Gli Indios dell’Amazzonia

Roraima, terra brasiliana, ma ancor prima amazzonica, al confine con il Venezuela. Dove le comunità locali resistono con tutta la loro forza al volto peggiore della modernità

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-14-alle-09.27.47.png[/author_image] [author_info]di Alessandro Rocca. Nato a Torino, giornalista pubblicista, fotografo freelance, regista e autore di documentari. Ha scritto, diretto e sceneggiato il film-documentario “La lista del console”, Media UE – Excellent Award Indie Film Festival 2012. Ha collaborato alla realizzazione della trasmissione tv di Rai 3 “Radici” – Viaggio alle origini delle migrazioni” e  alla realizzazione di oltre 60 documentari e reportages in più di 50 paesi del mondo per trasmissioni tv tra cui: Il Pianeta delle meraviglie, Timbuctù, Geo&Geo, Alle falde del kilimangiaro. Ha realizzato reportages ed inchieste per Effetto reale (La7). Finalista al Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi nella sezione produzione nel 2004 con il documentario “Nos existimos”, sulla condizione degli indios e dei senza terra in Amazzonia. Premio Hermes per la comunicazione turistica (2005) con il documentario “Andalusia”.Regia del documentario “Somalia-Italia”, con Francesco Cavalli, presentato al Premio Ilaria Alpi del 2007 e all’interno di Piemonte Movie 2009 – Ha scritto nel libro “Carte false” (ed. Verdenero), curato da Roberto Scardova, sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia – Collaborazioni giornalistiche e fotografiche con: Famiglia Cristiana, Wired, Oasis, Africa, Avvenire. [/author_info] [/author]

Roraima, terra brasiliana, ma ancor prima amazzonica, al confine con il Venezuela. Qui vivono molte comunità di indios. Ho avuto la fortuna di viaggiare da Boa Vista, la capitale, prima su un piccolo aereo per atterrare su una pista di terra rossa e poi esplorando il Rio Catrimani su una barca con il fondo metallico. Nella stagione secca c’è il rischio che i massi sfondino le barche in legno. E così sono stato qualche giorno con gli Yanomami, il popolo della foresta. Era il febbraio del 2004. I capi tribù, i Tuxaua si riunivano in Raposa terra do sol, arrivando da tutto il paese per decidere del loro futuro e del rapporto con il governo brasiliano e il FUNAI, il ministero che si occupa degli indios.

Intorno agli Yanomamy si sono scritte molte cose fin dagli anni 60. Nel suo libro, Yanomamö: The Fierce People, l’antropologo statunitense Napoleon Chagnon ha costruito un’immagine sensazionalista della tribù: gli Yanomami sono descritti come “scaltri, aggressivi e minacciosi”, “feroci”, “continuamente in conflitto l’uno con l’altro” e “in uno stato di guerra cronico”. Best-seller negli Stati Uniti , The fierce people è un testo ancora largamente adottato nei corsi di laurea in antropologia. È anche una fonte importante per i libri “scientifico-divulgativi” pubblicati di recente da scrittori come Jared Diamond e Steven Pinker che, come Chagnon, promuovono il mito del “cattivo selvaggio”.

Come racconta Fratel Carlo Zaquini,  da oltre 40 anni a fianco delle popolazioni indigene “Molti antropologi, studiosi e missionari che hanno lavorato per decenni con questo popolo, semplicemente non condividono la caricatura fatta da Chagnon, e dissentono profondamente dal ritratto che lui fornisce della tribù. Un elenco di antropologi specializzati negli Yanomami del Venezuela e del Brasile ha firmato una lettera aperta in cui condannano l’immagine della tribù costruita da Chagnon. Marshall Sahlins, considerato da molti come “l’antropologo vivente oggi più rispettato al mondo”, ha accusato Chagnon di sfruttare il tema degli Yanomami per i propri fini”.

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Mentre gli Yanomami che potrebbero morire in conflitti interni sono pochissimi, per contro, negli ultimi decenni molti di loro sono stati uccisi dagli estranei con attacchi violenti o mediante l’importazione di malattie esterne. Si stima che, tra il 1989 e il 1993, quasi il 20 per cento degli Yanomami del Brasile sia morto per le violenze e le malattie portate dai cercatori d’oro. Queste invasioni rappresentano ancora oggi una grande minaccia per la loro salute e la loro sicurezza.

“I nostri veri nemici sono i cercatori d’oro, gli allevatori e tutti coloro che vogliono impadronirsi della nostra terra”. Queste sono anche le parole di Machadao, uno shiamano, un uomo sacro. Che ha parlato di fronte alla mia telecamera, nella sua lingua. Ho saputo che Macahdao qualche settimana dopo la mia partenza è morto per la puntura di un insetto, almeno così mi hanno riferito. Sono passati quasi dieci anni da quel viaggio, ma pare che nulla sia cambiato per le popolazioni native dell’Amazzonia.

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Carlo Zaquini periodicamente manda delle lettere che raccontano quello che succede laggiù. Storie dimenticate, fagocitate dal qui e ora, dalle guerre e dalle tragedie che fanno comodo ai potenti. Ancora fratel Carlo Zaquini ai primi di settembre: “Ho appena ricevuto questo documento scritto da rappresentanti di popoli indigeni che sono “riapparsi” in tempi più recenti, perché erano in situazioni così estreme che essi stessi negavano la loro appartenenza a popoli indigeni, per evitare almeno in parte le pressioni razziste di cui erano oggetto. Presentano la loro situazione attuale, che a volte è anche più difficile di quella di altri popoli indigeni, perché molti, anche quelli che normalmente sono dalla parte degli indigeni, si rifiutano ancora di ritenerli tali. In genere sono in territori occupati da invasori, e convivono quotidianamente con questi. Ma i vari progetti del governo attuale, stanno accelerando e tornano più acuti i problemi che essi devono affrontare”.

Quello che segue è un pò il resoconto di un raduno di capi tribù come quello a cui avevo partecipato io in Raposa Terra do Sol, dopo aver fatto visita agli Yanomamy.

 

DOCUMENTO FINALE DEL II INCONTRO DEI POPOLI DELLA RESISTENZA

Noi, popoli e comunità indigene Guarasugwe, Tupinambà, Migueleno, Cumaruaua, Arapiun, Borari, Mura, Arara Vermelha, Apurinà, Krenyè, Kanela Apanekra, Munduruku, Munduruku Cara Preta, Maytapu, Kokama, Miranha, Wai Wai, Tupaiu, Krenak, Maragua, Tapajò in lotta per il riconoscimento etnico e territoriale, uniti nel II Incontro dei Popoli Indigeni della Resistenza, dal 23 al 25 agosto ad Ater do Chào, municipio di Santarem, uniamo le nostre lotte, conquiste e sfide e ci confrontiamo con la realtà di mancanza di rispetto e di minaccia ai nostri diritti.

Constatiamo che le nostre terre continuano a non essere demarcate e sono invase dai latifondisti, commercianti di legname, pescatori, cercatori d’oro, disprezzando il nostro diritto all’usufrutto esclusivo delle risorse naturali, secondo l’articolo 231 della Costituzione Federale. Soffriamo gli impatti con le grandi imprese idroelettriche, di legname, minerarie, agroalimentari e di costruzione di strade, che mettono a rischio l’esistenza futura dei nostri popoli e depredano l’ambiente.

Spesso quelli che hanno intenzione di usurpare le nostre terre utilizzano i mezzi di comunicazione sociale per dire che non siamo indigeni e così negare il nostro diritto alla terra.

Molti nostri leaders sono minacciati di morte e va aumentando la violenza contro le nostre comunità a causa del ritardo del governo nel demarcare le nostre terre.

I nostri diritti costituzionali sono attaccati dai settori antiindigeni vincolati al commercio agricolo che agiscono nell’interno del Governo Federale e del Congresso Nazionale per fermare la demarcazione delle nostre terre, per ridurre quelle già demarcate e perché le grandi imprese possano sfruttare le risorse naturali che sono in esse.

Constatiamo anche che il nostro diritto di essere consultati su ogni provvedimento amministrativo o legislativo che riguardano i nostri popoli, come è garantito dalla Costituzione Federale e dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT), non viene rispettato. E’ ciò che sta accadendo, per esempio, con la costruzione degli impianti idroelettrici nell’Amazzonia che portano gravi conseguenze per le comunità indigene e tradizionali che vivono lungo i fiumi dalla sorgente alla foce. Il popolo Munduruku, che esige il diritto di essere consultato sul progetto della costruzione della diga idroelettrica di San Luis sul Rio Tabajòs, sta soffrendo la repressione della Polizia Federale e della Forza di Sicurezza Nazionale che ha occupato la regione per imporre la realizzazione di studi nella loro terra per la costruzione dell’opera, senza che siano stati consultati come impone la legge. Come gesto di intimidazione, nel novembre dell’anno passato, la Polizia Federale occupò il villaggio di Teles Pires e assassinò un’indigena Munduruku. Manifestiamo la nostra solidarietà al Popolo Munduruku ed esigiamo che tutti i popoli Indigeni e le comunità lungo il bacino di Tapajòs siano consultati.

Insieme al mancato rispetto al nostro diritto di avere la nostra terra demarcata e garantita. costatiamo il disinteresse riguardo alla salute e all’educazione indigena delle nostre comunità.

Nella cura della salute le équipes multidisciplinari non sono complete, non esiste una cura sistematica e le famiglie che necessitano di ricorrere al Servizio sanitario, molte volte attendono dei mesi, anche fino alla morte, prima di potere fare gli esami ed essere accolti nelle unità ospedaliere.

Vogliamo che la FUNAI (Organizzazione governativa per i Popoli Indigeni) sia in condizione di fare e faccia il suo lavoro di identificazione e protezione delle nostre terre in forma imparziale e con le risorse necessarie, e non per avallare a nostro nome i grandi progetti imprenditoriali che impattano pesantemente sulle nostre terre. Vogliamo anche un’attenzione alla salute e all’educazione che valorizzi le nostre culture, le nostre lingue indigene, la medicina tradizionale, le nostre credenze, e che fortifichi i nostri progetti di vita.

Esigiamo che sia realizzato un ampio progetto di consultazione dei popoli indigeni sui progetti imprenditoriali governativi e di iniziativa privata che impattano le nostre terre. Esigiamo ugualmente che sia rispettato il nostro diritto di essere consultati sulla proposta annunciata dal Governo di modificare il procedimento di demarcazione delle terre indigene e in relazione alle proposte di emendamento costituzionale e ai progetti di legge in transito al Congresso nazionale.

Usciamo da questo incontro convinti della forza del movimento indigeno quando è chiamato a mobilitazione, e sapendo con chi intendiamo unirci, dai villaggi fino ai centri direzionali.

Sollecitiamo l’appoggio di tutti quelli che appoggiano la nostra causa e che ricercano nuove relazioni tra gli uomini e con la natura.

Siamo popoli in resistenza. Lotteremo sempre, non desisteremo mai.



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