Dio, patria e Sukur

L’ex bomber del Galatasaray e della nazionale si dimette dal partito Akp, assestando un danno di immagine a un Erdogan in difficoltà

di Christian Elia

31 dicembre 2013 – I calciatori bravi si dividono in tre categorie: quelli con personalità, quelli senza personalità e quelli che per rendere al meglio si devono sentire importanti.

I primi si prendono le copertine e i trofei, i secondi svaniscono presto, gli ultimi finiscono per legare per sempre il loro nome a una maglia, un club, una storia. Incapaci di ripetersi ad alto livello in qualsiasi altro posto. Hakan Sukur è uno di questi ultimi. Con la maglia del suo Galatasaray o con quella della nazionale turca diventava un ariete impressionante.

Alcune cifre: 392 partite in campionato con la maglia del club di Istanbul, 228 reti realizzate. In nazionale, poi, 112 presenze e 51 goal, miglior realizzatore di sempre. Cifre da urlo. Nel mezzo di una storia che era già scritta, un passaggio in Italia – Inter, Parma e Torino – e un salto in Inghilterra, al Blackburn.

sukur

In Italia non lo abbiamo mai capito, la perfida Albione lo ha rispedito subito al mittente. Perché Hakan Sukur è nato sul Bosforo, nel 1971, e lontano dal crocevia dei continenti si sentiva come smarrito. Fisico asciutto, alto e forte di testa, prima punta che si carica la squadra sulle spalle, uno che gioca guardando negli occhi i suoi compagni.

Un punto di riferimento della manovra, come un faro nella notte per i battelli che attraccano a Istanbul. Come un novello Sansone che dalla sua appartenenza traeva una forza sovraumana. Che portava dentro di sé, perché con la maglia del Galatasaray era forte anche in Europa, come nel 2000, capace di battere l’Arsenal in finale di Coppa Uefa a suon di reti (Hakan ne realizzò 11 in 17 match europei).

In Italia arriva nel 1995, con la maglia del mitico Toro. Non gira. “Voglio tornare a casa”, dichiara in un’intervista dopo qualche mese, confessa che per vincere la malinconia si è sposato quasi in fretta e furia con la fidanzata, un modo per non rimanere da solo in Italia. A chi gli chiede se almeno il cibo in Italia lo faccia felice, risponde che gli manca la polpetta di Sakarya.

Torna in Turchia, vince la Coppa Uefa, segna a raffica, disputa un buon campionato europeo. L’Inter gli da fiducia, ma non cambia nulla. Nostalgia troppo forte, che lo riporta a casa via Parma, pur segnando una rete da urlo in un derby con il Milan, il 7 gennaio 2001. La Madunina non sarà Santa Sofia, ma fa urlare tutta la parte nerazzurra di San Siro. Ancora Turchia, poi Inghilterra, poi l’ultimo ritorno a casa.

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Appese le scarpe al chiodo, non sceglie come tanti altri di restare nel calcio. Quell’attaccamento viscerale, quel magico fluido che lo lega ai colori della Turchia e della sua città, lo spingono in politica, al fianco del premier Erdogan, nelle file del partito Akp.

L’Islam e la Turchia, l’ala destra e l’ala sinistra della vita del bomber Sukur. Non lascia un segno indimenticabile: una rissa scoppiata fra un suo portaborse e un deputato dell’opposizione, le polemiche sul lauto riscontro economico del doppio impegno come deputato e come commentatore tv, un posto al minister dello Sport che pareva certo dopo la sua elezione.

Oggi che, dopo un decennio di potere assoluto, il premier Erdogan e il partito Akp vivono un periodo molto difficile, arrivano le dimissioni di Hakan Sukur. Hurryet, giornale turco che lo ha sempre attaccato, ricorda in questi giorni il suo “amore” per Fetullah Gulen, predicatore islamico della politica turca auto-esiliato negli Usa in rotta con Erdogan. Che si prepari a saltare il fosso?

Nessuno può dirlo, adesso, ma di sicuro la fede incrollabile nella religion e nella patria dell’ex centravanti non si discutono, al punto di meritarsi l’accusa di ignavia per un pilatesco ‘no comment’ in merito a un controverso caso di deputato curdo finito in carcere.

Staremo a vedere. Perché in fondo, politica a parte, quelli come Hakan Sukur non cambiano mai troppo fuori dal campo: capaci di dare il massimo solo quando si sentono importanti.



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