Basta porcate

 Si resta senza parole, o l’abbondanza delle stesse ne causa un sovraffollamento rabbioso, dopo una sentenza come quella della Consulta.

di Angelo Miotto

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La legge porcata, come la definì il suo autore, il leghista Roberto Calderoli è incostituzionale. Lo ha stabilito oggi 4 dicembre al termine di una lunga camera di consiglio la Corte Costituzionale, dichiarando illegittimi sia il premio di maggioranza senza soglia sia le liste bloccate, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.

Era stata votata dai parlamentari il 21 dicembre del 2005.

Otto anni fa, tre elezioni all’attivo.

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Il rapporto di forza che cerchiamo di seguire come filo conduttore in questo blog, Kratos, qui è fin troppo evidente. Lo iato che è stato creato non dai populisti demagoghi, o dagli sfascisti di professione fra la classe partitica e la società è talmente evidente che non ha bisogni di essere raccontato.

Una gran parte del Paese, probabilmente, non sa nemmeno cosa sia la legge porcata. Segno destabilizzante di una strategia di controllo sociale che è stato portato avanti scientemente da un gruppo di potere che ha destrutturato il Paese negli ultimi tre lustri.
Difficile rimproverare a chi truccò le carte di essere baro. Più sensato e doveroso chiedere a chi avrebbe dovuto denunciare e fermare quella trappola perché quella che sembra essere sempre una priorità dei governi dell’emergenza non ha ancora avuto una soluzione, fino ad arrivare addirittura a trovarsi in questa situazione paradossale.

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Ci si provò con un referendum, mancò il quorum. Poi l’interessamento della Cassazione, ma uno si potrebbe anche chiedere com’è che il servizio degli esperti di diritto costituzionale presenti negli uffici del Quirinale abbia lasciato andare su una norma che otto, dico otto, anni dopo viene dichiarata incostituzionale.

Il rapporto di forza fra una politica partitica sempre in emergenza – perché l’instabilità nuoce al paese, favorisce le speculazioni, recita il mantra – e una classe dirigente istituzionale con una politica che non è frutto dell’azzardo, ma di continui compromessi al ribasso, al meno peggio, al tentare di evitare lo scontro e a mantenere l’Italia fedele al laccio dei tecnocrati di Bruxelles ha portato fin qui. Cioè a dire oggi ai cittadini elettori e votanti che per tre elezioni abbiamo votato con una legge che ha elementi che vanno contro la nostra Carta Costituzionale.

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Interessante questione: in nome di chi governano e legiferano parlamentari, governi, istituzioni repubblicane?
Se viene leso l’unico strumento che il cittadino ha per esprimersi in una democrazia rappresentativa, le regole che sottendono al voto, il cittadino stesso è spogliato in maniera coatta e infingarda di quel suo diritto. Quindi io posso tranquillamente affermare che nelle ultime tre elezioni sono stato truffato.

Se in una società privata i dirigenti truccano le regole e poi si scopre che le hanno truccate, o scritte male, il minimo che possa accadere è la defenestrazione dei dirigenti stessi. Ma qui siamo oltre un rapporto di natura privatistica.
Qui stiamo parlando del gioco democratico.

Lo avete truccato, scrivendo la legge, non sostenendo i referendum, non arrivando rapidi a una nuova legge. Era la cosa giusta da fare, anche con esasperazione nei toni. Perché chi ancora crede in una maniera diversa di fare politica ha bisogno di coerenza.

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Fate una nuova legge, buona, o tornate a quella precedente che non piace di certo – il mattarellum maggioritario con quota proporzionale nel meccanismo di scorporo – fino ad avere una nuova maggioranza votata con una legge non patacca e quindi spremetevi le meningi per una buona legge elettorale.

E quindi dimettetevi.
È il minimo che si possa pretendere.

Tocca precisare che il suggerimento di tornare al mattarellum non è per simpatizzare con il movimento 5 stelle, che per bocca di Beppe Grillo ha chiesto questa cosa. Ma è una presa d’atto del fatto, sconfortante, che non si può essere sicuri che ce la possano fare dentro all’emiciclo e le stanze dei poteri a trovare un accordo.



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