Corridoio Nord – 6 parte

A settembre 350 profughi sono stati rimandati in Italia, intercettati mentre cercavano di raggiungere la Svezia. Parte da Milano il  reportage che ripercorre il viaggio dei siriani verso il nord Europa

di Lorenzo Bagnoli, da Copenaghen, per Terre di Mezzo

7 novembre 2013 – Da fuori l’edificio è anonimo, in una via semibuia a Nørrebro, quartiere nord di Copenaghen. Dentro c’è un mondo colorato e informale, dove regna una confusione che a modo suo ha un senso. Si chiama Trampolinhuset e già il nome ha un suo perché: “Il primo ministro ha detto che la Danimarca deve dare una spinta ai richiedenti asilo. Un nostro membro storico, richiedente asilo da nove anni, ha detto che non se ne fa nulla: ha bisogno di un trampolino” spiega Morten Goll, di mestiere videoartista devoto alla causa dei rifugiati tanto a fondare questo spazio sociale. Il lavoro è tanto e Goll finisce sempre risucchiato in un vortice fatto di consulenze legali e accoglienza di rifugiati nella casa: oggi sono circa 200. Goll è aiutato da quattro operatori e circa 50 volontari, che animano la Trampolinhuset con workshop, incontri formativi sul tema dell’asilo, corsi di arabo, danese e inglese, partire di calcio e feste. Oltre a tre sportelli legali con cui aiutano nelle pratiche i richiedenti asilo.

9858

foto di Germana Lavagna

All’ingresso c’è il bancone del caffè dove paga solo chi ha abbastanza soldi, per gli altri è tutto gratis. Alla destra dell’ingresso si allarga la sala principale, che il venerdì sera diventa una pista da ballo. Il corridoio tra i due ambienti ospita da una parte disegni e opere di alcuni dei richiedenti, mentre dall’altra parte una minuscola staccionata bianca ricava in qualche modo uno spazio giochi per i bambini. L’andirivieni continuo ha come sottofondo un vociare confuso, di lingue provenienti da ogni latitudine.

“Siamo nati perché la politica per 15 anni ha usato i rifugiati come capro espiatorio per convincere i danesi che erano loro la causa della disoccupazione – continua Goll-. Non possiamo accettare che ci siano persone nel nostro Paese parcheggiate in mega strutture di accoglienza, ma abbandonati a se stessi”. La mente corre all’emergenza nord Africa italiana, al modo con cui il governo Berluconi ha gestito l’arrivo dei profughi in fuga dalle bombe in Libia. Ma questa è la Danimarca, uno dei Paesi che nell’immaginario di chi sta a sud delle Alpi dovrebbe accogliere meglio chi scappa da bombe e persecuzioni. Invece Mortgen Goll racconta che il governo di Copenaghen spende 20 milioni di euro l’anno per un sistema d’accoglienza inutile: “I profughi sono liberi di lasciare i centri, a decine di chilometri dalla città, ma non hanno i soldi per  farlo”, continua Goll. Il documento che la polizia rilascia agli ospiti delle strutture, gestite dalla Croce rossa danese, non permette di cercare un impiego. Si deve attendere la risposta dalle autorità e il limbo può durare anche dieci anni, sostiene Goll. “Priviamo queste persone della possibilità di avere uno scopo nella vita. È disumano, per quanto le condizioni di vita all’interno dei campi siano più che dignitose”, conclude il fondatore  di Trampolinuhset.

Lo conferma anche Tatouz, 24 anni, da Aleppo. Da tre anni è senza lavoro. Dovrebbe vivere in un campo, ma grazie alla Trampolinhuset è riuscito a farsi degli amici e a fidanzarsi con una ragazza danese. “È una sofferenza sentirsi inutili per così tanto tempo”, racconta. La sua richiesta d’asilo è stata rispedita al mittente con la motivazione che in Siria non c’era alcun conflitto nel 2010, quando è arrivato in Danimarca. I primi ad andarsene e a trovarsi la porta dell’asilo chiusa in faccia sono stati i curdi come Tatouz, uomini e donne senza Stato, malvoluti da tutta la regione. “Mi hanno rifiutato la domanda  perché pensano che sia del Pkk (partito dei lavoratori curdi iscritto dal Dipartimento di Stato americano tra le organizzazioni terroristiche mondiali). Non è colpa mia se dei parenti ne fanno parte. Io non ci ho mai avuto nulla a che spartire”, si difende. La polizia danese vorrebbe riportarlo in Siria, ma non può per  via della guerra. Così Tatouz resta sospeso: non più siriano e nemmeno danese, non appartiene più a Damasco e non ancora a Copenaghen.

«Il 99 per cento dei siriani ora ottiene l’asilo in tempi rapidissimi», dice con un po’ di fastidio. Paradossale: Tatouz avrebbe gli stessi diritti degli altri ma l’essere arrivato troppo presto lo condanna ad essere sopravanzato nella scala delle priorità dagli ultimi, ormai conclamate vittime di guerra. Lui, invece, è ancora ostaggio della burocrazia. Per  fortuna che alla Trampolin c’è una grande famiglia che gli chiede di dedicare il suo tempo per la vita comunitaria in cambio della disponibilità degli spazi. Così almeno ha la sensazione di essere qualcuno, di continuare ad avere un’identità.

Per coprire le spese e gli stipendi dei quattro assunti, Trampolinuset riceve un finanziamento di circa 500mila euro dalla Oak foundation, ente benefico di base in Gran Bretagna. Non è detto che il budget sia stanziato anche il prossimo anno: la fondazione giudica il progetto “controverso” per il target e i metodi di democrazia diretta utilizzati. Ma Goll non si dà per vinto: “Abbiamo fatto pressione sui partiti affinché mettessero da parte qualche soldo per finanziare attività come Trampolinhuset”. L’esecutivo ha messo da  parte nel bilancio poco più di 1,3 milioni di euro. “Ora, con l’assegnazione del bando per il 2014, capiremo cosa la politica pensa di noi”, conclude Gross.



Lascia un commento