Cronache della rabbia

In Romania da nove settimane più di duemila persone scendono in piazza per protestare contro il progetto di sfruttamento minerario di Rosia Montana

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/179951_4245535502627_1357885824_n.jpg[/author_image] [author_info]di Sergio Dalla Cà di Dio, da Bucarest. Milanese/Brianzolo. da qualche anno gira qui e la per il mondo: Dublino, Est Europa, Sierra Leone, Roma. Ha collaborato con Peacereporter raccontando un po’ di Romania. E’ tornato a Bucarest per inseguire un naso rosso. Ha due grandi amori: l’Inter e Emergency[/author_info] [/author]

Ore 22, domenica 3 novembre, Piata Universitate, pieno centro di Bucarest: per la nona domenica di fila, più di duemila persone scendono in piazza per protestare contro il progetto di sfruttamento minerario di Rosia Montana. Due mesi di marce che hanno bloccato la capitale rumena e che hanno visto altre grandi città come Cluj, Timisoara e Brasov diventare teatro di manifestazioni.

Cosa ha spinto così tante persone in piazza, fino ad arrivare a riversare oltre 15mila cittadini contemporaneamente (qualcuno dice 25mila nel consueto balletto delle cifre tra organizzatori e forze dell’ordine) per le strade delle più grandi città della Romania? Quali sono le motivazioni che stanno dietro a questa opposizione così netta e organizzata? Le origini del problema arrivano da lontano e affondano le radici nel finire degli anni ’90 del secolo scorso.

Il progetto Rosia Montana è stato firmato nel 1999 e riguarda l’estrazione di centinaia di tonnellate di oro dalle montagne della località transilvana da parte della compagnia canadese Rosia Montana Gold Corporation (RMGC) che attende di iniziare i lavori da quell’anno: un accordo che prevede di portare centinaia di posti di lavoro in una delle zone più povere del paese e di rendere l’area attrattiva a livello di investimenti e infrastrutture.

 

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Teorie e progetto che vengono contestate fortemente fin dall’inizio da buona parte delle associazioni ecologiste e dell’opinione pubblica, soprattutto nelle fasce più giovani. Tra i tanti timori presenti il più sentito è quello ambientale: il procedimento estrattivo dei minerali utilizza in modo massiccio il cianuro e in Romania ancora oggi è vivo il ricordo dell’incidente avvenuto nel 2000 a Baia Mare, dove ci fu un’enorme perdita di metalli pesanti e cianuro in un affluente del Danubio, con conseguente contaminazione di acqua per circa due milioni di persone e una moria di migliaia di tonnellate di pesci, un avvenimento considerato la catastrofe europea più grave dopo quella di Cernobyl.

Cresce la rabbia

Altre problematiche legate al progetto sono la distruzione di vari siti archeologici di epoca romana e lo spostamento di numerose famiglie che occupano al momento quello che sarà il futuro sito minerario.
Una situazione complessa e trattata in maniera poco chiara dai media, come spesso accade in Romania. Ciò che è abbastanza inconsueto e assolutamente inaspettato è la reazione della gente davanti a un problema che è sempre stato abbastanza ignorato a livello nazionale, a parte il movimento storico che si è opposto fin da subito all’inizio dei lavori, ma che è sempre stato circoscritto geograficamente alla zona interessata, una parabola simile al movimento No Tav italiano. Dopo la proposta di legge presentata al Governo per iniziare i lavori dopo anni di tira e molla, dai primi giorni di settembre di quest’anno è iniziata una serie di proteste in piazza che ha coinvolto migliaia di persone in maniera pacifica, bene organizzata e con manifestazioni impressionanti per quella che è la consuetudine rumena.

Dopo la rivoluzione del 1989 parecchie sono state le occasioni per scendere in piazza e tante volte è successo, ma sempre in maniera poco convinta, poco organizzata o “indirizzata”: media e opinione pubblica vanno spesso a braccetto nel Paese, sindacati e organizzazioni sono facilmente manipolabili e tante manifestazioni vengono organizzate ad hoc o stroncate in maniera netta a seconda delle convenienze politiche.

Un esempio eloquente sono le manifestazioni del gennaio 2012, dirette all’allora governo di centro-destra Boc – Basescu, partito PDL (corrispettivo del PDL italiano), alla cui base stava una proposta di riforma del sistema sanitario criticata aspramente da importanti personaggi dell’opinione pubblica e in seguito da numerose associazioni che in breve tempo si sono trasformate prima in manifestazioni di piazza e poi in proteste violente con agenti della Gendarmeria feriti e tifosi di calcio coinvolti in maniera strumentale, chiusasi con le dimissioni di Emil Boc dalla carica di Primo Ministro e con l’inizio del governo USL (Unione Social-Liberale, bizzarra coalizione anti-Basescu tra i socialdemocratici del PSD, corrispettivo locale del PD italiano, e i liberali del PNL, un partito di centro-destra storicamente avverso ai partiti socialisti), attuale maggioranza rafforzata dalle elezioni dello scorso dicembre.
I media in quell’occasione gettarono benzina sul fuoco per alimentare le polemiche e le manifestazioni in modo decisamente poco imparziale.

Il discorso legato a Rosia Montana appare però diverso, più organizzato e meno manipolabile politicamente, almeno a prima vista. Associazioni e ONG ecologiste, Accademia di Romania (che punta il dito anche sull’aspetto economico, con guadagni per lo Stato che sarebbero di molto inferiori al potenziale a tutto vantaggio della compagnia canadese) e perfino il direttore dell’Istituto Geologico di Romania, in seguito destituito dopo le dichiarazioni fatte in merito, si sono detti estremamente preoccupati per il progetto e per le massicce dosi di cianuro previste.

I manifestanti sono aumentati di settimana in settimana per circa un mese e la piega presa dalla protesta è stata politicamente più equidistante: un rifiuto netto e generale dell’attuale classe politica e una manifestazione di rifiuto totale delle dinamiche alla sua base, senza distinzione tra destra e sinistra. I parlamentari sono i principali colpevoli secondo i manifestanti: hanno venduto e continuano a vendere il paese a grandi aziende straniere e per questo vengono criticati e hanno perso la fiducia della gente.

Anche l’atteggiamento della polizia è stato finora esemplare: nessuna reazione violenta, nessuna provocazione, un approccio a tratti un po’ canzonatorio verso i manifestanti (“Sembra di essere a Vama Veche”, hanno ripetuto parecchi gendarmi, citando una nota località per il divertimento alternativo e freak sul litorale rumeno e cercando di far passare i manifestanti per un gruppo di ragazzi poco maturi) e a tratti impressionato dalla convinzione con cui i tanti giovani sono scesi in piazza e sono stati capaci di attrarre persone di ogni età e genere.

In ogni caso la sensazione è che la polizia abbia lasciato sfogare i manifestanti nella convinzione che col tempo le manifestazioni si sarebbero sgonfiate da sole, anche perché l’inverno è alle porte: a distanza di due mesi i risultati si possono leggere sia come una buona lettura della polizia (nelle ultime due settimane non sono mai scese in piazza più di 3mila persone) sia come una vittoria del movimento, dato che dopo almeno quattro settimane con manifestazioni da 15mila persone, la lotta è proseguita per un altro mese con persone che paiono intenzionate a far rimanere attiva l’informazione e che si stanno preparando a scendere in piazza anche la prossima domenica, con il soggetto Rosia Montana ormai sempre presente nei titoli di giornali e televisioni e una sensazione di informazione continua mai vista negli ultimi vent’anni e per nulla scontata nel Paese.

 

All’inizio i media hanno cercato di minimizzare le proteste, non parlandone oppure citandole come piccoli flash, con numeri poco interessanti, ma davanti ai numeri da capogiro delle manifestazioni non hanno potuto fare a meno di iniziare a trattare l’argomento con serietà. Si tratta di cifre impressionanti per la Romania e con risultati strabilianti se si pensa che il serpentone di persone ha marciato sulle strade principali delle città bloccando vialoni e piazze per ore intere al ritmo di bottiglie di plastica riempite di sassi e di slogan come “Uniti salviamo Rosia Montana”.

Come accaduto a Taksim o per la primavera araba Facebook e Twitter sono stati il motore della protesta, mentre i media tradizionali, visto il loro atteggiamento opaco e parziale, sono insieme ai politici tra i bersagli di slogan e proteste, additati come servi obbedienti del potere. Chi ha protestato ha voluto al tempo stesso informare su tematiche di solito ignorate ed essere un esempio di calma e di correttezza ecologica. Una volta terminata la protesta, ogni sera, i manifestanti raccolgono bottiglie, sacchetti e ogni altro tipo di rifiuto, lasciando tutte le strade pulite e in ordine, atteggiamento lodato anche da poliziotti e gendarmi.

Le manifestazioni hanno coinvolto in maniera trasversale tanti altri movimenti, anche in questo caso c’è stata una conseguenza insolita per il Paese: una solidarietà nei confronti del movimento per Rosia Montana. Una sorta di “adozione del problema” da parte di tante altre proteste che poco o nulla hanno a che fare con il problema dell’estrazione dell’oro:

  • il movimento nazionalista per l’annessione della Bassarabia, regione storicamente appartenuta alla Romania e attualmente divisa fra Moldavia e Ucraina
  • il movimento animalista contro l’eutanasia dei cani, problema storicamente attualissimo in Romania e tornato al centro dell’attenzione dopo la morte di un bambino in un parco del centro di Bucarest ucciso da un branco di cani randagi (episodio in ogni caso controverso e che meriterebbe di essere meglio contestualizzato vista l’ondata di polemiche e uccisioni canine seguite)
  • il movimento dei ciclisti che chiedono le dimissioni del sindaco Oprescu (lista civica indipendente, corteggiato a più riprese da tutti i maggiori partiti ma vicino al PSD) colpevole, a loro dire, di ignorare le esigenze di chi si muove su due ruote e di voler rendere Bucarest sempre più trafficata e cementificata, senza nessun progetto di piste ciclabili di standard europeo
  • il movimento per il salvataggio degli edifici storici, che chiedono in egual modo la testa del sindaco accusato di avere illegalmente abbattuto negli ultimi mesi decine di palazzi storicamente rilevanti per avvallare progetti edilizi e opere pubbliche di dubbia utilità ma di sicuro profitto economico per i costruttori
  • le tante proteste di medici, universitari, sindacati, famiglie sfrattate da case occupate abusivamente
  • persino negli stadi durante le partite di Nazionale, Steaua e Dinamo si è sentito alzarsi più volte il motivo “Uniti salviamo Rosia Montana”

Tante problematiche, diversissime tra loro per ragioni, storia, numero di persone coinvolte, visibilità avuta dalle manifestazioni; come unico punto di contatto la solidarietà di tutti nei confronti di chi si oppone allo sfruttamento di Rosia Montana. Tra gli esempi più significativi, la marcia del 22 settembre che ha visto una catena umana di almeno 5000 ciclisti circondare l’immenso Palazzo del Popolo, simbolo di Bucarest, al grido di “Uniti Salviamo Rosia Montana”, ma anche quella del 13 ottobre quando hanno organizzato un flashmob davanti al Palazzo del Governo, in Piata Victoriei, formando un’immensa “foglia umana” rossa e verde che riprende il logo del movimento, col verde dei monti che si riflette e contrappone al lago rosso di cianuro o di sangue, a seconda delle letture.

Tra i movimenti più solidali con quello legato a Rosia Montana c’è sicuramente quello contro le trivellazioni dei giacimenti di gas di scisto (gas metano) nella cittadina di Pungesti, Moldavia rumena: altra tematica ambientale molto delicata, questa volta protagonisti gli americani della Chevron, che hanno ottenuto a inizio ottobre l’autorizzazione per la costruzione di un pozzo nella zona. L’estrazione di gas di scisto è tra le più controverse e contestate al mondo, dato che prevede l’inserimento di enormi quantità di acqua all’interno delle formazioni rocciose con rischi di fughe di gas, inquinamento delle falde acquifere e, soprattutto, di terremoti, che in una delle zone a più alto rischio sismico europeo come quella compresa tra le contee di Vaslui, Vrancea, Braila e Galati, cioè quella in questione, non consente agli abitanti di dormire sonni tranquilli.

Ad aumentare la paura è arrivato uno sciame sismico di medio-alta intensità che ha prodotto oltre 250 terremoti nel giro di circa un mese, una casualità che ha aggiunto tensione in una popolazione già spaventata dalle possibili conseguenze delle trivellazioni. Le proteste sono iniziate a Pungesti, dove hanno preso una piega meno pacifica di quelle di Rosia Montana, con qualche scontro tra i 400 abitanti del villaggio e la Gendarmeria, e sono continuate a Bucarest in Piata Victoriei, sede del Governo, già cuore delle manifestazioni di Rosia Montana insieme a Piata Universitate. La Chevron ha momentaneamente bloccato le attività. La solidarizzazione tra i due movimenti, Pungesti e Rosia Montana, è stata abbastanza automatica sull’onda della tematica ambientale.

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Le reazioni dei politici alle manifestazioni sulla problematica Rosia Montana sono state generalmente insoddisfacenti per i protestanti e hanno avuto come effetto quello di aumentare la diffidenza della piazza. I manifestanti di fatto chiedono il ritiro del disegno di legge e l’annullamento del contratto con RMGC, il divieto dell’utilizzo del cianuro durante l’estrazione mineraria e l’inclusione del patrimonio archeologico e ambientale in questione in quello dell’UNESCO. Inoltre chiedono le dimissioni del premier Victor Ponta (presidente PSD e USL) e dei quattro iniziatori del progetto di legge: il Ministro per le Infrastrutture Dan Sova (PSD), il Ministro dell’Ambiente Rovana Plumb (PSD), il Ministro della Cultura Daniel Barbu (PNL) e il direttore dell’Agenzia Nazionale per le Risorse Minerarie Gheorghe Dutu (PSD).
Il premier Ponta ha avuto un atteggiamento decisamente ondivago in merito al progetto: ha dichiarato di essere stato contrario in passato, anche per contrastare Basescu e Boc, favorevoli alle trattative con RMGC, ma che ora in qualità di capo del Governo deve fare rispettare gli impegni presi, aggiungendo che per il futuro del paese è importante che ci siano questo genere di investimenti e che inoltre i canadesi (così come la Chevron) sono nella posizione di poter chiedere risarcimenti per milioni di dollari visti i contratti firmati e i fondi già spesi.

 

Ha anche parlato di interessi stranieri nel bloccare grandi progetti infrastrutturali e soprattutto energetici in Romania come Rosia Montana e gas di scisto, alludendo forse alla Russia di Putin, irritata sia dalla scelta del paese di partecipare allo Scudo antimissile targato USA sia dai tentativi di rendersi indipendenti a livello energetico dal giogo dell’ex URSS per quel che riguarda il gas; o forse riferendosi a Soros, accusato di essere tra i finanziatori della protesta come in molte altre occasioni negli stati dell’Est Europa.
In alcuni contesti il Primo Ministro ha anche parlato di “manifestanti che vogliono rendere la Romania un giardino botanico”, correggendo quasi subito il tiro e precisando che gli umori della piazza sono genuini e vanno ascoltati, ma allo stesso vanno ascoltati gli abitanti di Rosia Montana che sono a favore del progetto e che vedono nell’inizio delle estrazioni la possibilità concreta di portare posti di lavoro in una zona effettivamente tra le più povere del paese.

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Se Ponta è marcatamente a favore dell’approvazione del progetto, l’altro presidente dell’USL, Crin Antonescu (PNL) si è invece dichiarato apertamente contrario e il suo partito ha votato contro la proposta di legge in Senato, aprendo una falla nella coalizione che sa molto di possibile crisi di governo e di inizio di campagna elettorale, e i voti della piazza fanno gola a quello che si è dichiarato il “futuro presidente della Romania”, visto anche che l’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali: la coalizione in realtà scricchiola da molto, anche perché non basata realmente su un territorio comune a livello di valori o obbiettivi, quanto più spiccatamente su una contrapposizione al presidente Basescu.

Il quale ha a sua volta dichiarato che ci sono state parecchie menzogne riguardanti Rosia Montana, soprattutto per quel che riguarda i rischi relativi a possibili danni ambientali legati al cianuro e ai posti di lavoro, aggiungendo che i giochi politici sono numerosi e che non sa bene cosa il governo Ponta abbia aggiunto all’accordo con RMGC rispetto a ciò che Boc stava portando avanti nella precedente legislatura. Basescu ha anche ventilato la possibilità di indire un referendum sul tema per permettere ai cittadini di scegliere, proposta contestata da più parti e guardata con sospetto da tutti gli attori coinvolti. Un atteggiamento non chiaro e una posizione non dichiaratamente espressa, perfettamente inquadrabile nello stile del Presidente, abile a giocare partite così controverse e a gettare luci e ombre sugli avversari politici, indicati come capri espiatori o lodati come ottimi esempi a seconda delle convenienze del momento.

E la RMGC? Le bocche sono generalmente cucite, ma qualche commento ogni tanto arriva, come quello di Dragos Tanase, direttore generale della società, che parla del progetto come di un modello di sviluppo per lo sfruttamento dei Monti Apuseni (i monti della regione di Alba, dove si trova Rosia Montana), con un livello tecnologico altissimo, senza nessun rischio di incidente e con garanzie di progettazione in merito. Secondo Tanase la Romania ha enormi risorse e RMGC può diventare un esempio di sfruttamento intelligente e utile di queste ricchezze per il paese: per questo non vede ragione per cui il progetto si debba bloccare.

Più polemico un collaboratore della Communication Ideas, partner commerciale dei canadesi e ideatrice del logo RMGC, secondo cui il logo di Rosia Montana è rosso e verde perché riprende i colori della bandiera dell’Ungheria, contraria allo sfruttamento, e dell’UDMR, partito della minoranza magiara in Romania che fa della Transilvania la sua roccaforte, e i suoi ministri sono tra i più netti oppositori del progetto. Seguendo questo ragionamento la posizione dei manifestanti sarebbe semplice, perché si può tranquillamente dire che RMGC ha comprato Basescu o Ponta, mentre è molto più difficile dire per la compagnia che Soros finanza le proteste di piazza o che l’Ungheria preme per annullare le estrazioni. Posizioni polemiche ma sempre sussurrate, mai apertamente contrapposte.
Forse per questo in molti iniziano a pensare che tra le ragioni delle proteste e dei ritardi decisionali della Commissione ci siano speculazioni della stessa RMGC, ormai disinteressata all’estrazione di oro e metalli preziosi ma interessatissima ai diritti acquisiti sull’estrazione e ai relativi danni di un eventuale deragliamento dell’affare. Si dice anche che alcuni politici possano essere stati comprati dai canadesi, teoria in parte avvallata dallo stesso Ponta.

Una situazione estremamente ingarbugliata insomma, su cui dal 18 settembre lavora una commissione parlamentare creata a seguito delle proteste e della bocciatura da parte del Senato del progetto di legge: la commissione, formata da politici e non da specialisti, è stata costituita per recarsi a Rosia Montana e incontrare i manifestanti, analizzare il progetto di legge e pronunciarsi in merito, ma dopo quasi due mesi di lavoro non si è ancora pronunciata chiaramente e continua a rinviare la decisione finale. La decisione sarebbe dovuta arrivare entro il 20 ottobre ma la sensazione è che si cerchi di attendere che le proteste si sgonfino naturalmente.

Inoltre la formazione della commissione ha fin dall’inizio generato polemiche, poiché su 21 membri proposti 13 erano USL mentre solo due PDL: il partito ha quindi rinunciato a partecipare ai lavori in polemica rispetto alla composizione della commissione.
La situazione è ingarbugliata e confusa e ancora non si è capito bene cosa accadrà. Ciò che resta è la sensazione che, al di la di come proseguirà e finirà la protesta di Rosia Montana, per la prima volta dai tempi della caduta di Ceausescu, i manifestanti si siano resi conto che si può creare una protesta efficace, organizzata e articolata anche in un paese così “frenato e controllato” come l’attuale Romania.



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