Corridoio Nord – 5 parte

A settembre 350 profughi sono stati rimandati in Italia, intercettati mentre cercavano di raggiungere la Svezia. Parte da Milano il  reportage che ripercorre il viaggio dei siriani verso il nord Europa

di Lorenzo Bagnoli, da Copenaghen, per Terre di Mezzo

6 novembre 2013 – Da quando ha messo piede a Malta, ha trascorso un mese in giro per l’Europa, in  cerca d’asilo. Ahmed, 22 anni, a Tripoli lavorava in un bar: “La situazione in Libia è ancora molto pericolosa, dovevo andarmene anch’io”, racconta. Così appena l’ambasciata maltese a Tripoli, l’unica ancora rimasta attiva insieme a quella italiana, gli concede un visto turistico valido per espatriare, comincia il gioco dell’oca con in palio un posto sicuro per vivere in Europa. Come ha ottenuto il foglio di carta con cui essere della partita? Ahmed glissa: dice solo che è stato difficile. Servono tangenti? No, risponde. Più che denaro, spiegano gli operatori delle associazioni che fanno accoglienza in Francia, servono buone referenze. Nomi che sappiano spalancare le porte. Forse è anche il caso di Ahmed.

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foto di Germana Lavagna

Incontro Ahmed sull’autobus che attraversa l’Europa del nord, da Parigi a Stoccolma. Seduto in fondo, scruta il finestrino pensieroso. Comincio a parlarci per caso, mentre smanetta sul cellulare quando il presunto wifi dell’autobus non dà segnali di vita. “Sto usando la mia sim”, dice. Passa il tempo connesso al telefonino, come in attesa di qualche notizia. Intanto mi racconta la sua storia.

Da Malta è atterrato a Stoccolma, con un aereo che l’ha portato dai suoi amici che nei mesi prima erano riusciti ad ottenere asilo in Svezia. Lui ha compilato la stessa domanda, solo che ora per i libici ottenere asilo non è così automatico. Ora sono i siriani quelli ad avere la corsia preferenziale. La sua domanda ha avuto un primo esame e l’esito è stato negativo: “Neanche io ne so molto – spiega Ahmed – mi hanno solo detto che devono ancora fare delle verifiche sulla mia identità”.

Il problema di Ahmed è che il suo visto turistico scade il 17 novembre. In attesa di un sì o un no definitivo dalla Svezia ha allora cercato di giocare un’altra carta. Ha preso un autobus diretto a Parigi per inseguire il sogno che l’ha condotto fuori dall’Africa: imparare l’inglese. “In Libia solo in pochi lo parlano – continua – e hanno tutti un lavoro ben retribuito”. Da Parigi, è salito su un altro autobus in direzione Calais. Nella città sulla Manica,  Ahmed ha trovato i moli trasformati in campi profughi: “C’erano decine di siriani che speravano di salpare. A me hanno chiesto 500 euro per arrivare clandestinamente in Gran Bretagna, nel bagagliaio di una macchina, ma ho rifiutato per il costo e perché troppo pericoloso”.

Non restava altro ad Ahmed che tornare indietro verso la Svezia, dove attraverso i suoi amici riesce quantomeno a fare qualche lavoretto da giardiniere. Il futuro? Non è nemmeno nei pensieri di Ahmed: vive alla giornata, scorrendo su Facebook le fotografie della Libia che si è lasciato alle spalle.

Lo sgangherato autobus Eurolines, che per percorrere 1.300 chilometri impiega 26 ore con due guasti al motore nel mezzo, pullula della nuova umanità del vecchio continente. C’è una famiglia eritrea diretta a Malmo, in Svezia, dove vive; c’è Victorio, un ex funzionario dell’ufficio immigrazione svedese, due musicisti romeni in tappa ad Oslo per un concerto di clarinetto. Il viaggio è massacrante, le pause tra una stazione e l’altra non durano più di dieci minuti. Dopo Parigi si passa per il Belgio, prima Bruxelles e poi Liegi, s’infila la Germania da Colonia e si risale lungo Hannover, Dortmund, Amburgo, poi Copenaghen, quando ormai il cielo s’è colorato di rosa. È qui che Ahmed scende, proseguendo il viaggio senza di noi. Saluta con un cenno, promettendo di rifarsi vivo su Facebook quando saprà cosa gli accadrà in futuro.



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