L’Iran: dalle parole ai fatti. E’ possibile una svolta?

Dopo le dichiarazioni del Presidente Hassan Rohani all’Assemblea delle Nazioni Unite dello scorso 24 settembre si attendono cambiamenti nella politica estera e, ancor più, nella politica interna della Repubblica Islamica dell’Iran

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/1011723_10151970663739115_31057545_n.jpg[/author_image] [author_info]di Tiziana Ciavardini, da Teheran. Vive attualmente in Iran. E’ antropologa culturale e giornalista. Ha trascorso gli ultimi vent’anni nel Sud Est Asiatico, Estremo e Medio Oriente. Laureata presso La Sapienza, dal 2002 è stata ricercatrice presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università Cinese di Hong Kong (CUHK). È Presidente dell’Associazione Ancis Anthropology Forum, Centro Internazionale di Studi, con sede a Roma. Negli ultimi dieci anni si é interessata alle cerimonie rituali iraniane e alla cultura persiana. Ha collaborato con il centro Dialogue Among Civilizations (dialogo tra le civiltà) promosso dell’ex presidente iraniano Khathami. Ha organizzato convegni presso il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati di Roma con incontri dedicati al pluralismo religioso. Ha partecipato a molteplici congressi nazionali e internazionali sul dialogo interreligioso e interculturale; è autrice di articoli divulgativi volti alla conoscenza delle culture e delle religioni. [/author_info] [/author]

La chiave di Rohani

4 ottobre 2013 – In Iran le cose stanno cambiando. Lo si poteva vagamente immaginare allorché, nella sua campagna elettorale, il Presidente Hassan Rohani aveva scelto come simbolo una ‘chiave’, facendola stampare su ogni volantino e su ogni manifesto con la cornice viola. Una chiave che simbolicamente dovrebbe aprire al mondo e, magari, al disgelo con l’Occidente. In questa prospettiva, è sembrata almeno ‘profetica’ la telefonata di Barak Obama al Presidente Iraniano, tesa a ‘riaprire’ un dialogo e a ‘richiudere’ una ferita. La chiave simbolica di Rohani si è materializzata quando – ad esempio – si sono schiuse le porte del terribile carcere di Evin per alcuni prigionieri politici (Nasrin Sotoudeh, l’avvocatessa e attivista iraniana per i diritti umani detenuta dal settembre 2010, condannata per ‘cospirazione contro la sicurezza dello Stato’ a 11 anni di carcere e, insieme a lei, sono state scarcerate altre otto donne: l’attivista per la parità di genere Mahboubeh Karami, la giornalista Mahsa Amrabadi, la cristiana convertita Maryam, Jalili, Mitra Rahmati, Farah Vazehan, Jila Makvandi, sostenitrice delle Madri del Parco Laleh e Kefayat Malakmohammadi; è stato anche rilasciato Mohsen Aminzadeh, ex vice-ministro degli esteri sotto l’amministrazione Khatami e sostenitore di Mir Hossein Mousavi alle presidenziali del 2009).

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Un cauto entusiasmo

Il discorso di Rohani all’ONU é stato ascoltato da milioni di Iraniani increduli che hanno udito parole incredibili fino a qualche tempo fa su un possibile dialogo con gli Stati Uniti. Niente ancora di ufficiale ma nei parchi di Tehran timidamente le coppie iniziano a baciarsi in pubblico senza l’angoscia di venir multati; le donne si sentono più ‘libere’, anche se è solo una sensazione; può una semplice “apertura all’Occidente euro-americano” riportare il sorriso? Il discorso di Rohani ha dischiuso una speranza di cambiamento. Qualcuno si schiera dalla parte dell’ottimismo e dell’euforia e vede in tutto questo solo una soluzione positiva. Altri non credono in questa trasformazione, ritenendo trattarsi esclusivamente di una mossa politica per l’abolizione delle sanzioni. Altri ancora si sentono pronti a scendere al ‘compromesso’ e di tornare a essere amici degli americani, se questo bastasse a riportare l’economia a livelli normali.

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Amici americani

Il rientro di Rohani a Tehran è stato per certi versi ‘caloroso’, anche se non è mancato chi ha manifestato il proprio dissenso alla ‘svolta americana’: tutti abbiamo assistito al lancio di una scarpa sulla macchina presidenziale; d’altra parte, come si può giustificare un’apertura del genere dopo 34 anni di acredine nei confronti del nemico a stelle e strisce? Esiste ancora in una strada di Tehran un murale con l’immagine della bandiera statunitense – con 6 teschi neri al posto delle stelle – accompagnata dalla scritta “ Down with US”. Non è agevole per gli Iraniani pensare che tutto questo rancore possa essersi dissolto con una telefonata di pochi minuti.

La sfida sui Diritti Umani

Se mai gli Usa si fideranno ed accetteranno le ‘dolci parole’ di Rohani, il problema economico iraniano potrebbe tornare in agenda con vive speranze di soluzione, ma questo – nel caso – sarà solo l’inizio di una ipotetica sfida per Rohani. Durante la campagna elettorale, il neo-presidente aveva fatto una serie di promesse destinate a migliorare la situazione relativa ai Diritti Umani (con particolare riferimento alla condizione medievale che tuttora vivono le donne). Non vanno dimenticate le minoranze etniche e religiose, la cui situazione è sempre particolarmente aspra, se non ancora più rigida che mai: in particolare, gli appartenenti alla fede Baha’i sono discriminati su ogni fronte. L’omosessualità è considerata un crimine così come l’adulterio e alle donne non è consentito l’accesso ad alcune facoltà universitarie. I sostenitori dei Diritti Umani vengono intimiditi, arrestati, detenuti, o costretti a vivere in esilio. Giornalisti, blogger, sindacalisti in disaccordo con il governo, sono obbligati ad affrontare quotidianamente restrizioni sul diritto alla libertà di opinione e di espressione.

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L’attesa del cambiamento

Il merito della conversazione telefonica intercorsa fra Obama e Rohani è di far sperare in qualcosa che fino a dieci giorni fa era insperato, se non addirittura utopico. Oggi possiamo iniziare a confidare in una possibilità e, tra mille difficoltà, in un nuovo corso. Nessuno può ancora immaginare il come e il quando, ma – certamente –  un passo è stato fatto, forse il più inatteso, forse il più difficile, senza peraltro dimenticare che può bastare un’inezia per sprofondare nuovamente nello status precedente. Le parole equilibrate del Presidente Hassan Rohani saranno considerate attendibili solo quando (e se) saranno seguite da fatti concreti per il Popolo Iraniano. E non sarà per niente facile, poiché i fatti dovranno scontrarsi contro la nota intransigenza dottrinaria ultraconservatrice del leader supremo, l’Ayatollah Khamenei che, sebbene abbia salutato con riserva l’apertura agli Stati Uniti, definendo ‘flessibilità eroica’ la mediazione di Rohani con l’Occidente, non si é ancora pronunciato su un reale ed effettivo cambiamento all’interno del Paese.

La ‘sfida’ è stata lanciata: resta da capire se verrà accolta dentro e fuori l’Iran. La posta in gioco è altissima: la ‘credibilità’.



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