Cina e Mozambico odi et amo

Così lontano, così vicino. I cinesi erano lì prima, durante e dopo la lotta di liberazione. E oggi sono sempre più presenti, fino ad essere accusati di accaparramento di terre da parte della società civile

di Cecilia Anesi e Andrea Fama*, tratto da China Files, in co-pubblicazione con l’Ecologist

30 novembre 2013 – Quella con la Cina è la più antica e solida amicizia che il Mozambico ha con un Paese straniero. I cinesi erano lì prima, durante e dopo la lotta di liberazione. E oggi sono sempre più presenti. Si sono presi l’impegno di bonificare la più grande coltivazione di riso abbandonata del Mozambico , quella di Xai-Xai. Non senza conseguenze: sono infatti accusati di accaparramento di terre da parte della società civile

Compagno o colonizzatore?

La Cina è considerata il primo partner commerciale dell’Africa nonché il principale concorrente per gli altri investitori stranieri. Dopo il Sud Africa, il Dragone è il più grande investitore in Mozambico, e nel 2014 il Mozambico sarà il primo Paese lusofono a beneficiare del Fondo di cooperazione per lo sviluppo tra la Cina e le nazioni che parlano portoghese.

In Mozambico, il Celeste Impero ha un approccio completamente diverso rispetto a quanto faccia nel resto dell’Africa. È un rapporto caratterizzato da compromessi e prudenza. La ragione è il FRELIMO, il partito politico che ha governato il Paese fin dalla conquista dell’indipendenza dal Portogallo, cioè dal 1975. Se da un lato il FRELIMO continua a essere grato alla Cina per il sostegno ottenuto durante la lotta di liberazione, d’altro lato sta cercando di mantenere il controllo sulle risorse del Mozambico.

Per cui, anche se la Cina ha un ruolo di primo piano nella costruzione delle infrastrutture del Paese, finora la modalità “colonizzatrice” differisce dal comportamento della Cina nel resto dell’Africa, tant’è che qui, la Cina, si comporta più come “compagno”.

La presenza del “compagno” cinese è significativa. Dall’inizio del 21esimo secolo, la Cina ha costruito un terzo di tutte le nuove strade, l’aeroporto internazionale, i nuovi edifici del parlamento, il ministero degli Esteri, l’Alta Corte e il nuovo stadio della capitale, Maputo. Attraverso il controverso China International Fund, le aziende cinesi hanno costruito fabbriche di cemento, infrastrutture idriche urbane, e finanziato l’ambizioso progetto da 2,3 miliardi di dollari della diga Mphanda Nkuwa.

Il commercio bilaterale è aumentato incredibilmente, passando dai 120 milioni di dollari del 2006 ai 950 milioni nel 2011. Ma il Mozambico non è l’unico beneficiario di questo rapporto: la Cina ha riportato in patria migliaia di tonnellate di minerali e risorse naturali come cotone, semi oleosi, frutti di mare e legname.

Il Dragone ha grandi interessi forestali in Mozambico, dove il 90 per cento del legname prende la via d’Oriente. Secondo Loro Horta, un esperto di relazioni sino-lusofone, “nel solo 2006, almeno 94mila metri cubi di legno della sola provincia di Zambézia sono stati esportati in Cina.”

Fernando Lima, direttore di Savana, il più importante settimanale d’inchiesta nel Paese, ha affermato che il disboscamento illegale è diffuso e che solo una minima parte del traffico di legname viene intercettato dalle autorità. “Ultimamente abbiamo avuto alcuni grandi scandali”, racconta. “Giusto per fare un esempio, centinaia di casse piene di legname o, peggio ancora, di corni dei rinoceronti, sono state bloccate alla dogana nord del Mozambico, a Cabo Delgado. I controlli sono aumentati, ma considerando l’alto livello di corruzione dei funzionari è ancora molto difficile per lo Stato contrastare queste pratiche.”

Tuttavia, episodi imbarazzanti a parte, il governo dà un caloroso benvenuto ai cinesi. Pechino ha annullato il debito da 52 milioni di dollari del Mozambico, tirando il bianchetto su cifre che si erano accumulate fin dal 1980.

Un rapporto esclusivo
Il rapporto è solido e apparentemente tranquillo a livello istituzionale. Ma le relazioni sono ben diverse se si parla di società civile. I problemi di comunicazione e le differenze culturali hanno provocato scontri e malintesi, suscitando timori e fomentando dicerie all’interno della società. “I mozambicani non sono abituati a vedere i bianchi che fanno un lavoro manuale, poi si ritrovano i cinesi che sudano nei cantieri e questo li confonde terribilmente”, spiega João Feijó, un esperto di rapporti di lavoro tra Cina e Mozambico. “Di conseguenza non li percepiscono come ‘boss’ e finiscono per essere meno rispettosi degli ordini impartiti dai dirigenti cinesi.” Questo di rimando genera altri problemi. “I cinesi sono estremamente fedeli al lavoro e i capi cinesi pretendono che sia svolto rapidamente e con dedizione. Quando vedono che i loro ordini non sono rispettati, si arrabbiano, e reagiscono in un modo che i mozambicani percepiscono come violento. Beh, a volte sono violenti per davvero. E questo, naturalmente, non aiuta le relazioni”.

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L’immenso potenziale agricolo del Mozambico
In Mozambico ci sono 36 milioni di ettari di terra arabile, ma solo il 10 per cento di questa è coltivata e appena 50mila ettari sono di fatto irrigati. Questo significa che l’enorme potenziale agricolo rimane addormentato. Il Mozambico è quindi spesso considerato un ‘El Dorado’, un luogo dal grande potenziale per gli investitori stranieri.

Ma la terra è di proprietà dello Stato e può essere data solo in concessione. Il prezzo attuale è di un dollaro Usa all’ettaro per un contratto di locazione di 50 anni, con l’opzione di rinnovo per altri 50.
Ma la verita è che gran parte del territorio considerato “libero” – perché non è dato in concessione – non è esattamente tale. Infatti, è spesso utilizzato dalle popolazioni locali in base a modelli di agricoltura familiare finalizzati all’auto-sussistenza.

La mancanza di sistemi di irrigazione e di strumenti per proteggere le coltivazioni da calamità naturali, fa sì che i contadini, e il Paese nel suo complesso, abbiano una scarsa produttività agricola, da cui discendono fame e carestie. È in questa prospettiva che gli investimenti stranieri, in particolare per lo sviluppo agricolo e infrastrutturale e non solo per la semplice coltivazione, potrebbero svolgere un ruolo importante.

Questo potrebbe essere il caso del progetto cinese della risaia di Xai-Xai, se non fosse che, secondo le ONG locali, lì sarebbero stati imposti un modello di agricoltura intensiva e a contratto senza che ci fosse un’adeguata consultazione della comunità locale, provocando il dislocamento di parti consistenti della popolazione.

Il sistema di irrigazione costruito dalla Cina a Xai-Xai è sicuramente la più imponente opera del suo genere mai fatta in Mozambico, ma le accuse di land grabbing (accaparramento dei terreni) che lo circondano non sono da sottovalutare. Se da un lato si tratta del migliore progetto idrico del Paese, dall’altro è anche uno di quelli più controversi in termini di violazione dei diritti umani.

LA FOTOGALLERY DI CECILIA ANESI

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Il progetto di Xai-Xai
Uno dei timori maggiori dei mozambicani è che la Cina stia costruendo nel loro Paese un granaio finalizzato alla propria sicurezza alimentare. Ma questo sembra essere più mito che realtà. Tuttavia, l’incredibile capacità costruttiva degli ingegneri cinesi lascia i mozambicani letteralmente sconvolti.

Andando a visitare i terreni del distretto meridionale di Xai-Xai si ha l’impressione di entrare in una grande opera, un’opera che incarna la potenza dell’”Impero”. Terra nerissima, perfettamente arata, si estende per chilometri fino a sciogliersi all’orizzonte. È un’opera incredibile, e molto rara in Mozambico. Un’opera che incute rispetto. E per un attimo, nell’estremo sud dell’Africa, sognando ad occhi aperti si ha il miraggio di Pechino. Ma è un sensazione che ci pone in allerta, raccontandoci che se la Cina volesse, potrebbe davvero fare ciò che desidera.

Il riso è una coltura strategica in Mozambico, dove si spera che possa contribuire a una maggiore sicurezza alimentare per la popolazione povera. Per questo, nel 2005 il governo ha chiesto alla Cina di recuperare una fattoria abbandonata da 20mila ettari, quella di Xai-Xai, nella provincia di Gaza.

Il territorio della fattoria include il Regadio do Baixo Limpopo (RBL), più comunemente noto come “sistema di irrigazione di Xai-Xai”, che si estende su 12mila ettari. Si tratta di uno dei più grandi sistemi di irrigazione del Mozambico, secondo solo a quello di Chokwe. Creato nel 1951, all’epoca del colonialismo portoghese, la struttura è stata poi abbandonata, fino a oggi.
Nel 2006, l’Ufficio Provinciale dell’Agricoltura dell’Hubei (Cina) e la Provincia di Gaza, hanno appaltato lo sviluppo della produzione locale alla società statale cinese Hubei Lianfeng.

Nel corso del 2008 e 2009, un gruppo di scienziati dell’Accademia cinese delle scienze agricole (CAAS), sostenuti dal “Green Super Rice Programme” della Bill e Melinda Gates Foundation (BMGF), hanno testato con successo 30 varietà di riso ibrido sino-mozambicano, chiamato “riso Limpopo”, e alcune sono state scelte per la coltivazione in quell’area.

Una volta trovate le varietà di riso giuste, le province di Hubei e Gaza si sono accordate per chiedere a Lianfeng di sostenere le comunità locali attraverso il trasferimento di tecnologia, al fine di aumentare la loro produttività. Su 150 candidati, ne sono stati scelti 46, ai quali sono stati assegnati 285,5 ettari. Ma l’assistenza tecnica cinese non era gratis e molti dei 46 non potevano permettersela. Entro la fine del 2010 era già emerso chiaramente che la compagnia non stava rispettando i termini dell’accordo. Il progetto è fallito e non è riuscito a incrementare la coltivazione del riso, lasciando pressoché inutilizzati i 300 ettari sperimentali.

Per questo, alla fine del 2011, un’impresa privata cinese, la China Wanbao Oil and Grain Co Ltd, è stata chiamata a gestire Xai-Xai al posto di Liangfeng, con un investimento iniziale di 95 milioni di dollari. Oggi, la cifra è salita a 250 milioni. Inoltre, Wanbao ha recentemente ricevuto 10 milioni di dollari dal Fondo di cooperazione per lo sviluppo delle relazioni tra la Cina e i paesi lusofoni. Questo ha inaugurato una nuova fase della strategia di cooperazione sud-sud della Cina in Mozambico, il primo paese lusofono a ottenere soldi dal fondo.

Wanbao ha quindi colto la sfida, e attraverso la controllata Wanbao Africa Agriculture Development, si è quindi messa a costruire il secondo sistema di irrigazione più grande del Mozambico.

Il capo progetto della Wanbao, il signor Luo Haoping, spiega: “Dal 2011, la nostra azienda ha aderito al progetto e ha aumentato l’investimento fino a 250 milioni. Abbiamo cominciato ad assumere dal giugno 2012, ci avvaliamo di 1.340 persone, di cui 500 sono cinesi – molti sono ingegneri. Quest’anno abbiamo piantato 4.000 ettari di riso e 3.000 di mais”.

Il primo anno di produzione, il 2012, ha purtroppo visto la maggior parte del raccolto distrutta da un’immensa alluvione che ha colpito la pianura di Baixo Limpopo. Il poco che era rimasto è stato venduto a livello locale.
“Abbiamo buttato via 10 milioni di dollari a causa dell’alluvione, ma questo non ci ha spaventati, il nostro progetto non si è fermato”, dice il signor Luo . “Tuttavia abbiamo perso molto, circa 3.000 ettari di mais e 3.500 di riso sono stati distrutti. Non appena l’inondazione è finita, abbiamo dato 10 tonnellate di riso gratuitamente al governo locale, per sfamare la gente. In breve, abbiamo perso un intero anno di lavoro, perché tutto il sistema che avevamo costruito è stato spazzato via, ci è toccato ricostruirlo e al momento dobbiamo ancora finire il lavoro”.

Il piano originale era quello di raggiungere nel giro di tre anni una buona resa di coltivazione per i 20mila ettari, ma l’azienda ora ammette di aver bisogno di più tempo.
Siamo qui per aiutare il Mozambico a sviluppare la sua agricoltura e per aumentare i raccolti e i redditi dei contadini, questo è il nostro scopo”, continua il signor Luo.

Le comunità dei dintorni, come quella di Marien G’Ngouabi, affermano tuttavia di non avere mai visto il riso e sostengono che non sia stato messo a disposizione a livello locale.
L’azienda sostiene invece che la maggior parte del raccolto è stato distrutto dall’alluvione. Secondo Wanbao, il fatto che venga esportato in Cina è una falsa accusa, perché la domanda del Mozambico è, per i tassi di produzione attuali, semplicemente ancora lontanissima dall’essere soddisfatta. “Non siamo liberi di fare quello che vogliamo. Dobbiamo rispettare la volontà del Mozambico. Dobbiamo coprire per intero la domanda del Mozambico prima di pensare all’esportazione; e anche allora il riso eccedente dovrà prima essere destinato ai Paesi africani vicini, come lo Zimbabwe, prima di essere spedito in Cina”.

Il riso scampato all’alluvione viene stoccato nei nuovissimi magazzini della Wanbao a Xai-Xai. Una grande innovazione, in un Paese dove non si immagazzinano i prodotti agricoli, come spiega il signor Lu: “Il Mozambico non ha le strutture, nemmeno il governo possiede dei magazzini.”
“Ne stiamo costruendo molti”, dice con orgoglio il project manager Jose Faruk Lalgy Guirdar. “Quando saranno pronti, potremo acquistare i prodotti dagli agricoltori locali e stoccarli qui, mettendoli sul mercato quando non abbiamo abbastanza raccolto nei campi”.

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Un progetto mastodontico, ma senza valutazione di impatto ambientale
Il grande piano per l’agricoltura e la costruzione della struttura della Wanbao non è però così perfetto come potrebbe sembrare.

Di fatto, il progetto congiunto Mozambico-Cina di Xai-Xai non è ancora stato oggetto di una valutazione di impatto ambientale (VIA), pur essendo operativo da oltre 4 anni. I VIA sono assolutamente necessari nel caso di progetti agricoli grandi e intensivi, come quello di Xai – Xai, perché bisogna valutarne il potenziale danno ambientale. Ma fino ad oggi, non è stata intrapresa alcuna ricerca e non è stato prodotto nessun rapporto, quindi le eventuali conseguenze rimangono un mistero.
Di certo la colpa non è del tutta della Wanbao. L’azienda ha infatti ereditato un progetto a cui già mancava una VIA.

Secondo Wanbao, la VIA è prevista solo dopo che la società ha pagato lo 0,2 per cento dei previsti 250 milioni di dollari di investimenti. Tuttavia, quando la comunità locale, sostenuta da FONGA (forum delle ONG di Gaza), ha chiesto al governo informazioni relative alla VIA, il Ministero degli Affari Ambientali (MICOA) ha risposto affermando che lo studio era stato consegnato, ma respinto. Gisela Zunguze, ricercatrice per la ONG Justicia Ambiental (JA), conferma che non ha mai avuto la possibilità di guardare la VIA. Quando l’ha chiesta, dice, il governo ha sostenuto che non esisteva.

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Il progetto Xai-Xai accusato di avere provocato l’esodo
I problemi però non sono circoscritti all’ambiente. Il progetto di produzione di riso a Xai-Xai ha avutoun impatto sociale considerevole, causando l’esodo di molte persone.

Secondo un rapporto del canale televisivo Canal de Moçambique del 25 Ottobre 2012, più di 80mila persone sono state sfollate a causa del progetto di Wanbao.

D’accordo sui numeri è anche l’attivista Carlos Mhula, coordinatore dell’ufficio di Xai-Xai della Liga Moçambicana dos Direitos Humanos. Mhula afferma che più di 10mila famiglie sono state sfollate, tutti contadini che si basavano su un’economia di auto-sussistenza nei villaggi di Dlhovukaze, Laguene, Chicumbane, Pessene, Chimbonhanine e Inhamissa.

“Quelli che additano il nostro progetto come un caso di land grabbing non hanno compreso bene l’impatto positivo che questa azienda sta portando in Mozambico”, risponde il signor Faruk di fronte alle accuse di provocare displacement.
Il signor Luo aggiunge: “Bisogna capire che il 99 per cento della terra data a Wanbao dal governo non aveva un sistema di irrigazione e nessuno la coltivava, ci cresceva semplicemente l’erba o c’era il deserto. Wanbao ha costruito una piccola centrale elettrica, strade, tutto il sistema dei canali, ha arato e trasformato il deserto in una risaia. C’era, sì, l’uno per cento di terra che veniva usato e coltivato dalla gente del posto. Abbiamo trovato un altro luogo dove spostarli dopo avere organizzato una riunione proprio con loro, e abbiamo arato anche lì a beneficio degli sfollati”.

Mr. Faruk ritiene che anche chi inizialmente si era opposto al progetto, ora sia felice. “Considerando che insegniamo loro come piantare il riso e che poi lo compriamo proprio da loro, capiscono che è un miglioramento. Ora sono ben felici di accogliere il nostro progetto”, conclude.

Spiega ancora: “Formiamo gli agricoltori locali e diamo loro la terra e i semi, senza chiedere soldi in cambio. Poi compriamo anche prodotti da loro. Nel 2011 abbiamo fatto training a 20 agricoltori, ai quali abbiamo poi dato 1-2 ettari, mentre quest’anno ne hanno ottenuti 5 e in futuro ne avranno tra i 20 e i 50. Questo va considerato trasferimento di tecnologia”.

Wanbao è riuscita dove il precedente coordinatore del progetto di Xai–Xai, Hubei Yangfeng, aveva fallito.
“È vero che Wanbao sta offrendo formazione ai piccoli agricoltori locali sul suo modello di produzione”, spiega Juliana Porsani Jarkvist, una borsa di dottorato dalla Södertörn University in Svezia, che sta facendo una ricerca sul progetto di Wanbao. “I contadini scelti per il training ci mettono la propria fatica sperando che, per la fine di ogni raccolto, il denaro che riceveranno sarà sufficiente ad acquistare cibo a sufficienza. Sembrano soddisfatti delle nuove prospettive di un futuro con più sicurezza alimentare; prospettive che però sono ancora tutte da dimostrare. Ma dobbiamo riconoscere che la creazione di posti di lavoro è già di per sé uno dei più grandi risultati riconosciuti a livello locale. Wanbao assume solo i giovani, e questo è stato criticato, ma in fondo questi ragazzi finiscono per contribuire al sostentamento di tutta la famiglia”.

“Da quando abbiamo piantato il riso abbiamo ottenuto 10 tonnellate all’ettaro, in termini di produzione”, dice il signor Faruk. “Gli agricoltori locali prima ne ottenevano solo 1-2 tonnellate per ettaro, e quindi oggi capiscono perché la nostra tecnologia è così importante.”

Eppure, i numeri non tornano. Da un lato, l’azienda parla della formazione di 20 agricoltori, dall’altro, la società civile e le organizzazioni dei diritti umani sostengono che circa 10mila famiglie siano state sfollate. Secondo Porsani Jarkvist “10mila sono troppe, considerando che di solito coltivano 2 ettari per famiglia; il che significherebbe che tutta la zona gestita da Wanbao, 20mila ettari, avrebbe dovuto essere precedentemente occupata da agricoltori. Ma ad oggi, solo 12mila ettari sono stati occupati da Wanbao, quindi è più probabile che siano meno di 6.000 le persone che abbiano effettivamente perso le terre. Ma è difficile dirlo, a causa dell’assenza di documenti catastali precedenti relativi ai terreni. Va anche considerato che la gente utilizzava quella terra per pascolare il bestiame, e che quindi molte persone non hanno perso terre in sé, ma si trovano comunque ad affrontare ristrettezze”.

Quello che sappiamo per certo, grazie a Porsani Jarkavist, è che almeno 217 persone sono state colpite dal progetto di Wanbao nella zona di Jovucaze. Facendo un conteggio complessivo, utilizzavano 582,5 ettari di terreno e ne hanno persi 537,75 a causa dello spostamento dovuto alla Wanbao. Solo 44.75 ettari rimangano disponibili per le colture dei contadini locali.

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Come per molte storie africane, i fatti sono difficili da ricostruire. Il progetto coinvolge una porzione enorme di terra, togliendone sicuramente una parte a persone che non avevano mai sentito parlare di diritto alla terra. La società cinese che ne ha raccolti i frutti, simile a un invasore alieno, ha “conquistato”, respingendo in toto ogni obiezione circa il suo diritto a essere lì.

Il governo è stato così deferente verso i suoi nuovi partner cinesi, che ha concesso il permesso di spostare un antico cimitero per far posto alle colture. Il direttore di FONGA, Anastacio Matavel, ha detto che “l’esumazione è stata fatta senza alcun preavviso. Da un giorno all’altro le famiglie hanno dovuto recuperare i resti dei loro cari e trovare un altro luogo per seppellirli. Alcuni sono stati spostati nei cimiteri di famiglia, altri in quello pubblico”.

Queste azioni non causano certo disagi gravi come quello di dover camminare molti chilometri per coltivare il necessario per un pasto, ma calpestare i sentimenti e le tradizioni delle popolazioni locali è considerato una violazione della Convenzione OIL 169 – che tutela i diritti delle popolazioni indigene.

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Mancanza di consultazione popolare
“La Convenzione 169 è stata violata anche a causa della mancanza di un adeguato processo di consultazione”, dice Anastacio Matavel, direttore di FONGA. “Abbiamo affrontato il problema in una lettera che abbiamo inviato al Presidente del Mozambico il 5 settembre e che giace ancora da qualche parte senza risposta.
Il processo di consultazione non è stato eseguito correttamente. Vedete, la maggior parte degli agricoltori è povera e analfabeta e ritiene che le consultazioni non hanno tenuto conto del loro tradizionale rapporto con la Terra e l’ambiente”.

Inoltre, quando FONGA ha chiesto una copia del progetto esecutivo, i funzionari del governo locale hanno risposto che esisteva solo in cinese, ma che stava per essere tradotto in portoghese e nei dialetti locali; e poi distribuito alla comunità.
Ma i documenti sul progetto di Wanbao non sono ancora stati condivisi con le comunità locali e le ONG, a scapito di un’informazione trasparente e della consultazione stessa.

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“C’e stata una consulta, che ha avuto luogo intorno a Chicumbane, dove alcune delle famiglie che hanno perso i terreni ne hanno effettivamente ricevuto di nuovi altrove”, spiega Porsani Jarkavist. “Ma in tutte le altre zone non ha avuto luogo. Ma comunque ‘consultazione’ significa soltanto che la gente è stata informata di ciò che stava per accadere, senza avere voce in capitolo”.

Eppure, Porsani Jarkavist ha scoperto che alcune persone sono grate a Wanbao per il sistema di drenaggio che ha costruito. “Alcuni contadini mi hanno detto che se non fosse stato per Wanbao, gli effetti dell’ultima alluvione si vedrebbero ancora e i terreni sarebbero a tutt’oggi allagati. Il governo fornisce pochi servizi o infrastrutture. Molti di loro prendono l’acqua dal fiume Limpopo, non hanno accesso all’elettricità e camminano per diversi chilometri al giorno. Sono grati quando una strada, un ponte o un sistema di drenaggio vengono costruiti.”
Quindi da un lato, come Porsani Jarkavist sottolinea, “la maggioranza della popolazione colpita sta oggi peggio di un anno fa”; dall’altro, ci sono alcune persone, poche, contente.

Il signor Luo, project manager di Wanbao, parla con orgoglio dei piani di espansione. “Se porteremo a termine la nostra missione, cercheremo poi nuove aree dove portare la nostra conoscenza, per aiutare e collaborare con il Mozambico”. Mr.Luo sembra credere davvero nel potenziale positivo del progetto che lui gestisce. Così come il suo Tongzhi in Cina.

Ma la realtà è che i governi spesso non hanno la capacità di sentire gli appelli d’aiuto della gente, in particolare dei più poveri. E in Mozambico, a Xai-Xai, alcune persone gridano ad alta voce. Il governo del Mozambico dovrebbe ascoltare gli agricoltori – e non importa quanti siano – assicurandosi che i loro diritti siano rispettati. Anche se una sola persona viene danneggiata dalla risaia di Xai-Xai, quella persona ha tutti i diritti di non ricevere solo un mero risarcimento, ma tutto il riconoscimento e la dignità di cui ha bisogno.

Questo reportage è parte di un progetto di Jacopo Ottaviani (@jackottaviani), Andrea Fama, Isacco Chiaf e Cecilia Anesi, supportato grazie al Journalism Grant del Innovation in Development Reporting Grant Programme operato dal European Journalism Centre.

*Cecilia Anesi è una giornalista del primo centro di giornalismo d’inchiesta in Italia, l’Investigative Reporting Project Italy (IRPI). Laureata in Giornalismo e Sociologia alla City University di Londra, nel 2009 è tornata in Italia per lavorare alla crisi rifiuti campana. Assieme al collega Giulio Rubino ha fondato la piattaforma web Wasteemergency. Nel 2011 ha co-diretto Toxic Europe, documentario di inchiesta che ha vinto il Premio Best International Organised Crime Report ed e’ stato candidato per il Data Journalism Award 2012. Attualmente lavora a progetti di inchieste internazionali e alla produzione di progetti video e documentari.

Andrea Fama è un giornalista freelance, laureato in Scienze della mediazione linguistica. Ha collaborato con il quotidiano La Discussione, con il settimanale Mezzoeuro e con diverse testate del network editoriale Gruppo HTML. Dal 2008 è membro di redazione dell’osservatorio giornalisticowww.lsdi.it, per cui ha scritto l’e-book “Open Data – Data Journalism. Trasparenza e informazione al servizio delle società nell’era digitale”. Nel 2012 ha fondato l’Associazione per l’adozione di un Freedom of Information Act in Italia (www.foia.it). Con i colleghi Jacopo Ottaviani e Isacco Chiaf è autore di www.giornalistiminacciati.it.



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