Il visibile e l’invisibile di Berenice Abbott

Alla Galleria Carla Sozzani di Milano, dal 10 novembre in mostra le opere di Berenice Abbott

di Q Code Mag

9 novembre 2013 – Una selezione di fotografie che svelano l’unità e la ricchezza del suo lavoro e l’influenza che il suo stile ha avuto nei campi della ritrattistica, del panorama urbano e della fotografia scientifica. Famosa per i ritratti ai maggiori letterati e artisti della prima metà del secolo, tra cui, per citarne alcuni, James Joyce, Eugène Atget, Marcel Duchamp, Man Ray, Jean Cocteau, Sylvia Beach e André Gide, la Abbott ha prodotto un corpus di immagini imponente e trasversale, indagando con lo stesso metodo meticoloso e realistico, l’evoluzione di New York e la complessità dei fenomeni scientifici. Il suo lavoro è un raro esempio di come un’indagine visuale documentaria al servizio della ricerca e della scienza possa raggiungere, attraverso inedite forme astratte, altissimi livelli artistici.

Innanzitutto definiamo cosa non è una fotografia. Una fotografia non è un dipinto, una poesia, una sinfonia, una danza. Non è solo una bella immagine, non un virtuosismo tecnico e nemmeno una semplice stampa di qualità. È o dovrebbe essere un documento significativo, una pungente dichiarazione, che può essere descritto con un termine molto semplice: selettività”.

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Nata in Ohio nel 1898, abbandona la facoltà di giornalismo presso l’Università dell’Ohio e si trasferisce a New York City per studiare scultura.
Nei primi anni
20 si trasferisce nuovamente, questa volta a Parigi dove si unisce al circolo degli intellettuali d’avanguardia. Diventa assistente di Man Ray che le insegna le tecniche della camera oscura e la introduce al lavoro del fotografo francese Eugène Atget.

Galleria Carla Sozzani dal 10 novembre al 6 gennaio



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