Arkaitz

Arkaitz, 36 anni, 13 dei quali passati in prigione, a oltre 1000 chilometri dai suoi familiari, per la politica di dispersione inaugurata dai socialisti di Gonzalez e mai dismessa dallo stato spagnolo.

di Angelo Miotto

Lo hanno trovato morto nella sua cella nel carcere di Puerto Santa Maria I (Cadice).
Cause naturali, dice l’amministrazione penitenziaria, dueautopsie, quella ufficiale e quella di un medico di fiducia. In entrambi i casi si ecluderebbe una ‘morte indotta’, lo dichiara anche Etxerat, che indica anche diverse cause di stress che possono logorare il corpo di un giovane carcerato: cambio di prigione, tortura, liti con i secondini, botte che aveva denunciato nel corso dio questi lunghi tredici anni.

Che cosa ha fatto Arkaitz per scontare 13 anni ( a maggio sarebbe stato libero)?
Kale Borroka nel 2000: le accuse erano di un vasto assortimento di gesti di guerrilla urbana, accuse che riguardano anche autobus bruciati, dopo aver fatto scendere i passeggeri. Se veri fatti sicuramente gravi e di pericolosità sociale, ma il primo punto su cui riflettere è il numero di anni: 13. Potremmo cercare fra gli assassini per una cifra così elevata di privazione della libertà. E saremmo sicuri di vederli in semilibertà ben prima di quello che avrebbe riguardato Arkaitz. La cinica politica penitenziaria del governo, anzi dei governi spagnoli aveva rifiutato la libertà al giovane anche nelle due finestre previste per legge, e cioè scontati i due terzi o i tre quarti della pena.
La seconda considerazione è importante: Arkaitz in questi anni è stato pestato in carcere, la sua famiglia ha avuto un incidente di macchina negli interminabili viaggi legati alla dispersione, che punisce il condannato e punisce la sua famiglia e provoca tante vittime mortali per la stanchezza di chi si avventura in piccole odissee per pochi minuti di vis à vis.
L’ultima considerazione è che la morte di Arkaitz è una legnata che riporta alla cruda realtà, rispetto alle politiche e agli incontri segreti o discreti fra Rajoy e il Pnv del lehendakari Urkullu. Mentre si decide come allentare la morsa carceraria, ma con moderazione perché a destra hanno dei problemi elettorali, persone soffrono e muoiono.
Ogni tanto vale la pena cercare di capire quanta rabbia e quanto coraggio sia necessario oggi, a due anni dalla fine dell’attività armata di Eta, per chi attende di vedere una pacificazione. Non c’è militanza nel dire che i fatti parlano da soli. E che un minuto di sofferenza in più in nome di interessi politici eletttorali sono uno sfregio alla giustizia, ma soprattutto a un’umanità perduta.

Schermata 2014-02-09 alle 01.14.46

Perché di giustizia, davvero, è difficile parlare. Le legislazioni antiterrorismo sono state a ogni latitudine la morte dei diritti civili, delle garanzie e dei diritti umani. Uno degli aspetti che spesso sfuggono o di cui siamo dimentichi è che attuare quelle legislazioni priva tutti noi di un pezzo di libertà e di una grande parte di capacità di giudizio. Chi non consoce le dinamiche degli ultimi sessant’anni in terra basca si farà esattamente le domande che abbiamo messo in ordine poco sopra. Un giovane prigioniero muore nella sua cella: morto o ucciso? Perché era in cella? Perché doveva scontare tredici anni? Perché per un atto vandalico contraddistinto da percolosità sociale elevata si comminano tredici anni?

 

Domande più che leggittime, infatti anche su quelle ci vuole informazione. Poi rischia di scappare l’ultima domanda. Che senso ha? Che senso ha a due anni dalla fine della lotta armata di Eta continuare a sostenere tutte quelle azioni di una guerra colpo su colpo che hanno indurito e spezzato i cuori, distrutto vite, cancellato sogni, creato odio.

 

Nel climax interminabile di un conflitto irrisolto solo la conoscenza dei singoli provvedimenti che hanno accompagnato le azioni armate, gli attentati, gli omicidi, può mostrare quanto questa morte sia così scandalosa e perché ci siano reazioni così partecipate e radicate in questo lutto.
La dispersione dei prigionieri e delle prigioneire politici/che baschi/che iniziò con i governo di Felipe Gonzalez, con i socialisti. Gli anni Ottanta furono quelli che videro il testantivo del lato oscuro dello stato di affrontare il nodo basco con squadroni paramilitari, mal frequentati anche da personaggi della destra eversiva italiana, che sotto diverse sigle, fra cui la più famosa quella del GAL, Gruppi antiterroristi di liberazione, scorazzarono nei territori baschi spagnoli e francesi mietendo vittime e seminando il terrore. Era la guerra sucia di Madrid, pagata a suon di fondi neri, con la supervisione della Guardia civil, con le direttive dei servizi segreti, con la parte più oscura e temibile della Spagna profonda, quella lasciata in eredità dal delfino del Caudillo, l’ammiraglio Carrero Blanco, fatto saltare in maniera perfino coreografica da un commando di Eta nell’Operacion Ogro. Carrero ridisegnò e strutturò i servizi e quel suo disegno è senza dubbio una delle eredità che ha sofferto meno il passar del tempo.

I governi del Partido popular, a parte una finta di Aznar quando si aprì uno spiraglio per negoaziare, hanno mantenuto la dispersione, ma dal momento che nel Paese Basco era apparsa una guerriglia di strada agguerrita, capace di scontri e confronti con la polizia autonoma basca, capace di colpire, mordere e fuggire, e capace anche – diciamolo – di non obbedire agli schemi politici della sinistra indipendentista, che aveva fatto fatica ad arginare quel fenomeno, si costruirono nuove regole per legge.
La kale borroka era da distruggere, Madrid varò delle riforme del codice penale che abbassarono l’età penale del minore e stabilirono delle pene per reati colegabili a ‘terrorismo’ che esulano da qualsiasi propozionalità rispetto ai finamenti dei codici europei.

Arkaitz Bellon è uno di questi casi. Come il classico esempio di giovani arrestati per bruciare un bamcomat condannati ad anni di carcere.

Venendo a oggi, con un comunicato dell’organizzazione armata Eta che annuncia passi decisivi a breve e individua nella via basca l’unica strada percorribile per un processo di pace, rimanendo comunque aperta a sedersi a un tavolo, oggi possimao dire che non c’è nessun interesse per il governo del postfranchista Rajoy, né vi sono accenni per il suo omologo francese, di cambiare rotta. ‘immbilismo potrà avere delle aperture sui prigionieri, ma sarà tattica, perché c’è il Pnv che cerca di ottenere questo risultato, anche perché non si vuole trovare a gestire solo, come ufficio istituzionale, una realtà complessa come un possibile disarmo e conseguente verifica.
L’altro motivo che non smuove Madrid è la Catalunya. E non è certo una preoccupazione recente per la fiammata scoccata dopo la Diada del 2013.

Schermata 2014-02-09 alle 01.22.05

 

I politici spagnoli hanno sempre disprezzato i loro nemici, bel al di là di una avversione verso il ‘terrorismo’. Hanno tasformato un discorso di Stato in un viscerale megafono di istigazione all’odio e su questo hanno coltivato campagne e successi elettorali.  Anche ai tempi degli attentati più sanguinosi, e al di là della strada di controllo e repressione, quale avrebbe potuto essere il ruolo di uno Stato?
Oggi che ruolo deve avere lo ‘Stato’?
Quanta vendetta deve consumarsi a due anni dal cessate il fuoco definitivo perché non solo i militanti di Eta, ma le decine di persone che marciscono in carcere perché vicine o parte attiva della sinistra indipendentista possa avere una revisione di una ounizione dettata da leggi eccezionali, fatte applicare da un tribunale eccezionale di genesi e concezione franchista?

Fra tre mesi si vota per l’Europa, in una crisi profonda di scelta di dottrine economiche, politiche e rappresentative. Che cosa ci fa sentire davvero cittadini europei, forse i tassi che muove o meno Mario Draghi? E i diritti? E la pace, intesa come mediazione di conflitti?

Schermata 2014-02-08 alle 23.02.21

Laura Mintegi, candidata della sinistra basca alle ultime elezioni dove ha ragigunto un risultato eccellente, ha pubblicato subito dopo la notizia della morta di Arkaitz un messaggio sui social network. Parla di un caso famoso in Spagna: il sequestro di Segundo Marey, per opera dei Gal, appunto, con un processo che individuò i responsabili, che scontarono un’inezia, per non raccontare di quanto fossero belle le loro ‘abitazioni’ e agevolato il loro permanere dentro una struttura carceraria. La pacificazione che si giocherà nei territori baschi sarà difficile, eppure qualcosa lascia presupporre che se vi sarà rispetto, non serve la ricerca di una storia sola da scrivere, potrebbe essere un’operazione possibile. Ma la pacificazione con Madrid, con la stampa becera e le veline passate dai ministeri e anche con una società che non ha saputo guardare più in là di una propoganda dozzinale, appare cosa difficile.
E se non fosse per la questione dei presos, dei priogionieri pollitici, non sarebbe nemmeno così utile.
Nei video che mostrano l’arrivo di Arkaitz nei suoi amati Paesi baschi, ci è arrivato dentro una bara, si vede tutta la forza e la commozione di tanti genitori e parenti di altre decine di prigionieri. Immaginiamo quanta immedesimazione possa esserci nei loro sentimenti.

Una vittima di Eta, un sopravvissutto alla bomba all’Hipercor, mi disse due anni fa in un bar di Barcellona che la reazione di suo figlio al comunicato di abbandono della lotta armata era stata una telefonata in lacrime dove gli diceva: “Papà, ora nessun bambino dovrà soffrire quello che abbiamo sofferto noi in questi anni”.
Se la dispersione fu l’arma per rispondere alla cosiddetta ‘condivisione della sofferenza’, ora il panorama è cambiato.

E ora quali riforme per i prigionieri? I benefici previsti dalla legge, la fine delle leggi eccezionali, la giustizia transizionale? Carceri vicine a casa?

Perché questa sia l’ultima vittima del conflitto.
Lo scriviamo, ma non ne siamo così sicuri.



Lascia un commento