Sochi 2014 – Geopolitica di un’olimpiade

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In occasione dei giochi olimpici invernali, Q Code Magazine ospita gli interventi di alcuni autori dell’ebook La Russia di Sochi 2014. Perché, oltre allo slalom gigante, c’è un paese intero da raccontare. Una Russia che si mostra al mondo, con le sue ricchezze e le sue contraddizioni, i suoi conflitti e la sua storia.

La Russia di Sochi 2014 è una pubblicazione di Cronache Internazionali, Limes Club Bologna e iMerica, scaricabile su computer, iPad, Kindle e tablet al sito www.progettosochi2014.it. Il collettivo di autori dell’eBook ha lanciato una campagna di crowdfunding su Eppela per rendere sostenibile la loro impresa.

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Altro che Siberia: nella zona di Sochi, sul Mar Nero, il clima è sub-tropicale. Perché allora la Russia doveva portare a tutti i costi i cinque cerchi nel posto più caldo del proprio gelido territorio? E’ che non sempre, quando sport e politica s’intrecciano, due più due fa quattro.

 

di Federico Petroni

7 gennaio 2014 – Dici Russia e i tuoi pensieri iniziano ad avere il sapore della neve e del ghiaccio. Pensi alla Siberia, alla tundra, al circolo polare artico. Logico pensare che la Russia sia una delle migliori candidate per ospitare i Giochi olimpici invernali, la celebrazione del freddo. Solo che non sempre, quando sport e politica s’intrecciano, due più due fa quattro. Può fare anche tre, specie se le XXII Olimpiadi invernali che si aprono oggi si disputano sul Mar Nero, nell’unica zona della Russia dove il clima non solo è mite ma sub-tropicale. Perché allora la Russia doveva portare a tutti i costi i cinque cerchi nel posto più caldo del proprio gelido territorio? Si dirà che non son poi tante le montagne che costellano il paese più grande del globo. E invece, come argomenta l’eBook La Russia di Sochi 2014 uscito in questi giorni, i motivi sono meno geografici e più politici. Sono cinque le ragioni essenziali per cui Vladimir Putin ha voluto i Giochi e li ha voluti a Sochi.

 

Putin a Sochi

 

Primo, attirare investimenti esteri. Attraverso le Olimpiadi, la Russia intende mostrare un volto aperto, organizzato e affidabile nei confronti dei mercati internazionali. Mettere in piedi il grande baraccone a cinque cerchi richiede una capacità di mobilitare enormi risorse nei campi più disparati: le infrastrutture del trasporto, le strutture dell’accoglienza, gli impianti energetici, la pubblicità e via dicendo. Non solo. Occorre anche farlo in modo coordinato e in tempi relativamente brevi: in questo caso, sei anni, dall’assegnazione nel 2007 a fine 2013, appena in tempo per il grande evento. In questo modo, Mosca spera che i grandi investitori stranieri si accorgano che il clima degli investimenti è migliorato: nello spazio di soli 12 mesi, la Russia è infatti salita dal 111esimo al 92esimo posto nella classifica Ease of Doing Business della Banca Mondiale.

 I costi delle Olimpiadi a confronto

costi

 

Secondo, distribuire risorse agli oligarchi. Quello russo è un sistema economico fondato su una risorsa dominante: le rendite dall’energia. Ogni giorno, dai mari polari, dalle steppe meridionali e dalla tundra ghiacciata si estraggono milioni di barili di petrolio, oltre a pompare una quantità impressionante di metri cubi di gas. Ciò significa tonnellate di valuta che quotidianamente rimpingua le casse. Ma l’inflazione nel paese è anche molto alta: tutti questi soldi vanno spesi, e in fretta. Di qui l’esigenza di oliare gli ingranaggi del consenso fornendo ai grandi protagonisti e motori dell’economia russa, i magnati, tanto denaro da spendere, attraverso l’assegnazione di contratti molto vantaggiosi. Dinamica che, nel caso di Sochi, si è tradotta nell’opportunità di stravolgere l’intera zona (ri)costruendo di tutto: alberghi, strade, ferrovie, impianti sportivi, acquedotti, centrali elettriche. Il tutto alla modica cifra di oltre 50 miliardi di dollari, dato che rende le XXII Olimpiadi invernali le più costose della storia, anche se confrontate con quelle estive (Pechino 2008 costò intorno ai 43 miliardi).

Terzo, mantenere alto il consenso popolare. Panem et circenses, si diceva nella Roma imperiale. Adagio antico ma ancora validissimo nel mondo contemporaneo. Fateci caso: tra 2008 e 2018 quasi tutti i grandi eventi sportivi mondiali sono stati oligopolizzati dai Brics (acronimo per Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, ormai privo di qualunque significato strategico ma per anni marchio dei paesi emergenti). Mondiali di calcio a Sudafrica, Brasile e Russia. Olimpiadi a Cina, Russia e Brasile. Giochi del Commonwealth e mondiali di cricket (sport da non sottovalutare nelle ex colonie britanniche) all’India. L’obiettivo? Legittimare di fronte agli occhi del mondo – compattando al contempo l’opinione pubblica interna – il proprio modello politico, economico e sociale. In breve: farsi accettare per come si è. Rafforzando al tempo stesso l’orgoglio nazionale dei propri cittadini, smobilitandoli rispetto a temi politici più caldi.

Il lustro d’oro dello sport in Russia

lustroro

 

Quarto, sviluppare le periferie più disagiate. La Russia ha fatto una scelta di campo ben precisa: ospitare i mega eventi, sia sportivi che politici, per iniettare grandi investimenti in regioni e città marginali elevandole al rango di città globali. Sul Pacifico, il porto di Vladivostok ha ospitato il vertice del 2012 dell’Apec, la stessa Vladivostok in cui qualche anno fa si propose di trasferire la capitale del paese per renderlo una potenza in primo luogo asiatica. Ma soprattutto tra 2007 e 2018 va in scena quello che è stato battezzato “il decennio d’oro dello sport russo”. Dall’assegnazione nel 2007 dei Giochi alla Coppa del Mondo di calcio del 2018, in mezzo ci sono oltre 25 competizioni sportive di primo piano: tra gli altri, mondiali di atletica, nuoto e hockey (sport nazionale russo), gran premio di Formula1, universiadi, Confederations Cup. Tutte (o quasi) disputate in aree o centri marginali e arretrati, occasione per dotarle delle più moderne strutture viarie e di accoglienza. Nelle 11 città che ospiteranno i mondiali di calcio si prevede di realizzare aeroporti, ferrovie, alberghi, pure reti fognarie a volte inesistenti o vetuste.

Quinto, dulcis in fundo, portare la fiaccola olimpica a Sochi serve a piantare una bandierina sul Caucaso. Ad affermare che quella regione turbolenta, costellata da insurrezioni nazional-islamiste e contestata da una demografia svantaggiosa per i russi etnici appartiene indiscutibilmente al Cremlino. D’altronde, il villaggio olimpico costiero dista meno di 10 chilometri dal confine con l’Abhazija, una delle repubbliche per cui Russia e Georgia si fecero la guerra nel 2008. Sì, proprio un anno dopo l’assegnazione dei Giochi a Sochi. La città non è contestata: è un bastione sicuro per le autorità di Mosca ma tutto intorno infiamma il fondamentalismo islamista ceceno, deghestano e inguscio, solo per citare i più determinati. Che fanno capo a quell’Emirato del Caucaso il cui leader, Doku Umarov, ha giurato morte ai Giochi, proprio perché si disputeranno “sulle ossa dei nostri antenati”: sui pendii di Krasnaja Poljana, il villaggio montano dove si scierà già da domain, esattamente 150 anni fa si conclusero le guerre caucasiche con cui gli zar assoggettarono definitivamente il Caucaso settentrionale. Tanto basta per rendere Sochi 2014 l’Olimpiade più calda di sempre. Non solo per le tiepide acque del Mar Nero.

 

 

 

.vestitori stranieri si accorgano che il clima degli investimenti è migliorato: nello spazio di soli 12 mesi, la Russia è infatti salita dal 111esimo al 92esimo posto nella classifica Ease of Doing Business della Banca Mondiale

 

 



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