Presidente, chiuda Guantanamo

Sono trentadue gli ex ufficiali statunitensi che scrivono a Barack Obama chiedendogli di smantellare il campo prigionia nella baia cubana. Il leader democratico promette di evadere la pratica entro l’anno, ma ci sono tre sue ordinanze che non hanno ancora trovato attuazione

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/01/maddalena.fiocchi.jpg[/author_image] [author_info]di Maddalena Fiocchi. Nata nel ’79, laureata in filosofia, si occupa di comunicazione digitale e collabora con la rivista Doppiozero. In passato ha collaborato con il mensile FOTOgraphia e con Witness Journal. [/author_info] [/author]

2 febbraio 2014 -Trentadue ex ufficiali statunitensi, fra i quali cinque generali, hanno scritto una lettera al presidente Barack Obama per chiedergli di mantenere le promesse e chiudere il campo prigionieri di Guantanamo. Nella missiva, pubblicata da Human Right First, i militari chiedono al leader democratico ché siano trasferiti al più presto i 77 detenuti del campo cubano dichiarati idonei, che vengano attuate tutte le procedure necessarie per verificare lo spostamento degli altri prigionieri e che si proceda a desecretare uno studio di 6mila pagine condotto dal Select Committee on Intelligence del Senato, che riporta nel dettaglio le operazioni della CIA dopo l’11 settembre 2001.

Una spinta politica importante, quella degli ufficiali, che sembra aver convinto l’inquilino della Casa Bianca che, nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione, ha espresso l’intenzione di chiudere le porte del carcere entro il 2014, esortando il Congresso a rimuovere le restrizioni ancora in vigore sul trasferimento dei detenuti.

Tra i firmatari della lettera ci sono il generale Charles Krulak, ex comandante dei Marines, Merril mcPeak, ex capo di Stato Maggiore dell’Air Force e il generale Joseph Hoar, ex responsabile delle forze americane in Medio Oriente.
La prima volta che Obama promise la chiusura del campo di detenzione era il 22 Gennaio 2009, il primo giorno del suo mandato. In quell’occasione firmò tre ordini esecutivi alla presenza degli stessi alti vertici militari che in questi giorni gli hanno scritto. Il presidente disponeva di bandire la tortura, chiudere le prigioni segrete della CIA in cui si praticavano tali pratiche, e avviare lo smantellamento di Guantanamo che, invece, entra quest’anno nel tredicesimo anno di attività e ospita attualmente 155 detenuti.
Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe, in un articolo su Amnesty LiveWire, ha scritto che i motivi della mancata applicazione dell’ordine esecutivo del 2009 vanno ricercati nella mancanza, all’interno del testo dell’ordine, di un esplicito riconoscimento dei doveri degli Stati Uniti riguardo ai diritti umani, e nell’adozione, da parte dell’amministrazione Obama, del fallimentare quadro di diritto bellico dell’amministrazione precedente.

Dal giorno dell’arrivo a Guantanamo del primo detenuto (13 anni fa), solo sette prigionieri sugli ottocento che sono passati dal campo sono stati giudicati colpevoli dalla commissione militare, e cinque di questi hanno ammesso colpe dopo aver patteggiato l’uscita dal campo.

Dei 155 uomini ancora reclusi, 77 sono già stati giudicati idonei al trasferimento, in alcuni casi fin dal 2007, ma nessun Paese è stato ritenuto in grado o si è reso disponibile a tenerli “sotto controllo”. Altri 45 sono in “detenzione indefinita”: il governo americano li ritiene troppo pericolosi per il trasferimento, ma proprio la loro condizione di vittime di tortura rende le prove contro di loro, ottenute durante gli interrogatori con metodi come il waterboarding, inaccettabili per una corte di giustizia, e 33 aspettano ancora di essere processati.
Nel 2013 i detenuti hanno compiuto il più importante sciopero della fame della storia di Guantanamo, a cui il personale del campo ha reagito con un’altra forma di tortura: la nutrizione forzata. Sulla base delle testimonianze di 5 detenuti è stata realizzata una video animazione diffusa a marzo dal Guardian.




Nell’aprile dell’anno scorso, Barack Obama ha ribadito il suo impegno per accelerare la chiusura del campo e il Congresso ha risposto con un progetto di legge volto a facilitare il rimpatrio o il trasferimento dei 77 detenuti già ritenuti idonei.

Da allora, alcuni prigionieri sono stati effettivamente trasferiti o liberati. Tre cittadini cinesi di etnia Uiguri sono stati trasferiti in Slovacchia alla fine di dicembre sebbene la loro detenzione fosse stata giudicata illegale da una sentenza di cinque anni prima.
Nella prima metà di gennaio si è concluso il primo caso di riesame da parte della Periodic Review Board, una commissione istituita in seguito a un ordine esecutivo del 2011: il cittadino yemenita Mahmoud Abdulaziz Al-Mujahid non è più ritenuto una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti ed è stato giudicato idoneo al trasferimento.
Martedì 28 gennaio, per la prima volta, alcuni giornalisti e alcuni membri di ong impegnate sul fronte dei diritti umani hanno potuto assistere per 19 minuti a una parte dell’udienza che riprende in esame il caso di Abdel Malik Ahmed Abdel Wahab al-Rahabi, yemenita imprigionato a Guantanamo da dodici anni senza aver ricevuto nessuna accusa formale.
I giornalisti e le ong hanno assistito a una piccola parte dell’udienza attraverso uno streaming video con un ritardo di una quarantina di secondi, a più di 1600 chilometri di distanza dalla sede del riesame. È la prima volta che un’udienza relativa a uno degli uomini detenuti a Guantanamo è parzialmente accessibile al pubblico.

Amnesty International continua a chiedere con fermezza che si ponga fine al doppio gioco degli Stati Uniti, che si dichiara garante del rispetto dei diritti umani a livello internazionale, ma permette l’esistenza, sotto la propria giurisdizione ma al di fuori dei propri confini, di aree di sospensione del diritto come Guantanamo.

Gli ex vertici militari che il 21 gennaio hanno indirizzato a Barack Obama la loro lettera hanno messo nero su bianco affermazioni prive di qualsiasi ambiguità: «Guantanamo non serve gli interessi dell’America. Finché resterà in funzione, indebolirà la sicurezza americana e la sua reputazione di nazione in cui i diritti umani e lo stato di diritto contano». E a proposito dell’opportunità di rendere pubblico lo studio sulle azioni intraprese dalla CIA nell’ambito della “guerra al terrore” post 11 settembre, affermano: «Gli ex funzionari della CIA che hanno autorizzato la tortura continuano a difenderla attraverso libri e film, l’opinione pubblica è con loro, ma questa posizione è basata su un mito, non sui fatti. […] Siamo convinti che, una volta a conoscenza dei fatti, il popolo americano ammetterà che non la tortura non paga, e che noi, come nazione, non dovremmo mai più percorrere una strada così buia».

Qui il video integrale del discorso di Barack Obama sullo stato dell’Unione



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