Il passato

Il Passato, di Asgahar Farhadi
Con Berenice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Pauline Burlet
Uscita 21 novembre

di Irene Merli

Ritroviamo il pluripremiato regista iraniano Asgahar Farhadi là dove lo avevamo lasciato, alla fine dell’amatissimo La separazione, opera che l’ha condotto a un Oscar come miglior film straniero di cui però nel suo difficile Paese la stampa non fatto una sola parola.

Due anni dopo Farhadi è volato in Europa per girare in una Parigi anonima, periferica, poco riconoscibile se non dalla lingua che tutti i personaggi parlano tra loro, pur avendo provenienze diverse.

Il luogo è cambiato, e di molto, ma non sono cambiati né temi, né stile, né tantomeno la totale impeccabilità dei dialoghi. Tanto che in Francia il film ha incassato più di un milione di euro, in Iran stesso ha avuto un gran successo e la Béjo a Cannes 2013 per  questo ruolo ha vinto il premio per la miglior interpretazione femminile.

Ma veniamo alla storia. Ahmad, iraniano tornato a Parigi dopo quattro  anni di assenza per firmare il divorzio alla moglie francese, si trova inaspettatamente immerso nella vita della sua ex e delle loro due figlie ormai cresciute senza di lui. Marie (Bérénice Béjo) ha bisogno del suo assenso burocratico perché vorrebbe risposarsi con il giovane Samir, con cui vive e dal quale aspetta un figlio. Ma Samir (Tahar Rahim, protagonista a suo tempo del magnifico e durissimo Il profeta) ha un problema non da poco: sua moglie è in coma dopo un tentato suicidio da depressione. Forse per gelosia…

Il-passato-trailer-e-clip-in-italiano-del-nuovo-film-di-Asghar-Farhadi

Ma per staccarsi dai reciproci pesi del passato non bastano una firma e un passaggio in tribunale, come Marie e Samir amaramente arrivano a capire man mano che la loro vita avanza. Sensi di colpa, dubbi, risentimenti e ricordi sbarrano loro di continuo il cammino.

E Ahmad si trova a fronteggiare tutta questa amara complessità da vicino. Poco a poco scopre quanto la sua figlia maggiore detesti la madre – rea di aver cambiato  tre uomini da quando lei è nata – come alla ragazzina sembri facile dimostrare la sua ostilità tornando a casa solo la notte per vendicarsi di Marie e del detestato compagno, e persino quale terribile segreto si nasconda realmente dietro il coma della moglie di Samir.

Insomma, Farhadi sembra dirci che  anche nel chiuso delle nostre case se non si fanno i conti con il passato, se ci si limita alla rimozione non si può guardare avanti né tanto meno ricominciare. Soprattutto  se ci sono di mezzo i figli, che assorbono come spugne le nostre tensioni e anche se sembrano badare solo ai loro giochi o alla catena della bicicletta, tutto vedono e tutto giudicano.

La lezione è antica e ce l’ha insegnata il grande De Sica, di cui da poco abbiamo ricordato l’anniversario della morte: sono gli sguardi ribelli del figlio di Samir, quelli tristi della piccola Lea e gli occhi pieni di rabbia di Lucie a creare le prime, irreparabili crepe nel mondo degli adulti on cui vivono. Il passato è dunque un raffinato puzzle di tessere che si vanno complicando attraverso sguardi, dialoghi, gesti. L’intreccio amoroso dell’inizio prende il ritmo serrato del giallo che dissipa dubbi solo per crearne altri, e ben peggiori. Fino a portare a quello che sembra uno blocco senza uscita.

Il regista, cresciuto in una clima di guerra dove al cinema e in televisione si vedevano solo film bellici, ha dichiarato più volte di essere diventato proprio per questo un pacifista interessato a ritrarre le dinamiche familiari, nelle quali si può esplorare  ogni sentimento possibile e non ci sono mai i buoni e i cattivi in modo netto. Farhadi, di formazione teatrale, cita Cechov come esempio per le sue storie.

Ma forse chi meglio può descrivere la situazione  dei suoi protagonisti è un mito della cultura più lontana possibile da quella iraniana, l’americano Francis Scott Fitzgerald. Nel suo romanzo più noto, Il grande Gasby, il cantore della Lost Generation scrive infatti:”Così continuiamo a remare, barche controcorrente, risospinte senza posa verso il passato”.
Nucleare o no, qui Teheran e gli Usa non solo si incontrano, ma si danno la mano. Perché l’animo umano, messo alla prova, nelle sue linee essenziali è uno solo.



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