Diventare vegetariani non è la soluzione

[note color=”000000″] Io arrampico. E trovo che lʼarrampicata sia una stupenda metafora di vita. Ma la vita, lʼaltra montagna, è piena di metafore. Perché ogni gesto, anche il più piccolo, è solo una parabola di qualcosa di molto, molto più universale. [/note]

di Alice Bellini

5 gennaio 2014  – Dopo mesi dalla sua uscita ho finalmente trovato il coraggio di guardare questo video.

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E, come moltissime altre persone, la mia prima reazione è stata la più scontata, ma anche la più ottusa: non mangerò mai più carne.

Poi, però, ho riflettuto e sono giunta alla stessa conclusione a cui giunsi nel 2008, quando vidi un documentario tanto bello quanto sconvolgente: Food, Inc. di Robert Kenner. Ha vinto una nomination agli Oscar (perdendo contro l’altrettanto eclatante The Cove di Louie Psihoyos) e si tratta, fondamentalmente, di una versione di 93 minuti del video proposto sopra, arricchita da interviste e dati statistici assolutamente sconcertanti, che però non riguarda solo il mondo dell’allevamento intensivo, ma anche quello dell’agricoltura.

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Dopo averlo visto, ebbi grosse difficoltà a mangiare, soprattutto la carne, e presi seriamente in considerazione l’opzione di diventare vegetariana. Ma poi mi resi conto che i motivi per cui lo sarei diventata non erano che trovavo eticamente scorretto e innaturale mangiare la carne, anche perché natura vuole che non lo sia. Il motivo era il modo in cui quella carne veniva prodotta. Ma, allora, allo stesso modo avrei dovuto eliminare tutto il grano, tutto il mais, tutte le verdure, tutta la frutta e tutti i prodotti che contenevano derivati di quella frutta e di quella verdura. In pratica, avrei dovuto smettere di mangiare. La vera soluzione, dunque, era un’altra.

Diventare vegetariani per opporsi ai sistemi di allevamento intensivi, infatti, non è la risposta. Anzi, è una presa di posizione fine a se stessa, che va contro non solo ai bisogni naturali dell’uomo, ma anche a quelli economico-sociali.

Non solo è incoerente opporsi al mercato dell’allevamento intensivo, continuando però a consumare i prodotti secondari di quel mercato, come uova, latte, formaggi e simili, ma è doppiamente incoerente non opporsi poi anche a quello dell’agricoltura intensiva.

Inoltre, il punto non è boicottare il mercato della carne nella sua totalità, ma quello intensivo (e qui continuo a includere anche l’agricoltura). Da che mondo è mondo, infatti, l’uomo ha sempre cacciato e raccolto per sostentarsi e, che civiltà è civiltà, le piccole comunità hanno sempre allevato e coltivato per sopravvivere, con metodi ragionevoli e rispettosi nei confronti di quella stessa natura che gli forniva nutrizione e mezzi di sopravvivenza. Da che mondo è mondo, insomma, esiste la catena alimentare.

La risposta dunque non è eliminare, ma diminuire, scendere di grado, rimpicciolire. Prediligere la produzione piccola e locale, il Km 0, i gruppi d’acquisto, il biologico. In questo modo, si lancerà un messaggio che non sarà solo etico, ma anche economico, discostandosi dal consumismo sfrenato e tornando alle origini delle piccole comunità.

Allora sarebbe un comportamento intelligente, un esempio dato in maniera ragionata e socialmente responsabile, un chiaro segno di opposizione, una scelta di vita che ha davvero l’aspetto di una presa di posizione che volge al miglioramento.

Si tratterà di spendere più energia nel prestare attenzione a cosa si acquista e da chi, e forse anche qualche euro in più, ma un tipo di produzione e di consumo più equilibrato e naturale è sempre di più un’urgenza umana e socio-economica di valore inestimabile. E non sarà eliminando che si giungerà a una soluzione.



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