La terra è di tutte e di tutti: verso Lampedusa

Permettere alle persone di scegliere dove vivere, di spostarsi liberamente, di fuggire da situazioni di guerra e pericolo senza subire trattamenti degradanti. Azzerare le spese per la militarizzazione dei confini e utilizzarle per l’accoglienza. Affermare che la terra è “di tutte e di tutti”. Sono gli obiettivi della Carta di Lampedusa, che dal 31 gennaio al 2 febbraio riunirà al centro del Mediterraneo associazioni e gruppi antirazzisti.

 

di Giulia Bondi

 

19 gennaio. Lampedusa è impegno e pazienza. Sono 300 indirizzi e-mail di associazioni, centri sociali, gruppi antirazzisti che in una mailing list cercano di organizzarsi, insieme. Sono altri 100 indirizzi, di altrettante persone e gruppi, che si sono accreditati per scrivere on line un documento condiviso sulla “libertà di movimento per tutte e per tutti”, la Carta di Lampedusa. Sono ore e pagine di lavoro, di dibattito meticoloso su termini, proposte, azioni e sogni. É fatica, e tentativo, come molti hanno ripetuto nella seconda assemblea on line (che si è svolta il 15 gennaio con 75 postazioni collegate da tutta Italia), di tenere insieme “utopia e concretezza”.

Il programma della tre giorni di Lampedusa prevede una discussione a gruppi e plenaria sul documento, la cui stesura è in corso attraverso un “docu-wiki”: significa che il percorso è aperto e per partecipare alla scrittura on line della bozza basta richiedere una password di accesso seguendo le istruzioni riportate sul sito.

 

Lampedusa (foto Nicola Grigion, Melting Pot)

Lampedusa (foto Nicola Grigion, Melting Pot)

 

I principi

La Carta – si legge nel preambolo – “è divisa in due parti che rispecchiano la tensione tra i nostri desideri e le nostre convinzioni e la realtà del mondo che abitiamo. La prima elenca i principi di fondo, la seconda risponde alla necessità di confrontarsi con la realtà disegnata dalle attuali politiche migratorie, con il razzismo, le discriminazioni, lo sfruttamento, le diseguaglianze, i confinamenti e la morte degli esseri umani”.

“La Carta di Lampedusa”, continua il preambolo, “non è una proposta di legge o una dichiarazione degli Stati e dei Governi, ma il risultato di un diritto che nasce dal basso attraverso un processo costituente di molteplici realtà e persone”.

Parte da una denuncia netta della situazione attuale (”Da molti anni le politiche di governo e di controllo dei movimenti delle persone promuovono la disuguaglianza e lo sfruttamento”) per affermare una volontà radicale di cambiamento: nasce dall’idea che “tutte e tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso” e “afferma la libertà a muoversi sulla terra, senza condizionamenti o impedimenti, e la possibilità di ogni persona di costruire la propria vita dove di volta in volta sceglie di farlo”.

E si conclude con l’impegno a continuare a lottare “indipendentemente dal fatto che il diritto dal basso proclamato dalla Carta di Lampedusa venga riconosciuto dalle attuali forme istituzionali, statali e sovrastatali”.

 

 

Lampedusa (foto Nicola Grigion, Melting Pot)

Lampedusa (foto Nicola Grigion, Melting Pot)

 

 

Le proposte

“Le risorse fino ad oggi investite nelle spese militari e civili e destinate al controllo delle frontiere e alla limitazione della libertà di movimento devono essere riconvertite a sostegno dell’obiettivo di garantire la sicurezza delle persone che fuggono da guerre e persecuzioni”, recita ancora la carta. Un impegno, quello contro la militarizzazione dei confini, al quale è dedicata anche la campagna internazionale Frontexit, sotto lo slogan “L’europa è in guerra contro un nemico immaginario”.

 

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Nella seconda parte della Carta, dedicata alle azioni e alle proposte, trova spazio anche la ricerca di un’alternativa “al sistema di accoglienza basato su campi e centri per costruire invece un sistema condiviso nei diversi territori coinvolti, del Mediterraneo ed oltre, basato sulla predisposizione, in ogni luogo, di attività di accoglienza diffuse e incentrate sulla valorizzazione dei percorsi personali, permettendo un pieno sviluppo della dignità umana e di tutte le dimensioni in cui questa si concretizza”.

Il lavoro collettivo sulla Carta mette insieme gli sforzi fatti negli anni a livello locale (le tante realtà coinvolte su tutta la penisola) o settoriale (le associazioni di donne, i giuristi dell’Asgi), cercando di cogliere le opportunità dello spazio di cambiamento che sembra essersi aperto nell’ultimo periodo. “Il risultato non sarà perfetto – dice Nicola Grigion di Melting Pot – e non sarà un punto di arrivo, ma un punto di partenza per ulteriori azioni. Ma è solo facendo sforzi che possiamo costruirlo, in modo collettivo”.

 

La situazione 

Gli ultimi mesi, dopo le tragedie dei naufragi di ottobre e la vergogna del video sulle “docce anti scabbia” girato al Centro di accoglienza di Lampedusa, sono stati anche quelli delle proteste, dalle manifestazioni dei richiedenti asilo del mega- Cara di Mineo ai migranti che si sono cuciti la bocca al Cie di Ponte Galeria o all’azione del deputato Pd Khalid Chaouki che si è barricato nel centro di accoglienza di Lampedusa. Sono stati mesi di razzismo, tra i continui attacchi al ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge e l’editoriale del Corriere della Sera in cui Angelo Panebianco ha ipotizzato: “È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito (…) di quella proveniente dal mondo islamico”.

Sono anche i mesi, anzi i giorni, in cui il Tribunale di Bari dichiara, in una sentenza a seguito di una class action, che il Cie di Bari è attualmente inadeguato a offrire condizioni minime di rispetto dei diritti umani.

Nel corso del 2013 quattro Centri di identificazione ed espulsione hanno chiuso per inadeguatezza delle strutture e del servizio: Bologna, Crotone, Modena e Gradisca d’Isonzo. Nel 2012 avevano chiuso Brindisi, Trapani Vulpitta e Lamezia Terme. Restano aperti Bari (con l’ingiunzione di eseguire lavori di ristrutturazione nei prossimi tre mesi), Caltanissetta, Milano, Roma, Torino e Trapani Milo.

Una troupe di registi e giornalisti è riuscita a entrare nel Cie di Ponte Galeria per realizzare il documentario “EU013, L’ultima frontiera”, ma ai migranti trattenuti nei centri viene generalmente vietato di effettuare riprese, ufficialmente per questioni di privacy.

 

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A Messina, all’accoglienza dei migranti è stata destinata una tendopoli in un campo da basket, che con le piogge di fine dicembre si è completamente allagata.

Anche i molti Cara, i centri destinati a ospitare i richiedenti asilo per il tempo necessario a esaminare le loro domande, la situazione è critica. Su tutti spicca l’anomalia Mineo, che con i suoi 2000 posti è il centro di accoglienza più grande d’Europa (per un’inchiesta su tutti i cara d’Italia, realizzata nel 2008, si può consultare Fortress Europe). Anche i luoghi destinati ad accogliere minorenni spesso non sono in grado di assolvere la loro funzione e sono frequenti le fughe di ragazzi, inclusi, a novembre 20 dei minorenni superstiti del naufragio del 3 ottobre.

E dopo essere stati trattenuti per oltre tre mesi, pochi giorni fa hanno fatto perdere le proprie tracce anche gli ultimi sette superstiti. Hanno portato la propria testimonianza al giudice di Palermo nel processo per tratta di esseri umani, trascorso una notte al centro di accoglienza di Pozzallo (Siracusa) e poi se ne sono andati, in cerca di un trattamento migliore di quello che gli ha riservato l’Italia.

 

 

 



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