Il poeta della fotografia

Allo spazio Oberdan di Milano, la rassegna di Izis: oltre centoquaranta scatti del grande fotografo lituano. In mostra fino al 6 aprile

 

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/01/maddalena.fiocchi.jpg[/author_image] [author_info]di Maddalena Fiocchi. Nata nel ’79, laureata in filosofia, si occupa di comunicazione digitale e collabora con la rivista Doppiozero. In passato ha collaborato con il mensile FOTOgraphia e con Witness Journal. [/author_info] [/author]

 

Izis (Marijampole 1911 – Parigi 1980), al secolo Izraelis Bidermanas, è uno dei fotografi che hanno dato forma al nostro immaginario. Il suo nome non è noto come quelli di Cartier Bresson o di Doisneau, presentati insieme a lui, a Willy Ronis e a Brassaï al MoMA di New York nel 1951, ma molte delle sue fotografie sono ben impresse nella nostra memoria, come il ritratto di Albert Camus affacciato al balcone della sua casa di Parigi.

 

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Oppure questo funambolo, o i ritratti dei maquisards di Limoges, scattati proprio nel momento in cui poterono abbandonare la clandestinità, e, ancora, le infinite immagini di Parigi e dei suoi abitanti raccolte nel libro Paris des réves, prima edizione 1950, a cui ne seguirono altre sedici, per un totale di 170.000 copie vendute.
Nato in Lituania nella Russia Zarista, Izis scappa a Parigi nel 1930. Nel ‘41 i nazisti massacrano la sua famiglia in Lituania e lui è costretto a rifugiarsi con la moglie e i figli vicino a Limoges, dove si avvicina alle Forces Françaises de l’Interieur dopo la liberazione della zona avvenuta nel’44. È in questa occasione che entra in contatto con i partigiani e li ritrae: quattro mostre allestite nella regione segnano l’inizio della sua vita di fotografo. La sua collaborazione come fotoreporter con la rivista Paris Match comincia nel ‘49 e continuerà fino al ’79.

La mostra Izis – Il poeta della fotografia, allestita allo Spazio Oberdan di Milano dopo essere passata da Firenze, è stata inaugurata l’11 febbraio 2014 e rimarrà aperta al pubblico fino al 6 aprile. A cura di Manuel Bidermanas – figlio del maestro – e Armelle Canitrot, promossa dalla Fondazione Alinari per la Storia della Fotografia, comprende più di 140 scatti.

Nel corridoio d’ingresso all’esposizione, Métro Mirabeau alle sei del mattino, celebre scatto in controluce del 1949, accoglie i visitatori con un saggio del miscuglio di formalismo, poesia, realismo e anticonvenzionalità che caratterizza tutta la sua opera.
Pochi passi più avanti si incontra I Giardini di Tuileries, scatto del ’50 in cui i cavallini di una giostra sono presi talmente da vicino che la presenza del carosello si intuisce soltanto, e il bianco della neve appena caduta li fa apparire sospesi in un’assenza di prospettiva in cui nemmeno i pali e gli alberi del parco riescono a mappare lo spazio.

Nella prima sala, Sogni di Parigi, ci sono le foto scattate nell’arco di trentacinque anni, dal ’45 all’80, che i libri di storia catalogano nella corrente dell’umanismo poetico. In uno scatto che non è disponibile per la pubblicazione (Sulle rive della Senna, realizzato intorno al ’50 a Pont Marie), l’occhio coglie per prima cosa gli archi del ponte, tre figure in lontananza, due sedute e una in piedi, sulle pietre del quai che costituiscono lo sfondo dell’immagine, e solo dopo nota che in primissimo piano una persona dorme – sempre che sia viva – coperta da un mucchio di foglie di platano.
Questo gioco in cui il vero soggetto della fotografia salta all’occhio solo a un secondo sguardo si ripete anche in altri scatti, come Les gamin de Falgiueres, 1949, o Rue Chapon, del 1956, in cui la via è presa frontalmente, il punto di fuga è al centro della parte alta dell’inquadratura e nella parte centrale una striscia bianca formata dallo specchio di una pozzanghera crea un’immagine che potrebbe sembrare astratta. Ma nella parte alta, su, all’inizio della via, ci sono due ragazzini che procedono verso la macchina fotografica. Uno dei due ha un paio di schettini ai piedi.

Nelle immagini di Parigi vista da Izis, la luce, le espressioni dei volti, i giochi che annullano o esasperano la profondità prospettica riescono a creare un effetto ipnotico, ma la materia di cui sono fatte è davvero la realtà sociale di Parigi nei primi trent’anni successivi alla guerra: persone che dormono per strada, che svolgono attività consuete come annaffiare le piante dei davanzali o comprare volatili in gabbia al mercato degli uccelli, una bambina sui tre anni scopre il mondo con gli occhi e con i propri passi, due ragazzini, nel ‘59, scherzano con la borsa dei libri tra le mani, un ragazzo della stessa età balla per strada nel ’76 e uno un po’ più grande, preso nel ‘75, è al lavoro in un cantiere.

Ci sono poi scatti la cui formalità geometrica è disegnata dalle rotaie del treno o dai segni presi dall’alto delle ruote delle auto sulla neve, dai rami degli alberi, dai getti della fontana di Place de la Concorde illuminati nella notte o dalle lenzuola stese.
Una delle fotografie più famose è nella seconda sala, Sogni di Londra, allestita con immagini scattate tra il ‘52 e il ’53: L’uomo con le bolle di sapone di Izis è canuto, seducente e guarda in macchina con malizia, l’occhio sinistro inscritto nel cerchio di una bolla come dietro un monocolo.
La composizione classica e piramidale dell’immagine è sottolineata dalla sagoma dell’edificio sullo sfondo che porta i segni di una costruzione adiacente spazzata via dalle bombe. Il contrasto apparente tra le tracce della guerra e la leggiadria delle bolle di sapone rimarca la caducità dell’esistenza. Mentre l’uomo soffia sotto un cielo scuro e gonfio di nuvole, una goccia di sapone cade dall’anello in perfetta corrispondenza con la sua bocca e sembra scendere dal labbro inferiore. Una premonizione di decadimento che rimarca l’idea della deperibilità del mondo fisico e rinforza il carattere luciferino del personaggio.

 

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La sala successiva è dedicata al ritratto, ci sono Camus, Paul Éluard, Léautaud, Roland Petit, Dora Mar, Brassaï e tanti altri. Paul Éluard è preso di tre quarti, con il volto vicinissimo allo specchio, in modo che siano visibili contemporaneamente tre punti di vista diversi sui due profili: il ritratto fotografico del poeta surrealista utilizza il linguaggio della pittura cubista.
L’atmosfera della sala successiva è squillante, molte foto sono a colori e domina il rosso. È lo scoop apparso nel ‘74 su Paris Match dedicato ai lavori di Chagall per il soffitto dell’Opéra Garnier. Il pittore lavorò all’Opera tra il ’63 e il ’64 e Izis, di cui era amico, fu l’unico fotoreporter che volle sul cantiere. In queste immagini Chagall si fonde spesso, come danzando, con le figure che dipinge, formando nelle inquadrature di Izis composizioni nuove, in cui non c’è soluzione di continuità tra le pennellate e la personalità che le traccia.
Sogni di Circo è la sala che raccoglie immagini scattate tra il ’49 e il ’65 e pubblicate in Le Cirque d’Izis dalle Éditions Sauret. Geometrie disegnate dai funamboli contro il bianco del cielo, volti di spettatori di ogni età, circensi, leopardi, scimmie, e una giovane donna cannone ritratta proprio davanti alla locandina che la raffigura.

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Nel 1952 Izis fu inviato da Paris Match in Israele e vi tornò diverse volte fino all’epoca del processo Eichman nel 1961, l’ultima sala della mostra è dedicata ai viaggi compiuti tra il ’52 e il ’55. Sono gli scatti di un ebreo sopravvissuto al genocidio che vede Israele come la Terra Promessa e trova i paesaggi palestinesi profondamente familiari per via della sua educazione biblica.

Nelle sue immagini ci sono giovani israeliani al lavoro, donne musulmane prese di spalle tra gli ulivi, echi della Shoah che emergono dalla foto di un calzolaio a Tel Aviv circondato da un grande cumulo di scarpe, oppure dall’immagine di questa ragazzina che potrebbe avere l’età di Anna Frank.

Splendidi e vitali sono due fratelli beduini, il più piccolo sulle spalle della sorella maggiore che gli sorride con una capigliatura selvaggia e gli abiti stracciati. Che Izis l’abbia voluto o no, il suo occhio coglieva in pieno la tragedia di questa terra: c’è una fotografia in cui un uomo, che può sembrare un pastore palestinese, siede solo con il suo bastone conficcato tra le pietre del terreno arido, sotto il sole, a guardare nel vuoto circondato dalle bandiere israeliane.
A conclusione della mostra si può assistere alla proiezione a ciclo continuo del documentario Aperçus d’une vie, che raccoglie una serie di interviste sulla vita, l’esilio e il lavoro di Izis.

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