Parlate al cervello, non alla pancia

Amnistia, indulto. Una precisazione, prima di proseguire: l’aministia è una causa di estinzione del reato e consiste nella rinuncia, da parte dello Stato, a perseguire determinati reati. Si tratta di un provvedimento generale di clemenza. L’indulto, invece, consiste in un provvedimento generale che causa l’estinzione della pena. In entrambi i casi il parlamento si deve esprimere, favorevolmente, con una maggioranza dei due terzi.

di Angelo Miotto

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16 ottobre 2013 – Le ragioni per cui si torna periodicamente a prevedere dei provvedimenti di clemenza sta nella pessima gestione della popolazione carceraria, legata al complesso di leggi che non hanno recepito, a oggi, indicazioni che compaiono in quintali di studi giuridici sulle pene alternative.
I detenuti sono troppi: i numeri parlano, ormai da lustri. Gli ultimi che citiamo da Ristrettiorizzonti.it:

[blockquote align=”none”]Sono 65.701 i detenuti nei 206 istituti previdenziali per una capienza regolamentare di 46.995 al 31 dicembre 2012. La presenza effettiva dei carcerati supera così del 42% la capienza regolamentare, quindi ogni 100 posti disponibili sono sistemati 142 detenuti. Non molti, 2.251, sono i detenuti che lavorano non alle dipendenze del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) 807 sono i semiliberi, 524 lavorano all’esterno del carcere, altri 714 lavorano nei penitenziari per cooperative sociali e altri 206 sono impiegati sempre nell’istituto per altre imprese. è del 3,45% la percentuale dei detenuti lavoranti rispetto ai presenti nelle carceri; il tasso di disoccupazione è del 96,55%. La recidiva reale si attesta al 70/90% per i detenuti che non svolgono alcuna attività lavorativa vera. Tra i detenuti che seguono invece un percorso di reinserimento lavorativo per cooperative sociali e imprese la recidiva scende al 1/2% quando i percorsi di reinserimento lavorativo cominciano all’interno del carcere e proseguono all’esterno in misura alternativa. Il costo di ogni detenuto, complessivamente, non solo il costo a carico del Dap, è di circa 250 euro giornalieri.[/blockquote]

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Il sondaggio ISPO per Corriere della Sera, che riportiamo in immagine, è un esempio plastico di cosa può fare la pancia rispetto al cervello delle persone. Chi sta in carcere ci deve stare, poco importa cosa accada dentro il carcere, perché chi sta lì è lo sporco che molti vogliono costantemente nascondere sotto il tappeto. Chi delinque, non importa il reato, è colpito da un marchio di infamia che troviamo nei romanzi di altri secoli, un quasi lebbroso non solo da scansare, ma da rimuovere dalla vista. A questa pulsione che viene solleticata e stimolata dalle politiche securitarie, dalla leva del pericolo costante, obbedisce la logica elettoralistica che vediamo utilizzata in queste ore.
L’amnisitia e l’indulto diventano istituti che non solo causano un sussulto nella richiesta di totale sicurezza all0interno della nostra comunità, ma rimandano anche immediatamente alle note vicende della politica e malaffare che contraddistinguono la storia di una personalità ingombrante, quella di Silvio Berlusconi.
Nonostante le promesse o gli annunci su provvedimenti non impattanti rispetto alle vicende del pregiudicato, tutto torna a rivestire, paradossalmente, l’aspetto del singolo rispetto a una comunità: il 142% che non dovrebbe starci nelle nostre celle può essere sacrificato per quell’uno in questione?

[blockquote align=”none”]C’è un progresso civile in questione e di civilizzazione: l’emenda del reo, che propugnava il maestro Carrara nei suoi scritti che studiamo fra i banchi universitari, diventa carta straccia. Non c’è emenda del reo quando non ci sono non solo le strutture più elementari, ma un investimento per migliorare le condizioni di chi lavora negli istituti penitenziari. La recidiva, e cioè il fatto che chi delinque torni a farlo anche dopo un periodo di carcerazione, e le alte percentuali che vengono riprese dai dati che abbiamo esposto è figlia anche di questa ferita, che nessuno vuole saturare. Non c’è colore politico che se ne voglia occupare e chi gioca sulla paura delle persone piglia voti. [/blockquote]

Nello stesso tempo il sondaggio ISPO ci fornisce la prova del 9 sulla pancia e il cervello. Il reato di clandestinità, che abbiamo – abbiamo – tollerato per troppo tempo, diventa da abolire per una maggioranza significativa, dove le immagini di Lampedusa e l’ecatombe in mare hanno giocato un ruolo decisivo.

I morti, specie se donne e bambini, muovono a pietà, suscitano la com-passione. I media hanno giocato un ruolo particolare in questo, con i continui aggiornamenti macabri sui corpi ricoverati, il fetore delle bare negli hangar, le cronache disgustose sulle scarpe da bambino, e i piccoli oggetti, l’insistenza, che si ammantava di denuncia, su tutto ciò che provoca la commozione generale.

Toccherebbe riallacciare i cavi ormai sconnessi e in parte tranciati di un progresso di civiltà che passa soprattutto da quali misure una comunità è capace di accettare rispetto allo ‘sporco’ che si vorrebbe gettare sotto il tappeto. La legge del taglione, di questo in fondo si parla, ci mette un attimo a tornare protagonista, se chi ha il dovere di rappresentare si lascia andare a giochi e calcoli che hanno a che vedere solo con il potere. E non c’è una funzionalità in questo calvalcare i sentimenti: per assurdo anche se da lì si dovesse passare per instaurare il regno della felicità resterebbe sempre una macchia, un peccato originale alla base di una società che non sarebbe più giusta.

C’è bisogno di normalità, di sobrietà, di toni ragionati, di dismettere le dinamiche elettoralistiche che fanno di un Paese perennemente in campagna elettorale, una realtà instabile che viene aizzata nella pancia, quando avremmo bisogno di parlare al cervello.

C’è bisogno della buona politica.

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