lampante: la pena di morte non è mai la soluzione. Avvelena le persone. Le fa morire dentro, perché è quello l’esempio che dà. Le rende barbare, purulente, incapaci di crescere oltre. Stronca l’umanità, proprio come la vita che forzatamente toglie. Il discorso è semplice: dalla morte non è mai nata la vita.

Pochi giorni fa è stata espressa la sentenza definitiva in merito al gruppo di ragazzi che il 16 dicembre 2013 stuprarono e torturarono brutalmente una ragazza 23enne, abbandonandola poi moribonda per strada. Tantissime furono le voci politiche e giudiziarie, insieme a quelle civili, che invocarono la pena di morte per i colpevoli. E così fu. La condanna definitiva arrivò. Ma, nonostante lo sdegno più grande e profondo che la nazione provava per il crimine commesso, al momento della condanna anche i più duri hanno tremato. Così, il governo ha incaricato la commissione di Verma di rivedere la legge che punisce gli stupri. E l’India, trionfalmente e ancora una volta, si è dimostrata coerente con il cambiamento che vorrebbe vedere nel mondo. Dopo aver consultato moltissime associazioni che si occupano dei diritti umani e di quelli delle donne, ha infatti decretato che la pena non era una pena appropriata. Neanche per il peggior crimine. Ecco, questa parola, “appropriata”, è molto bella. Rende molto bene l’idea.

Non era “troppo dura”, o “troppo brutale”. Semplicemente, non era appropriata. Ammazzando sei folli sadici e miserabili non avrebbero insegnato niente a nessuno, né a loro, né al resto del mondo. Non mi stancherò mai di dire che una pena che, per punire, impone lo stesso atto che si vuole punire è ridicola e paradossale, cioè inutile. Una pena, per punire, deve educare.

“Sono stanco, capo. […] Sono stanco soprattutto del male che gli uomini fanno a tutti gli altri uomini. Stanco di tutto il dolore che io sento, ascolto nel mondo ogni giorno, ce n’è troppo per me. È come avere pezzi di vetro conficcati in testa sempre continuamente. Lo capisci questo?” chiede John Coffey in uno dei momenti più commoventi della pellicola.

Il Miglio Verde è ambientato nel 1935. Questo lo rende ben sessantaquattro anni più vecchio di quello che già è. Alcuni tra gli orrori più terribili del ‘900 non erano ancora avvenuti. Mi domando quanti pezzi di vetro avrebbe conficcati nel cervello oggi, il povero John, quanto dolore sentirebbe. Mi chiedo se mai un giorno ci decideremo ad educare, invece che a insegnare, augurandomi, nel mentre, che la modifica della sentenza di morte degli stupratori di New Delhi non sia che un passo verso il paradiso di John, quello del silenzio. Un silenzio purissimo, potente come l’educazione e appropriato come una punizione.



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