Sud Sudan: isolare i signori della guerra

[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]

22 dicembre 2013 – In una intervista rilasciata alla agenzia Misna, monsignor Paulino Lukudu Loro, Arcivescovo di Juba, ha detto che il conflitto in Sudan è una lotta per il potere e non uno scontro etnico. A domanda, se ritiene possibile un incontro tra il presidente Salva Kir e il suo ex vice Riek Mechar il prelato risponde che la spaccatura tra i due è profonda e che non c’è da aspettarsi a breve un incontro risolutivo tra i due.

Queste due valutazioni, che, personalmente, ritengo molto aderenti alla realtà, sono purtroppo una conferma del fatto che il conflitto non verrà fermato a breve perché i due contendenti non lo vogliono fermare e che tra i due leader è in corso una lotta di potere e che entrambi non hanno esitato ad usare l’arma più temibile, cioè quella etnica mobilitando le due più importanti etnie del paese, i Dinka di Salva Kir e i Nuer di Riek Mechar.

Sud_Sudan_guerra-1024x661

Ci dobbiamo dunque aspettare che in queste prime fasi del conflitto da una parte e dall’altra si tenderà a mettere sotto il proprio controllo quanto più territorio possibile. Preferibilmente quello più sensibile, cioè ricco di pozzo di greggio.

Nelle scorse ore la logica militare è stata lampante. Le forze ribelli di Riek Mechar hanno conquistato la città di Bor, una delle più importanti del paese, nello stato di Jonglei e per mostrare che erano disposte a tutto pur di mantenerla sotto il loro controllo hanno sparato a due aerei americani impegnati in azioni umanitarie.

Siamo perciò di fronte ad un conflitto che per ora non lascia spazi negoziali. Proprio per questo motivo fino ad ora le iniziative della comunità internazionale sono apparse rituali, deboli e votate al fallimento.

Cosa allora bisognerebbe fare per fermare il conflitto. Innanzi tutto bisognerebbe fare arrivare ai due rivali il messaggio chiaro e forte che l’avere scatenato la guerra, l’avere messo in mezzo i civili, l’avere scatenato le due principali etnie del paese, cioè i Dinka e i Nuer può essere interpretato come il reato di crimini di guerra e che peranto, anche a guerra finita, anche a pace fatta, quel reato potrebbe essere perseguibile.

In secondo luogo si dovrebbe bloccare sul nascere quella sorta di diplomazia parallela e tacita che, in casi come questo, si sviluppa verso i due rivali. Cioè stati, faccendieri, lobby politiche ed economiche che hanno interesse a mutare lo status quo di contratti e concessioni petrolifere promettono ad uno dei contendenti sostegno e protezione in cambio di futuri vantaggi.

In sostanza la comunità internazionale dovrebbe agire “come un sol uomo”, con un unico obiettivo: l’isolamento, la messa sotto accusa, la condanna dei due principali motori della guerra, cioè i personaggi che si giocano il potere.



Lascia un commento