In ricordo di Lea Garofalo

“Grazie di cuore per essere venuti. Questa è una giornata molto difficile per me. Ma la forza che mi hai dato tu… Grazie per quello che hai fatto per me. Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti. Ciao mamma”. Ogni parola si spezza, come fosse difficile a dirsi. Quell’incedere incerto, quel profondo dolore e quello sgomento, non ha volto, è solo sonoro. È la voce di Denise Cosco, una ragazza del 1990 che ha avuto il coraggio di testimoniare contro suo padre Carlo, affiliato alla cosca ‘ndranghetsta di Petilia Policastro.

di Lorenzo Bagnoli

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Irrompe tra le centinaia di bandiere gialle, fucsia e arancioni che colorano il grigio cielo di Milano, in piazza Beccaria. Sventolano le parole “Sento, vedo, parlo”: il motto di questa giornata di ricordo. Accanto alle parole, il volto della testimone di giustizia Lea Garofalo, uccisa per ordine del suo stesso compagno. È stata la figlia a chiedere che nel capoluogo lombardo si celebrassero i funerali civili di sua madre, Lea Garofalo, compagna dello ‘ndranghetista Carlo Cosco. “Testimone di verità” chiama don Luigi Ciotti, il presidente di Libera, Lea Garofalo.

Ha saputo rompere il vincolo dell’omertà mafiosa, per quanto sapesse che quest’infrazione si paga con la morte, nel sistema di “giustizia” mafioso. Il suo gesto ha dato coraggio a Denise, una ragazza che si è conquistata con il suo amore per la verità, l’affetto di altri giovani come lei: i ragazzi di Libera che hanno intitolato a sua madre un presidio a Milano e che hanno seguito tutte le udienze del processo, per non lasciarla sola. E hanno contribuito ad organizzare le esequie civili della madre.

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Insieme a Denise piangono le centinaia di presenti, sospesi tra il dolore di ricordare una vittima fracassata di botte, uccisa e poi bruciata, oppure gioire per avere incominciato a parlare di ‘ndrangheta. La musica contrappunta il dolore: “Angeli” di Vasco Rossi, “l’ombra e la luce” di Franco Battiato, “I tuoi occhi pieni di sale” di Rino Gaetano e poi “Ave Maria” di Fabrizio De Andrè, che accompagna Giuliano Pisapia, Lorenzo Frigerio (ex referente di Libera Lombardia), il sociologo Nando Dalla Chiesa nel trasporto della salma.

“Il problema non sono le mafie. Il problema è la mafiosità dentro di noi”, grida don Luigi Ciotti dal palco. “Perdonaci, Lea, perché non ti abbiamo saputo salvare”. Chiude con la speranza: “Lea Garofalo è ancora viva”. Nel ricordo e nelle azioni che ispirerà. Chiede ai presenti di non limitarsi alla commozione e di agire. Cominciando con il sostenere la campagna Riparte il futuro, la petizione online con cui Libera chiede di varare una vera legge anticorruzione e di modificare l’articolo 416 ter, il voto di scambio politico mafioso, che oggi è applicabile solo se si parla di denaro. Accanto al palco ci sono parlamentari come Pippo Civati, Lucrezia Ricchiuti e Gianni Cuperlo: questa responsabilità grava sulle loro spalle.

Lea Garofalo scompare da Milano il 24 novembre del 2009. Le ultime immagini girate da una telecamera a circuito chiuso la ritraggono mentre passeggia in via Montello (nel video, le immagini di quando era ancora occupato dai Cosco, che si facevano pagare un “affitto” dai profughi senza tetto). Al civico 6, uno stabile di proprietà della Fondazione Policlinico Ospedale Maggiore, c’è un fortino della famiglia Cosco: deposito d’armi e centrale operativa dello spaccio di cocaina a Milano. Carlo Cosco attira la compagna con la scusa di parlare del futuro di Denise.

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È l’ossessione di Lea, il domani della figlia. In quell’anno rinuncia alla protezione testimoni proprio per regalarle una vita normale. Tanto lo Stato è assente, non l’aiuta. Così prova a ricucire i rapporti con parte della famiglia e cerca una casa a Campobasso per lei e la figlia a Campobasso.

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Dal 2002 è un fantasma che viaggia l’Italia in lungo e in largo alla ricerca di un riparo. Per lei e per Denise. Una ricerca vana, almeno per lei. Non per Denise Cosco, rinata con una nuova identità, chissà dove: lo Stato le ha dato un nuovo nome e una nuova casa, in località protetta.

Quel novembre di quattro anni fa la sosta a Milano doveva essere solo di qualche giorno. Invece si prolunga fino al 24, il giorno in cui Lea Garofalo è strangolata in via Fioravanti a Milano, nella Chinatown milanese. Il cadavere viene nascosto in una scatola e trasportato a San Fruttuoso, in Brianza, dove i complici di Carlo Cosco, il fratello Vito, Massimo Sabatino e Rosario Curcio e Carmine Venturino, lo bruciano. Fino alla testimonianza del pentito Venturino si pensa che sia stato sciolto nell’acido. Poi si scopre che in realtà è stato carbonizzato su ordine di Carlo Cosco. Gli inquirenti lo ritrovano il corpo il 21 novembre 2012 e da allora attendeva una sepoltura.

Non avrebbe dovuto essere una storia di martirio, quella di Lea Garofalo. Avrebbe dovuto rappresentare una vittoria dello Stato, la confisca di una donna di ‘ndrangheta, capitale umano sequestrato all’organizzazione criminale. E invece nella storia di Lea Garofalo è condensato tutto il dramma vissuto dai testimoni dei giustizia. Milano, dandole una sepoltura, si scopre antimafiosa, come dice anche il sindaco Giuliano Pisapia nel suo discorso. Ma non basta esserlo post mortem.

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La città e il suo hinterland sono ancora una terra di conquista della ‘nfrangheta, famiglia Cosco compresa. E i più restano impuniti: una parte della famiglia Cosco continua ad occupare (dal 1992) un appartamento di proprietà Aler alle porte della città, a Rozzano. A Buccinasco, Comune colonizzato dalla ‘ndrangheta, il 18 ottobre si è ricominciato a sparare. La Commissione parlamentare sulle ecomafie, nella sua relazione di dicembre 2012, scriveva che l’intero ciclo del movimento terra è monopolio della ‘ndrangheta. E se ne è avuto conferma con la sospensione di un cantiere in via Cogne, zona Quarto Oggiaro, per infiltrazione mafiosa. Via Montello, l’ex fortino, resta uno stabile vuoto, affidato alla Cassa depositi e prestiti perché il bando di assegnazione fatto dalla Fondazione Policlinico per la sua assegnazione è andato deserto. E l’elenco potrebbe andare ancora avanti.

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