Requiem per la Jugoslavia

Ranko, serbo in Slavonia, che si sente ancora jugoslavo

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/IMG_4409.jpg[/author_image] [author_info]di Samuel Bregolin. Diplomato come perito agrario, ha seguito letteratura contemporanea a Bologna. Si occupa di agricoltura biologica, reportage, poesia, giornalismo e viaggio. Ha viaggiato in Francia, Italia, Inghilterra, Spagna, Ex-Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Tunisia e Marocco. Ama raccogliere e raccontare storie dal basso e dalla strada. Ha collaborato con Il Reporter, Colonnarotta, Lindro e Turisti non a Caso. Collabora con Viaggiare i Balcani, OggiViaggi, Il circolo del Manifesto di Bologna, Articolo3, Il Reportage, Qcode Mag. [/author_info] [/author]

28 novembre 2013  – Ranko è un serbo che vive in Croazia, uno dei pochi ad essere rimasto in Slavonia dopo gli scontri degli anni Novanta, è nato e cresciuto qui da genitori serbi, alla domanda se si senta più serbo o più croato risponde fieramente di essere jugoslavo. Sente questa regione come casa sua e non ha mai avuto validi motivi per andarsene. Eppure la Slavonia è stata al centro dei primi conflitti etnici dopo la dichiarazione d’indipendenza croata, è dove l’armata federale jugoslava ha assediato e distrutto la prima città: Vukovar, mentre in quegli anni furono frequenti agguati notturni e violenze tra la popolazione.

Ranko non sembra aver voglia di parlare di guerra, e noi non insistiamo; ha un carattere ruvido ma al contempo bonario, irti e ispidi baffi neri che gli scappano da tutte le parti, qualche pelo grigio, i capelli lunghi, non parla molto ma quando lo fa le sue parole sono incisive, Ranko è prima di ogni altra cosa un contadino. Ricorda il personaggio di un fumetto, e tutto il mondo che lo circonda sembra una storia da raccontare, uscita da una Jugoslavia che seppur ridotta in frammenti di stati indipendenti, in qualche maniera esiste ancora.

Mara, la madre di Ranko

A partire dal suo mezzo di trasporto, una vecchia motozappa modificata ha cui ha aggiunto un carretto posteriore per poter circolare in strada, velocità massima 25 Km orari, per spostarsi tra un centro abitato e l’altro. Ma a questa velocità le vibrazioni, gli schizzi di olio e vapore, i salti sull’asfalto sono tali da dar l’impressione che il motore stia scoppiando. Allora un colpo alla leva della frizione e la velocità diminuisce, il frastuono insopportabile della cinghia del motore calano, si può tornare ad ammirare in pace il paesaggio della Slavonia che scorre lento: colline coltivate a grano o mais, circondate da alberi di prugne. All’orizzonte le colline nerastre si contornano di rosso arancio.

Mentre mi perdo nei pensieri e nella bellezza della natura Ranko sterza bruscamente verso una strada laterale, la motozappa non ha frecce e viste le dimensioni delle leve dello sterzo e il poco spazio disponibile sono costretto a compiere la manovra con Ranko. Mi vede sorridere, allora mi spiega come si accelera e si frena, poi mi invita a prendere in mano entrambe le leve e a guidare.

Passiamo attraverso un paesaggio meraviglioso, colline coperte di boschi si alternano ai campi coltivati della vallata, passiamo vicino ad un allevamento di cavalli, ad alcuni vecchi granai in legno abbandonati, uno stagno artificiale per la pesca circondato dai salici piangenti, decine di piccoli orti dove si coltivano pomodori, cipolle, mais. E piccoli forni in calcare bianco, costruiti sulle conche delle colline.

scorcio di stara kapela

Pochi chilometri dopo siamo a Stara Kapela, un etnovillaggio ecologico e naturalistico, ricostruito grazie ai finanziamenti europei e sopratutto al lavoro di pochi ragazzi del posto, oggi è un bellissimo borgo in stile austroungarico, perfettamente ristrutturato. Propone gite a piedi o in bici con cartelli naturalistici che insegnano a riconoscere piante e animali. Ci sono postazioni per il birdwatching. Nell’unico agriturismo di Stara Kapela si cucina in maniera tradizionale: Slavonski Kulen, una sorta di maiale in salsa, i Sarma tipici di tutti i Balcani, ma che in ogni regione sono un po’ diversi, Fiš paprikaš, pesce speziato e piccante, Saran na rašljama, filetto di carpa cucinata sulle braci.

Il borgo si allunga su di un’unica arteria stradale, con vecchi lampioni in legno intagliato per l’illuminazione notturna, abbelliti da piante di gerani e poesie di poeti balcanici. Le case hanno intonaci colorati, dal rosa all’indaco, dal giallo ai mattoni a vista. Prendono l’acqua da un vecchio pozzo, grandi oche scorrazzano per i fossi. Scendiamo dalla motozappa per raggiungere a piedi uno dei punti di avvistamento del Birdwatching, lungo la strada Ranko mi aiuta a riconoscere mirtilli e rosa canina, le nocciole selvagge e i grandi noci nascosti dalla boscaglia.

Nel pomeriggio ci dirigiamo a casa di Ranko, a Ratkovica, e nel cortiletto facciamo la conoscenza di sua madre. Tra polli ruspanti e alberi di prugne ci serve del Bambusse, una bibita fatta mescolando vino rosso fatto in casa e Coca-cola, all’inizio rifiuto la cola, voglio assaggiare solo il vino, ma quando la sua acidità mi allappa la bocca capisco perché lo mescolano.

Mara, la madre di Ranko, ha 82 anni, non si è mai mossa da questa casa, eppure ha vissuto in molti paesi diversi: per i suoi genitori qui era ancora Impero Austro-ungarico, poi lei nacque nel nuovo Regno di Jugoslavia, durante la seconda guerra mondiale la Slavonia venne inclusa nello stato indipendente Croato, per poi entrare nella Jugoslavia di Tito finiti i combattimenti. Oggi la regione fa parte della Repubblica Croata, e da qualche mese anche della Comunità Europea.

Anche gli amici di Ranko sembrano usciti da un libro, come Marie-Louise, un’infermiera parigina che negli anni settanta si sposò con un muratore croato emigrato in Francia, ebbero tre bellissimi figli prima che lui morisse, che ora lavorano tra Londra, Stati Uniti e Dubrovnik.

Marie-Louise si trasferì qui una decina di anni fa, da cinque abita da sola, e ha deciso di continuare a portare avanti l’azienda agricola del marito: polli, pecore, pavoni, capre, pecore, anatre, quaglie e conigli. La casa di campagna di Marie-Louise sembra uno zoo, si occupa degli animali come se fossero figli suoi. Ma non fa solo questo, si è iscritta a decine di siti turistici di ospitalità gratuita, siti specializzati per i viaggiatori a piedi, o in bicicletta, per i turisti in camper, per chi cerca una casa in affitto nel periodo estivo. Per chiunque passi per motivi turistici in Slavonia lei c’è, e la sua tenuta di campagna si trasforma in un luogo di incontro e discussione, tra una coppia di ciclisti canadesi in rotta verso Budapest e un’avvocatessa bretone, in fuga d’amore con il giovane amante e la sua decapottabile sportiva, dalla famiglia tedesca in camper agli autostoppisti in direzione Zagabria. Per tutti c’è pronta una delle molte camere della casa, il cibo fatto in casa e la visita ai luoghi più belli della regione.

È così che passiamo una serata in compagnia mentre Ranko suona la fisarmonica fino a notte inoltrata. Tiene il grande strumento in equilibrio sulla coscia destra, mentre a terra vicino alla sedia tiene una bottiglia di rakia e un bicchiere perennemente mezzo pieno, ogni tre canzoni ne beve una sorsata. Noi balliamo, cantiamo, sulle note di queste suonate balcaniche dal sapore zingaro, che partono come marcette allegre ma che pian piano ti risvegliano dentro anche una strana malinconia. Sono questi i Balcani.

un motocoltivatore modificato

È quando meno ce lo aspettiamo, quando la serata volge al termine e i due ciclisti canadesi vanno a dormire, quando Marie-Louise va a chiudere capre e pecore nel recinto che Ranko comincia a raccontarci la storia degli anni novanta per come l’ha vissuta lui: “Le cose erano peggiorate fin dalla morte di Tito, l’economia era in recessione”, si ferma per svuotare ancora una volta il bicchiere di Rakia, eppure appare perfettamente sobrio. “Le frontiere qui non sono mai state quella cortina di ferro come si raccontava altrove, quando c’era la Jugoslavia potevamo viaggiare ovunque, andavamo a comprare alcolici e prosciutti in Italia o in Austria, che qui non si trovavano, e al ritorno li nascondevamo nel bagagliaio della macchina. Alla frontiera non facevano quasi mai controlli, e al massimo si tenevano qualche bottiglia”. Continua: “Quando scoppiò la guerra qui in Slavonia i partigiani croati ebbero facilmente la meglio sull’armata federale, i serbi non conoscevano il territorio, erano soldati arrivati dritti dritti da Belgrado, i tank erano lenti e poco adatti alle colline. Fu facile per chi viveva da queste parti farli cadere in imboscate e agguati”.

Ma Ranko ricorda anche molti serbi della regione che combatterono con i partigiani croati, contadini o operai installati qui da generazioni: “All’epoca le divisioni etniche non erano così chiare come oggi. Molti si ritrovarono a dover scegliere sul momento per chi combattere: quando tua madre è bosniaca e mussulmana, tuo padre serbo e ortodosso e tu sei nato e cresciuto in una Croazia Cattolica, di quale delle tre etnie fai veramente parte?”.

È così, circondati da un cielo notturno rossastro e dai canti delle civette tra nocciole selvatiche e prugni, seduti su tre vecchie sedie di legno nel mezzo del cortile tra anatre e oche, che Ranko fa crollare decenni di propaganda giornalistica e mediatica come se fossero un castello di carte.



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