Goccia a goccia: Bilbao #11 gennaio

L’undici gennaio del 2014 potrebbe essere una data significativa della storia recente dei Paesi baschi. Una grande manifestazione sfilerà per le strade di Bilbao per chiedere un passo deciso in avanti sul tema della soluzione del conflitto e il ritorno a casa dei prigionieri politici baschi.

di Angelo Miotto

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Tantaz tanta itsasoa gara. Goccia a goccia siamo un mare. E quello sarà l’obiettivo della giornata di mobilitazione, preceduta da diversi fatti concreti, che si sono dipanati uno dietro l’altro in territorio basco, mentre su suolo spagnolo e francese le autorità rimangono ferme come statue, pensando di giocare in vantaggio. Un pensiero errato. Vediamo perché, partendo dal Sudafrica.

Il mondo ha applaudito un grande essere umano: Nelson Mandela. Lo hanno fatto dignitari di ogni dove, spendendo parole su parole, ma senza nessuna coerenza rispetto al credo politico di Madiba. Eppure il suo messaggio, la sua storia, è, era, lì a dimostrare che solo nella riconciliazione c’è progresso, laddove una frattura sociale ha creato odio e risentimento, sofferenza e dolore.

Ecco perché tutti attendono l’11 gennaio con tanta curiosità.

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Da una parte la stampa spagnola sta speculando da diversi giorni su un possibile nuovo comunicato dell’organizzazione armata basca Eta. Dall’annuncio dell’abbandono della lotta armata solo partiti e agenti sociali baschi hanno costruito un percorso che ha visto il continuo disinteressamento da parte del governo spagnolo e francese.

La posizione di superiorità che esprime la politica spagnola è quella di una sedicente ‘fermezza’ che recita un mantra poco logico: “Quello che deve fare Eta è una cosa sola: sciogliersi e sparire”. La nuova strada tracciata con coraggio dalla sinistra basca, capace di una vera rivoluzione copernicana che ha imposto la via politica all’opzione armata, non ha visto sostanziali mosse tattiche da parte del governo e dei partiti spagnoli. Le centinaia di prigionieri politici baschi sono rimasti in un regime di dispersione, mentre un vero e proprio negoziato non è mai stato avviato per discutere di disarmo e smantellamento della struttura dell’organizzazione armata o di un ridimensionamento delle forze armate spagnole in terra basca o in termini di variazione della legislazione antiterrorismo, che non ha più nessun senso dal momento che gli stessi politici spagnoli dichiarano di aver avute le prove della veridicità del passaggio di abbandono alle armi.

Loro, i politici, stanno fermi perché pensano che sarà inevitabile per Eta compiere un passo ulteriore, quello dello smantellamento degli arsenali. E così dovrebbe accadere, ma per una ragione diametralmente opposta a quella che viene presa in considerazione nei palazzi della politica spagnola e francese. È il rifiuto dello slogan: paz por presos, pace in cambio dei prigionieri politici.

Se è vero infatti che Eta non ha la capacità di cercare di obbligare, venuto meno lo strumento armato, gli stati a un negoziato, è altrettanto vero che l’impulso e la forza della società basca, una parte sempre più consistente di essa, sono stati il motore per cambiamenti storici, avvenuti a una velocità impressionante, rispetto a un conflitto durato cinque decenni.

C’è stanchezza, sicuramente, anche nei settori politici della sinistra, anche perché le centiniaia di prigionieri non sono numeri, ma persone, con famiglie e amici obbligati a lunghi percorsi, spesso letali, su autostrade e spese importanti per stare vicini ai loro cari. La dispersione è l’arma di stato, inaugurata dai socialisti negli anni ’80, che non ha subito sostanziali variazioni in questi decenni.

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La crisi economica ha superato l’incubo del fattore terrorismo nelle inchieste sociologiche interne, permettendo ai politici di addormentare e rallentare sul caso basco, mentre in Catalogna si sono accesi i motori di un referendum nazionalista che proprio dalla crisi hanno avuto un’importante accelerazione.

Eppure la reazione della società basca, non solo della sinistra, quando venne sferrato a fine settembre l’attacco contro Herrira, piattaforma che lottava per i diritti umani e dei carcerati per motivi politici e le loro famiglie, ha mostrato come vi sia una consapevolezza fondata, nei Paesi baschi, che nulla potrà essere più forte di una volontà che si gioca proprio nei Paesi, rispetto a negoziati o trattative che risentono dei tempi rallentati dalla politica spagnola e francese. La questione dei prigionieri, però, rimane centrale. Sono la spina nel fianco di una strategia che su questo capitolo deve forzosamente fare i conti con le autorità spagnole.

Ecco perché l’attività politica della sinistra basca e di associazioni come Lokarri, o come le iniziative del Foro Social che la stessa Lokarri con Bake Bidea (associazione composta da personalità sindacali e altri agenti sociali) ha costruito nel 2013, è riuscita ad arrivare a due importanti passaggi: il comunicato del Collettivo delle prigioniere e dei prigionieri baschi che si dicono pronti ad accettare  la dinamica politica e intraprendere un cammino di reinserimento sociale individuale (cosa mai accettata fino a oggi) e la dichiarazione di decine di ex prigionieri politici di Eta, scarcerati dopo che il Tribiunale di Strasburgo ha demolito la cosiddetta Doctrina Parot, che permetteva di aggiungere anni di reclusione a fine pena trasformando le reclusioni sostanzialmente in ergastoli. Il gruppo degli scarcerati, una sessantina, ha parlato del riconoscimento del danno causato, un primo passo significativo per proseguire in un cammino di riconciliazione indispensabile per la società basca, dove fra i famliari di vittime di uno e dell’altro lato – vittime di Eta e della repressione di stato – da tempo stanno portando avanti delle iniziative congiunte.

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L’undici gennaio a Bilbao ci sarà un mare, non ci sono dubbi. E le speculazioni giornalistiche sul comunicato di Eta le lasciamo ai fatti. I comunicati dell’organizzazione si commentano e si pesano una volta letti, non scrivendo che arriveranno e diranno questo e quell’altro.

Ma anche se dovesse arrivare un testo in cui si abborderanno i temi del disarmo la notizia che si attende sabato 11 gennaio è quella della società basca, che sempre di più si distingue per la propria capacità di saper costruire con infinita pazienza un percorso di pacificazione.

El Pais, attraverso uno dei suoi esperti di punta, Luis Aizpeolea, scrive nero su bianco che è necessaria un’azione politica nazionale e basca per non lasciare – questa è la visione del primo giornale di Spagna  – alla sinistra basca tutti i meriti di fronte all’opinione pubblica di saper risolvere il problema.

Se Eta dovesse affrontare, senza contropartita, anche il tema del disarmo – anche se un tema così delicato avrebbe bisogno di una controparte attiva – non sarà l’ennesimo gesto di debolezza di un’organizzazione ridotta in macerie. Ma il gesto significativo di forza che decreterà la sconfitta delle istituzioni democratiche. Capaci di chiudere giornali, permettere torture negli interrogatori, arrestare grazie a accuse associative, lasciar marcire in carcere preventivo decine di persone, negare il diritto di delega politica a decine di migliaia di cittadini, ma incapaci di comprendere il momento storico e di essere all’altezza di una situazione che ha tutte le caratteristiche per trovare una soluzione che dimostri davvero che cosa sia uno stato di diritto.

L’undici gennaio migliaia di gocce faranno un mare.
Seguiremo le notizie qui: https://twitter.com/TantazTanta_IT

Post scriptum.
Mercoledì 8 gennaio la Guardia civil ha arrestato otto persone a Biulbao, con perquisizioni in altre città basche. Secondo il ministero dell’Interno spagnolo, che aveva annunciato l’operazione un’ora prima su twitter (chissà se cambieranno almeno il social media manager) e con un comunicato alla stampa, sarebbero il fronte delle carceri, cioè le persone incaricate da Eta di distribuire le direttive all’interno delle prigioni.
Tre giorni prima della manifestazione di Bilbao, pochi giorno dopo i comunicati del collettivo dei prigionieri baschi e degli ex presos liberati grazie al tribunale di Strasburgo che accettavano una strategia sempre rifiutata.
La domanda, con o senza pistole in giro, rimane sempre la stessa da anni: chi ha davvero interesse a trovare una soluzione pacifica?

 

 



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