Spese militari, questione di priorità

Assegni di maternità e centri antiviolenza al posto di cacciabombardieri F-35 e sommergibili U-212. E’ possibile: basta scegliere. Le proposte della campagna Sbilanciamoci! di riduzione della spesa militare

 

 di Cora Ranci

 

28 novembre 2013 – In tempi di magra, ci si concentra sulle priorità. Ieri il Senato ha stabilito che nei prossimi vent’anni dovremo destinare 3 miliardi di euro alla costruzione di navi da guerra. Anziché, per esempio: creare 3000 asili nido (1 miliardo di euro), mettere in sicurezza un migliaio di edifici scolastici pericolanti (1 miliardo di euro) o installare 200mila impianti fotovoltaici (1 miliardo di euro). Questo e molto altro potrebbe essere fatto risparmiando sulla spesa militare complessiva.

 

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Dati alla mano, la campagna Sbilanciamoci!, che da 15 anni riunisce 49 organizzazioni della società civile che lavorano insieme per analizzare le scelte economico-finanziarie dei governi ed elaborare ipotesi alternative sostenibili, ha delle proposte concrete in merito. Non si tratta solo di F-35 o di navi da guerra. E’ la spesa militare complessiva che deve essere ridotta attraverso una revisione completa del nostro modello di Difesa. Negli ultimi vent’anni, la cosiddetta “Funzione Difesa” – la voce più sostanziosa del bilancio, perché corrisponde al finanziamento dei tre corpi armati – ha visto un incremento percentuale del 23,1%, passando dai 20,6 miliardi di euro nel 1990 ai 25,3 nel 2011. Un trend in salita che la crisi economica non ha affatto arrestato. Secondo le stime di Sbilanciamoci!, per il 2014 dobbiamo attenderci una spesa militare complessiva di 23,6 miliardi di euro: una cifra inferiore di circa 400 milioni rispetto al 2013, ma che supera di quasi 700 milioni quella del 2012.

La “controfinanziaria” pubblicata da Sbilanciamoci! prevede una riduzione sostanziale dell’importo complessivo, che potrebbe essere portato sotto i 20 miliardi. Ciò potrebbe essere fatto riducendo strutturalmente il sovrannumero di ufficiali e sottufficiali nelle Forze Armate (i gradi fanno lievitare i costi e creano inefficienze nelle catene di comando), eliminando duplicazioni, accorciando le procedure decisionali, e soprattutto riconsiderando la mission dello strumento militare in relazione alle necessità del paese. Sarebbe così possibile ridimensionare il numero delle unità in tempi ragionevoli (si potrebbe arrivare a 120mila unità, contro le attuali 180mila).

 

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Si risparmierebbero così 3,6 miliardi di euro, già nel 2014. Una spending review che libererebbe risorse da investire nel sociale, afflitto da anni di tagli. Con 3,5 miliardi di euro, per esempio, si potrebbe finanziare un piano occupazionale che consentirebbe di creare almeno 300mila posti di lavoro in settori strategici come la messa in sicurezza di edifici pubblici (in particolare scolastici), le energie rinnovabili, il riassetto idrogeologico, la valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio artistico, i servizi alla persona e l’istruzione.

Ma non è tutto. Altri 500 milioni di euro potrebbero essere risparmiati riducendo il numero degli effettivi delle Forze armate entro il 2016 a quota 150mila. Tale forza lavoro potrebbe essere riconvertita su altri ambiti deboli, come la gestione del territorio. Senza dimenticare i 500 milioni che risparmieremmo abolendo l’ausiliaria, ovvero l’indennità pagata agli ufficiali cinquantenni in esubero, che in attesa dell’età pensionabile restano a casa con l’85% dello stipendio. Un trattamento che confrontato con la normativa vigente in tema di previdenza (basta pensare agli esodati) appare come un mero privilegio clientelare (si era parlato di “scivolo d’oro” per generali). Con i 500 milioni di euro che risparmieremmo se i militari andassero in pensione come tutti, potremmo finanziare per tre anni il Fondo per la non autosufficienza, che nel 2011 era stato azzerato e nel 2012 ridotto a pochi euro, portando negli ultimi tempi decine di persone non autosufficienti a protestare davanti a Palazzo Chigi insieme ai loro famigliari, su cui grava tutto il peso dell’assistenza.

Passiamo alle voci di spesa che rientrano nel bilancio del ministero per lo Sviluppo economico. Si tratta di investimenti a disposizione della Difesa, che li può indirizzare verso industrie a produzione militare per specifici programmi di armamento. Secondo Sbilanciamoci! tale fondo potrebbe essere ridotto di ben 2 miliardi di euro. Certo, significherebbe rinunciare a progetti definiti “di elevata priorità e urgenza per la Difesa”, come la realizzazione dei caccia Eurofighter (1 miliardo nel 2014), la costruzione delle fregate multi-missione Fremm (785 milioni) e la realizzazione di un veicolo blindato medio 8×8 “Freccia”. Sopravvivremo. Basti pensare che con 1 miliardo di euro si potrebbe predisporre un intervento straordinario per ammodernare e potenziare le linee ferroviarie di collegamento utilizzate dai pendolari, in particolare al Sud, come suggerisce un video diffuso in rete dalla campagna Taglia le ali alle armi.

 

 

A chi giustamente pone l’opportunità di creare posti di lavoro nel settore industriale, il rapporto di Sbilanciamoci! sottolinea la possibilità di istituire un fondo annuale di 200 milioni di euro per sostenere le imprese impegnate nella riconversione da produzioni di armamenti a produzioni civili.

Al posto degli armamenti, potremmo finanziare la scuola. Sarebbero sufficienti 2,3 miliardi di euro non solo per mettere in sicurezza un migliaio di edifici scolastici su tutto il territorio nazionale (1 miliardo di euro), ma anche per potenziare l’autonomia scolastica attraverso un percorso di riqualificazione e aggiornamento dell’offerta formativa (300 milioni di euro), per sostenere la lotta alla dispersione scolastica (30 milioni di euro) e per il diritto allo studio e l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni (200 milioni di euro).

 

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Rinunciando solo al caccia Eurofighter e alle fregate Fremm, e tenendoci anche il veicolo blindato 8×8, potremmo tornare a sostenere il diritto alla salute finanziando il Servizio Sanitario Nazionale per 1,5 miliardi di euro, il che permetterebbe (senza rinunciare alle necessarie ottimizzazioni nel settore) di migliorare lo stato dell’edilizia sanitaria e di assumere nuovo personale (si stima che manchino 71mila infermieri). Con altri 220 milioni di euro (un terzo del costo delle fregate) si potrebbe rafforzare la medicina territoriale e aprire nuove unità spinali e hospice a favore dei malati cronici.

Questione di priorità. Dalla partecipazione al programma del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter, per quanto riguarda sia i diritti di acquisto, sia i lavori di sistemazione delle infrastrutture militari che li dovrebbero ospitare, potremmo risparmiare 600 milioni di euro. Altri 200 milioni, invece, li dovremo per l’acquisto di sommergibili U-212 di produzione tedesca, per un totale di 800 milioni di euro. Ne basterebbero 750 per introdurre l’assegno di maternità universale, cui al momento non ha accesso il 55% delle donne italiane sotto i 30 anni e il 40% di quelle sotto i 40. Avanzerebbero così 50 milioni di euro: giusto la cifra necessaria ad aprire cento nuovi centri antiviolenza in tutte le regioni, inclusa l’elaborazione di una proposta formativa per le scuole volta alla prevenzione della violenza di genere.

 

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Conclusione: si tratta di scelte, di stabilire priorità. Spesso si sente dire che non possiamo più permetterci uno stato sociale perché “non ci sono soldi”. Osservando i dati riportati, appare evidente come le cose non stiano affatto così. Il rapporto di Sbilanciamoci! dimostra che un diverso indirizzo di politica economica è possibile. E’ dal 2008 che i governi hanno scelto di affrontare la crisi tagliando la spesa pubblica e determinando un peggioramento di sanità, pensioni e delle condizioni lavorative. Interventi simili, in ambito militare, non si sono ancora registrati. Anche ammettendo i vincoli di bilancio che ci impone l’Europa, è evidente che i milioni di euro per le indennità ai generali, per le navi militari, per i cacciabombardieri e i sommergibili non mancano. I soldi, allora, ci sono, eccome. Come usarli, quella è questione di priorità.

 

 



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