Icone di piazza

Le donne nelle fotografie di Tano D’Amico*

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/1482201_10202236415179479_819095464_n.jpg[/author_image] [author_info]di Laura Labate. Vive tra la Puglia e Roma, si laurea in Informazione e Sistemi Editoriali con tesi in Cinema, fotografia e televisione presso l’Università di Bari Aldo Moro. Dal 2012 collabora con il festival “Lector in Fabula” di Conversano (Ba). Come curatrice collabora con fotografi e artisti visivi. Di recente ha curato una mostra fotografica, “Ilva Inclusa”. I suoi campi di indagine sono la fotografia e le arti visive secondo una prospettiva sociosemiotica[/author_info] [/author]

tratto da Iconocrazia

La memoria è fatta di immagini
Tano D’Amico.

3 dicembre 2013 – Le donne scendono in piazza, pacifiche e sorridenti, fianco a fianco, sottobraccio. Chiedono di essere ascoltate. Suonano, cantano, issano striscioni. E intanto protestano.
La scena è complessa. Siamo negli anni Settanta chesull’onda delle contestazioni del Sessantotto, coincidono con una serie di battaglie culturali e ideologiche cui fanno seguito conquiste importanti.

Tano D’Amico, un fotografo che si concentra sul racconto della vita sociale di quegli anni, nasce in Sicilia a Filicudi nel 1942 e nel 1967 si trasferisce a Roma. È tra i testimoni oculari delle tappe significative che determinano l’esplosione del femminismo in Italia e dalla sua prospettiva, cristallizza l’emersione di un protagonismo collettivo che per la prima volta si tinge di rosa.

Immagine Labate 01

Perché Tano si occupa delle donne? Perché, come lo stesso fotografo afferma, “Le donne più degli uomini resistono alla rimozione dei nostri anni” (D’Amico 2003, p. 5), e prosegue: “Sono state più innovatrici, più sovversive. Hanno fatto vedere che si può vivere in un mondo rovesciato. Hanno realizzato di più. Le loro istanze sono diventate diritti riconosciuti in tutto il mondo” (p. 5).

Sono immagini che fissano momenti critici di una storia recente e consentono di mettere insieme tasselli di conoscenza circa le lotte femministe e i relativi segni provocatori che, negli anni Settanta, con risultati concreti immaginano e raccontano una donna nuova.

Tano D’Amico è intento ad annotare tranches di vita. Scatto dopo scatto, mette in forma, così, la sua verità fotografica: un corpus iconografico che combacia con un ritratto femminile inedito, in bianco e nero. È un repertorio di immagini-simbolo, che spinge oltre i soliti cliché delle manifestazioni di piazza e, al contempo, ribalta gli stereotipi sulle donne: non un’immagine oggettivata e mercificata, bensì una rappresentazione rivoluzionaria dell’esperienza umana, ripulita da quelle scorie che, a volte, appannano la vista.
Sono eloquenti “messaggi senza codice” (Barthes 2001): significa(n)ti rivelatori. Scene di persone ed emozioni che, accompagnate da didascalie scritte a mano con funzione di “ancoraggio” (ib.) al testo visivo, raccontano storie rese vissute.

Il sistema politico è in crisi, nella tormentata ricerca di equilibri. Sono anni difficili, tra speranze e incertezze. E le donne scendono in piazza per manifestare il proprio dissenso sociale e rivendicare i propri diritti.
Sono donne che, con una propria visione circa la vita e il mondo, sembrano proprio in questi scatti incontrarsi. E formano un agglutinamento semioticamente carico di informazioni.
Affiancate, gridano la loro voglia di libertà. Lottano contro il dispotismo maschile e quel ruolo ideale che la tradizione impone loro, emarginandole socialmente e culturalmente. Emblematico, in tal senso, lo slogan “Le donne escono dalle cucine” (fig. II). L’immagine mette a fuoco una scena della prima manifestazione nazionale di donne a Roma nel 1976. Tutto scorre con una certa placida flemma e senza far trasparire concitazione alcuna. Le manifestanti indossano i pantaloni, i jeans, tranne una.

Immagine Labate 02

In un’intervista di Arianna Catania ed Elisabetta Galgani, il fotografo di strada racconta:

Negli anni 70 le donne uscivano insieme: durante i loro cortei, Roma era deserta, con i negozi chiusi e si sentiva lo scalpiccio e il frusciare delle loro vesti. Mi ricordo, un giorno, la voce sottile di una ragazzina che urlava: «Donna, lo sai la forza che hai». E in risposta la voce di centomila donne che faceva tremare i muri: «Sì, lo so, la forza che ho». Queste donne appartenevano a tutti i ceti, era emozionante (2013).

Il decennio, attraversato da profonde crisi nazionali e internazionali, vede l’avanzare di trasformazioni importanti: cambiamenti epocali che mettono in discussione la cultura occidentale, basata sulla supremazia del maschile sul femminile.
Tano D’Amico cerca il momento a lui più propizio per rubare pezzi di questa realtà sociale in fermento. Sono attimi che fanno parte dell’immaginario collettivo. Li coglie, li annota con le sue fotografie e li ricorda così:

Le donne contrapposte a scudi, elmi, bastoni, bandoliere, carabine. Compongono forme che dissolvono la disciplina degli uomini. Non ci sono gerarchie, ognuna si mostra libera e lascia spazio alla libertà di ogni altra. Ritrovano un linguaggio dimenticato. Un linguaggio astratto, imprendibile, incontrollabile. Un linguaggio che non si può sezionare in elementi interscambiabili, schedare, montare e rimontare. Inviso a tutti coloro che vogliono potere su altri esseri umani (D’Amico 2003, p. 6).

È un modo di vedere il mondo che cerca di sovvertire i rapporti di forza (Rassegna.it 2012) mettendo a fuoco subalterni ed emarginati, tra cui le donne.
Tano D’Amico concepisce, così, un contesto visuale in cui trova spazio anche una cultura femminista pronta ad esprimersi e, grazie alle sue iconiche immagini, a significare, inaugurando un’estetica fotografica che soppianta le parole e inscena trasformazioni rivoluzionarie che scorrono tra rabbia e pacatezza.

In questo periodo donne diverse nei modi di manifestarsi cominciano a riflettere su se stesse. Prendono coscienza delle asimmetrie di genere, che industrializzazione e urbanizzazione fomentano ulteriormente. E rivendicano i propri diritti, la propria voglia di libertà che è anche quella di gestire il proprio corpo, continuamente oggettivato e mercificato da altri.
Il corpo si configura quale elemento essenziale nella ristrutturazione, in corso, della propria identità. Ed esse lo reclamano.

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Un impegno civile che Tano contempla e porta alle luci della ribalta soffermandosi su quei particolari che considera “più umani” (Rassegna.it 2012), come ad esempio la potenza e l’eloquenza di uno sguardo esaltato perché inquadrato fra due tutori dell’ordine (fig. IV).

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Persone ed emozioni, gesti e azioni si fanno spazio nel suo campo visivo e significano a partire da esso.
Le donne di Tano sono, dunque, conquistatrici che lottano “a piede libero” (come recita la didascalia dell’immagine che segue), per il riconoscimento della dignità umana e della giustizia sociale. E lo fanno anche trasgredendo (fig. V ).
Nella battaglia per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, ad esempio, approvata il 22 maggio del 1978, sono pronte a tutto: anche a scagliare lo zoccolo. Ma sorridono. Si oppongono con tenacia al conformismo che le sacrifica ai valori della tradizione. E Tano le osserva, le immortala.

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Sono visioni emblematiche, mediate da un punto di vista al maschile che rende loro dignità e bellezza. Sono ritratti di donne che, non si accontentavano delle immagini che già c’erano, del modo di vedere che già c’era. Percepivano di essere rappresentate male. Pretendevano che anche nelle immagini, a cominciare dalle immagini, fosse resa loro giustizia. Non volevano più essere spinte a vergognarsi del proprio aspetto, della propria condizione, dei propri atteggiamenti (D’Amico 2003).

E così Tano D’Amico, a partire dalle sue fotografie, documenta e racconta donne inedite: icone di piazza “oltre i cliché della violenza”, espressione da lui stesso scelta come parte del titolo del suo volume L’ala dolce del dissenso (2004).

*Un ringraziamento particolare al fotografo Tano D’Amico che mi ha gentilmente concesso il permesso di utilizzare le sue immagini.

 

BIBLIOGRAFIA

BARTHES, R., 2001, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi.
CATANIA, A., GALGANI, E., 2013, “Tano D’Amico: «Belli, sporchi e cattivi»”,Unità Lifto.it, 13 – 14 aprile 2013, http://www.left.it/2013/04/11/tano-damico-belli-sporchi-e-cattivi/9838/.
D’AMICO, T., 2003, Una storia di donne. Il movimento femminile dal ’70 agli anni no global, Napoli, Intra Moenia.
D’AMICO, T. 2004, La dolce ala del dissenso. Figure e volti oltre i cliché della violenza, Napoli, Intra Moenia.

 

DOCUMENTARI

RASSEGNA.IT, 2012, Memorie di un fotografo di strada,http://www.youtube.com/watch?v=PLQSFSMfPJc

 

ICONOGRAFIA

Fig. I, Tano D’Amico, Ragazza di Lotta Continua, Roma 1975. Pubblicata in: Tano D’Amico, 2008, Volevamo solo cambiare il mondo, Napoli, Intra Moenia (cfr. Tano D’Amico. Catalogo generale dell’opera fotografica, Volume 2 1974 – 1976,http://www.arengario.it/tano/pdf/catalogo-1974-1976.pdf).

Fig. II, Tano D’Amico, La prima manifestazione nazionale di donne, Roma 1976. Pubblicata in: Tano D’Amico, 2003, Una storia di donne. Il movimento femminile dal ’70 agli anni no global, Napoli, Intra Moenia.

Fig. III, Tano D’Amico, Manifestazione femminista, Roma 1974. Pubblicata in: Tano D’Amico, 2008, Volevamo solo cambiare il mondo, Napoli, Intra Moenia (cfr.Tano D’Amico. Catalogo generale dell’opera fotografica, Volume 2 1974 – 1976,http://www.arengario.it/tano/pdf/catalogo-1974-1976.pdf).

Fig. VI, Tano D’Amico, Roma 1977. Pubblicata in: Tano D’Amico, 2003, Una storia di donne. Il movimento femminile dal ’70 agli anni no global, Edizioni Intra Moenia, Napoli.

Fig. V, Tano D’Amico, Siamo tutte a piede libero, Roma 1977. Pubblicata in: Tano D’Amico, 2003, Una storia di donne. Il movimento femminile dal ’70 agli anni no global, Napoli, Intra Moenia.



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